Giuliano, l'eterno ribelle

E il premier annulla un'intervista a Vespa perilTGl e un'altra già accordata Giuliano/ l'eterno ribelle //politico con la valigia sempre in mano IL PORTAVOCE DEL GOVERNO LROMA A genuflessione davanti all'altarino di Arcore, quella proprio no. E nemmeno un'impossibile, innaturale osmosi con l'esclusiva cerchia degli amici di famiglia, dei sacerdoti della Chiesa-azienda, degli intimi del Biscione, del circolo ufficiali che scatta sull'attenti al passaggio del Generalissimo. Insomma, immaginarsi Giuliano Ferrara come un habitué del focolare domestico di Silvio Berlusconi sarebbe come strappare cuore e anima a quell'esemplare di individuo totus politicus che oggi fa il portavoce del governo Berlusconi ma che domani chissà... Chissà che non trovi un altro oggetto su cui riversare quella specie di bulimica, irrefrenabile, insaziabile voglia di politica che rappresenta la quintessenza antropologica, il prius esistenziale di Giuliano Ferrara. Suo padre Maurizio, in un libro-in- tervista scritto con Giampiero Mughini, raccontava del piccolo Giuliano che a Mosca, tornando «fradicio di neve» dall'asilo, «stava per ore disteso per terra a guardare la televisione. Erano invariabilmente film di guerra, alla fine dei quali lui gridava: "Budiet Revolutzia!", "sta arrivando la rivoluzione"». Giuliano imparava lì a nutrirsi di politica. E a concepire la politica come scontro fragoroso, urto frontale, contrapposizione di eserci¬ ti: «Budiet Revolutzia!)). Figurarsi se, più di trent'anni dopo, si sarebbe fatto incantare dalla retorica dell'anti-politica, dal culto della «trincea del lavoro». Dall'incoercibile, genetica repulsione che la pattuglia di uomini-azienda, con a capo il suo Capo, non cessa di manifestare per la politica, per le sue forme, i suoi riti, le sue astuzie. Le sue terrificanti trappole. «Budiet Revolutzia)): e può capitare che quello stesso Giu- liano Ferrara, una volta diventato membro del primo governo di destra della storia repubblicana, possa civettuolamente autoraffigurarsi come «un ministro comunista come non se ne vedevano dai tempi di Scoccimarro». «Comunista», sì. Come di cultura e di formazione comunista è Ludovico Festa, il collaboratore che Ferrara ha chiamato con sé a Palazzo Chigi. Comunisti «ex», ovviamente. Ma che di quel retaggio e di quella scuola portano ancora, indelebilmente, le tracce. Tutte, nel caso di Ferrara, tranne una: il senso della disciplina che si protrae nel tempo, la fedeltà all'icona del Partito che non ammette insofferenze e ribellioni, il rapporto indistruttibile con la casa madre. Ferrara è invece uno che se ne va. Funzionario amendoliano del pei torinese, se ne va sbattendo la porta quando il pei di Berlinguer liquida la «solidarietà nazionale» e si avvinghia alle insegne della propria «diversità». Giuliano se ne va perché non è d'accordo ma soprattutto perché, lui totus politicus, intravede nell'arroccamento berlingueriano una concessione non-politica alle ragioni di una purezza astratta, settaria, conventuale. «Moralistica», per usare un termine che Ferrara detesta proprio in ragione della sua impoliticità sterile, declamatoria, pe¬ tulante. L'incarnazione della «politica» come la vuole lui, Ferrara la individua in Bettino Craxi. Malgrado il sincero disprezzo che, da buon comunista togliattiano, nutre per i socialisti Ferrara indossa elmetto e bretelle rosse per partire alla guerra condotta da quel distillato di ragion politica che con grande spargimento di sangue sta perseguendo con le buone e più spesso con le cattive l'obiettivo di fracassare la tenaglia dc-pci. Bettino diventa per lui la stella polare. Lo segue anima e corpo quando il leader del psi ingaggia la sua guerriglia cruenta con De Mita. Lo segue, col corpo ma con l'anima dolente, quando Craxi si impantana nella palude del Caf. Ferrara scalpita, soffre, vorrebbe suonare la tromba per risvegliare l'ardore del suo guerriero spento. Poi però, quando la tempesta travolgerà Craxi, Ferrara non si tira indietro. A costo di essere travolto anche lui, parte lancia in resta contro la devastante campagna «moralistica» che, assieme a quella del politico Craxi, sta scavando la fossa della Prima Repubblica. Intanto c'è l'astro Berlusconi che sta sorgendo. Da politico consumato, all'inizio Giuliano è tra i più perplessi sulla «discesa in campo» dell'uomo di Arcore. Poi la passione per la politica prende il sopravvento. Ferrara si acconcia nel ruolo di ghost-wrìter. E alla vigilia delle tribune televisive più importanti, prima fra tutte il match con Occhetto, trascorre ore e ore per allenare il candidato con testa a testa simulati. Si dà tutto. Si concede interamente. Fa il portavoce facendo violenza ai suoi istinti più radicati. Vorrebbe insegnare un po' di politica, agli uomini-azienda. Ma ad Arcore, di domenica davanti al focolare domestico, quello proprio no. Pierluigi Battista Ha lasciato il pei in rotta con Enrico Berlinguer Oggi è pronto alla lotta per insegnare la politica al partito-azienda LudeA Luigi Berlinguer, capo dei deputati progressisti A sinistra: Massimo D'Alema