Nespolo gioca con Lang e Woody Alien

A Aosta, un felice incontro tra artigianato e elettronica, ispirato ai fratelli Lumière A Aosta, un felice incontro tra artigianato e elettronica, ispirato ai fratelli Lumière Nespolo gioca con Lang e Woody Alien Legno e colori per reinventare capolavori del cinema AAOSTA LL'inaugurazione della mostra di Ugo Nespolo alla Tour Fromage (fino al 15 ottobre; catalogo Utet a cura di Gianni Rondolino) l'amico Enrico Baj, anche compagno di lavoro collettivo ai tempi d'oro della Premiata Ditta Baj & Nespolo, ha usato un'espressione anzi immagine affascinante nel suo sentore patafisico: «Pietrificare il film». Infatti le 32 opere esposte, in massima parte costituite dai consueti intarsi di legni sagomati e smaltati ad acrilico - ma questa volta interviene anche con grande ed efficace violenza la materia pittorica ad impasto -, propongono con una strepitosa intelligenza intrisa di urla espressioniste un discorso sul cinema: sulla sua storia e sulle sue volgarità di massa, sulle sue suggestioni e miti, favole e incubi, Topolino e il vampiro Nosferatu, Woody Alien e Man Ray e Duchamp che giocano a scacchi sul tetto in Entr'Acte. E', questo, un discorso per contraddizione: fissare l'essenza cinetica, dinamica e fuggevole, insita nel nome stesso battezzato dai Lumière ora è un secolo, in un fotogramma di intarsio cromatico che si presenta come un precipitato di quarant'anni di nuova figurazione; non tanto e non solo di pop art quanto di neodadaismo e di precedenti europei, da Hélion a Rotella. Che è il precipitato dell'inesauribile laboratorio Nespolo, in cui l'artigianato è gemellato con l'elettronica. Partendo da questa idea e operazione originaria di estrapolare, fra visualità e concettualità, la bergsoniana «durata» di un film nella fissità policroma di un fotogramma di sintesi, i giochi interni, le trasmutazioni, le trasmigrazioni non si contano. L'incubo nero di Nosferatu viene proposto filologicamente tal quale, sull'impasto bianco di fondo che è uno schermo allo stato puro; ma ai bordi dell'immagine nera, con maggior addensamento sulle mani ad artiglio e sulla testa/teschio, è tutto un baluginio di puntiluce gialli, verde smeraldo e lilla, che trasformano l'arcaico fotogramma espressionista in una allusione alla videoart, l'antico telone in uno «scopio», che solo per metafora storica viene chiamato schermo televisivo. Altre volte l'apparenza del gioco sottende la realtà dell'interpretazione critica: la fantasmagoria utopica che l'origina¬ rio bianco e nero di Metropolis non poteva che esprimere parametrando al ritmo filmico e luministico le scenografie colossali fra ipermeccanicismo e fantascienza, nella tavola tripla di Nespolo trova espressione nello scatenamento rosso e oro intorno alla testa della donna-macchina; uno scatenamento che allude, nello stesso tempo, alla cultura dell'art déco e ai recuperi neoespressionisti dei pittori «selvaggi» tedeschi. Il che significa concentrare in una grande monoimmagine - persino classica nelle sue simmetrie - una somma di stratificazioni culturali, e persino di mode, che in settant'anni si sono addensate intorno a un tipico film «di culto»: ma senza con ciò perdere tutta la freschezza, la vitalità del gran gioco della pittura. Queste opere, create negli ultimi due anni appositamente per Aosta, accentuano infatti una linea che già andava affacciandosi nell'ultima produzione di Nespolo: un desiderio di libero respiro «alla grande» della materia pittorica sull'intarsio smaltato dei legni, un cambio di marcia espressivo sull'impeccabile meccanismo ludico. Un poco appartato all'ingresso della mostra, in mezzo ai giochi dedicati a Walt Disney, alle fantasmagorie cromatiche evocanti la più smaccata produzione fantascientifica e ad un puro fotogramma «pop» giallo-rossonero-blu dedicato al marchio della 20th Century Fox, vi è forse il più bel pezzo di pittura pura della mostra, con le sue delicate trasparenze in bianco, nero e grigioviola pallido: non credo a caso, propone in verticale una piccola sequenza di fotogrammi di uno dei tipici film dell'avanguardia sperimentale astratta, la Duagibaksymphonie - questo il titolo esatto - di Viking/Eggeling, 1922. E' proprio l'uso «critico» delle modalità pittoriche - ad esempio il massimo clangore dei contrasti cromatici è riservato ai «fotogrammi» consumistici, Monn over Miami, The devil of woman, King Kong, Tarzan - a rimettere in moto questo spettacolo che Baj ha definito «pietrificato», e lo è, nelle singole cromosintesi. Ecco in tal modo diviene fantasticamente il film di cento anni di film, dalle vette fino al più effimero sottoprodotto, che anch'esso però conserva un barlume della grande magia del secolo. Marco Rosei Fantasmagorie cromatiche nel solco della pop art e del neodadaismo fino alla patafisica di Baj Due Nespolo esposti ad Aosta: «Metropolis», "94 ispirato a Fritz Lang e «Gulliver Land», '93

Luoghi citati: Aosta, Miami, Nespolo, Rotella