«Non è il mio Watergate»

Oggi iniziano le audizioni al Congresso, il Whitewater tiene l'America col fiato sospeso Oggi iniziano le audizioni al Congresso, il Whitewater tiene l'America col fiato sospeso «Non è il mio Watergate» Bernstein racconta lo scandalo Clinton IL REPORTER CHE CACCIO' SE qualcuno ancora dubitava che l'interesse personale, anziché il bene pubblico, sia la forza motrice a Washington, allora il Whitewater ha cancellato ogni dubbio. Questo scandalo è il culmine di un quarto di secolo di ipocrisie e di menzogne da parte dei Presidenti, della stampa e dei galoppini di partito. Ma stavolta le conseguenze potrebbero essere tragiche: la crisi e la possibile rovina della prima Presidenza da una generazione a questa parte disposta a impegnarsi per affrontare i problemi dell'America. Il Whitewater non è il Watergate. Bill Clinton non ha abusato dei suoi poteri come Richard Nixon o come Ronald Reagan. Non ha fatto ricorso a manovre illegali o anticostituzionali per i propri scopi politici. Ma io temo che questa precisazione possa non avere valore, in un'atmosfera come quella di oggi, carica di polemiche e di enfatizzazioni giornalistiche. L'aspetto più significativo del Whitewater è che è accaduto 15 anni fa: il presidente Clinton viene messo sotto accusa oggi per i suoi standard etici di quand'era governatore. E, inoltre, è contestato dai membri di una classe politica che - in molti casi - ha prosperato grazie alle stesse pratiche illecite e che prospera tut- torà. Tuttavia, è la mancanza di sincerità di Bill e di Hillary che ha fatto sì che questa vicenda si trascinasse senza fine. Le audizioni del Congresso cominceranno oggi e la fase inquirente si protrarrà per almeno un anno. Le contraddizioni dei Clinton hanno convinto la stampa e il Congresso a battere una pista prevedibile, che finirà per ridurre questa storia a una specie di poker truccato, dove solo i Clinton possono perdere. Il Presidente si troverà quindi di fronte a un problema di credibilità che - in un Paese di «talk-show» come il nostro - potrebbe assumere dimensioni nixoniane o johnsoniane. Per di più, a differenza di Reagan che, anche lui, ebbe non pochi problemi con la verità, Clinton viene considerato come un leader mediocre. Il fatto è che il Whitewater è diverso dall'ostruzionismo di Nixon o dall'Irangate. Se Clinton ha cospirato con qualcuno dei suoi collaboratori per mentire di fronte al giurì o per convincere alcuni testimoni a tacere, di fatto, la stampa non è riuscita a raccogliere alcuna prova. I Clinton, però, devono reggere sulle spalle un fardello particolarmente pesante. A differenza di Nixon, loro sono arrivati a Washington cavalcando la tigre della riforma e del cambiamento. E, in effetti, hanno portato dei mutamenti significativi in quella palude di indifferenza e inerzia che è Washington. Ma è impossibile realizzare una vera riforma politica, se si ricade nei vecchi trucchi senza incarnare nuovi valori. Questa è stata la promessa dell'amministrazione e cioè che la forza della verità - sulla politica, sulla nostra situazione e su noi stessi - si sarebbe fatta largo, demolendo le menzogne sulle difficoltà dell'America. La «nuova politica» si sarebbe basata sui fatti. Se questo deve davvero accadere, il Presidente non può essere un politico sincero soltanto «part-time». Deve mettere fine al modello di frodi e inganni che per una generazione ha informato il dibattito washingtoniano. Se la presidenza Clinton vuole tenere fede agli impegni presi, deve prima di tutto imporre un nuovo modello, fatto di sincerità, soprattutto dopo le menzogne di Johnson sul Vietnam, di Nixon sul Watergate, di Reagan e di Bush sull'affare Iran-contras. Di fatto, Clinton ha corso per la Presidenza sotto un nuovo slogan, quello del coraggio di cambiare. Il problema è che, implicitamente, ha promesso non solo di cambiare il Paese ma persino se stesso. Forse, è per questo motivo che è politicamente vulnerabile nel caso Whitewater. Lui dimostra di non essere cambiato affatto. Adesso, la mancanza di chiarezza e di sincerità - vale a dire uno dei temi-chiave della campagna del '92 - oscura la sua Presidenza e arriva a coinvolgere Hillary. Come se non bastasse, le risposte di questa amministrazione ai propri fallimenti e ai propri errori, alle differenze tra le enunciazioni di principio e le politiche effettive, in Bosnia come ad Haiti, si stanno impantanando nello stesso ginepraio di mezze verità e mezze bugie che avvelena la difesa sul Whitewater. Queste incertezze rischiano di affossare la sua Presidenza. Clinton sta perdendo il controllo della situazione. Oggi, la sua figura è molto sbiadita rispetto a quella dei giorni che seguirono alla sua elezione. Le sue spiegazioni delle contraddizioni tra le promesse elettorali e le decisioni politiche i gay nell'esercito, l'abbandono delle nomine più controverse, le esitazioni sulla riforma dei finanziamenti elettorali - sono identiche a quelle date per il Whitewater. E' il vecchio stile prevaricatorio, non la nuova politica che ha promesso. I problemi di Clinton - con la stampa, il Congresso e l'opinione pubblica sono dovuti alla crescente consapevolezza del pericolo di un ritorno alle pratiche del passato. Scrivo questo perché credo nel potenziale della sua Presidenza. Clinton è il Presidente più competente da molto tempo a questa parte, ma ora la sua amministrazione è prossima al disastro. Cari Bernstein Copyright «La Stampa 1994» «Solo le inutili bugie diBillediHillaryhanno aggravato una vicenda di secondo piano» Pubblichiamo un'analisi di Cari Bernstein, autore con Bob Woodward della celeberrima inchiesta che nel '72 smascherò il Watergate e portò alle dimissioni di Nixon. Richard Nixon e il segretario al Tesoro Bentsen

Luoghi citati: America, Bosnia, Haiti, Vietnam, Washington