Se la famiglia non vuole che il partigiano sia santo

14. IL CASO. Fa discutere la beatificazione di Pistoni Se la famiglia non vuole che il partigiano sia santo I ON facciamone un santo e nemmeno un eroe». La sorella e il cognato di Gino Pistoni, il partigiano di Ivrea morto in combattimento che Wojtyla vuole fare santo, hanno rifiutato la beatificazione del congiunto (come abbiamo pubblicato ieri nelle pagine di cronaca) con nobili motivazioni: «Tante famiglie hanno avuto i loro ragazzi torturati e uccisi. Ci farebbe male che si ricordasse solo lui». Ma i santi sono simboli nei quali si rispecchiano i valori che la Chiesa addita al popolo di Dio: sono modelli di perfezione cristiana, che rappresentano dei messaggi che il papa e l'episcopato mandano al mondo, sia cattolico sia laico. Un santo è la bandiera di una linea pastorale, non conta la persona in sé bensì ciò che significa. Il problema non è chi si fa santo ma perché si fa un santo. Nella causa di beatificazione di Gino Pistoni, proposta al papa da Luigi Bettazzi, il vescovo d'Ivrea che dialogava con Berlinguer, si può leggere il desiderio della Chiesa di avere esemplari figure giovanili capaci di parlare alle nuove generazioni: non bisogna dimenticare che Giovanni Paolo II aveva già fatto beato l'antifascista torinese Pier Giorgio Frassati, impegnato nelle battaglie politiche del ventennio. Ma nel caso di Pistoni, entra in gioco una delle questioni più delicate che la Chiesa si è trovata ad affrontare dal dopoguerra a oggi: l'atteggiamento dei cattolici nei confronti della Resistenza e il ruolo che i cattolici vi hanno avuto. Che cosa significa un partigiano santo, in un tempo in cui la Resistenza è stata messa in discussione e si invitano gli italiani a dimenticare le divisioni della guerra civile? «Vorrei ricordare che questo papa è sceso in campo in prima persona - dice lo scrittore Vittorio Messori, autore del colloquio con Wojtyla intitolato Varcare la soglia della speranza (Mondadori) forzando le norme del diritto canonico per Padre Kolbe, francescano polacco morto in un lager, offrendo la vita in cambio di quella di un padre di famiglia, riconosciuto santo senza che gli sia stato attribuito quell'imprimatur divino che è il miracolo. Ma posso assicurare, da informazioni vaticane, che è anche imminente la beatificazione del carabiniere Salvo d'Acquisto, un Domenico Savio dei nostri giorni, medaglia d'oro, che nel 1943 a Palidoro si offrì ai tedeschi al posto di un gruppo di ostaggi che dovevano essere fucilati per rappresaglia». «Voglio dire che la beatificazione di Pistoni non rappresenta una novità - spiega Messori -. Soltanto che la Resistenza è stata brutalmente catturata e monopolizzata dalla propaganda rossa. E mentre i comunisti mandavano all'incasso la loro cambiale, i cattolici si preoccupavano di mettere in luce anche il ruolo apparentemente meno eroico ma decisivo dei parroci che nascondevano i rifugiati in cantina, dei contadini che tenevano gli ebrei nei granai. I due terzi degli ebrei italiani o rifugiatisi in Italia sono stati salvati dall'azione umanitaria dei cattolici. Quello dei cattolici nella Resistenza è stato un ruolo non ideologico, in una prospettiva religiosa che non timbra politicamente le vite umane». Fino a che punto la polemica interpretazione dello scrittore cattolico corrisponde al significato che avrà la beatificazione di Gino Pistoni? Non si deve dimenticare che egli morì nel corso di un combattimento contro una pattuglia di militi repubblichini. E' vero che si mise allo scoperto per soccorrere un nemico ferito, ma sarebbe il primo partigiano combattente che diviene santo. «Nei confronti della Resistenza i cattolici hanno avuto in realtà molte oscillazioni - dice lo storico Claudio Pavone, autore del saggio Una guerra civile -, ora cercando di minimizzarne il valore, ora rivalutando il loro apporto, fino a contrapporre alla Resistenza attiva e armata una Resistenza non violenta, giudicata più nobile e morale. Come in tanti altri campi, la forza della Chiesa è di saper giocare su più tavoli. Figure importanti ci sono state, come Teresio Olivelli, il capo dei Ribelli per amore, ma sul piano militare le formazioni strettamente cattoliche sono state minoritarie. Tuttavia il vero problema è il sentimento religioso nella Resistenza: anche le rosse Brigate Garibaldi avevano i cappellani. Gli equivoci nascono quando si ritiene, come fa Rocco Buttiglione, che la vera Resistenza sia stata quella passiva. In questo senso la beatificazione di un partigiano combattente è una presa di posizione che va controtendenza». «Si può parlare di una Resistenza di tutto il popolo italiano? - domanda il citato Rocco Buttiglione, filosofo e politico -. Sì, ma meno come partecipazione diretta alla lotta armata e più come difesa di chi è vittima di oppressione. Dicendo questo io non voglio togliere né legittimità politica né valore morale all'atteggiamento di chi ha preso le armi contro l'invasore. Certo nella lotta il cuore almeno una volta si indurisce. Come dice anche Shakespeare, è difficile avere l'animo pronto a incontrare Dio quando si ammazzano altri uomini. Sono convinto che per capire l'atteggiamento della Chiesa bisogna ripensare a Gandhi: è più nobile combattere il male, se possibile, senza l'uso della forza, ma è sempre meglio combattere che sottomettersi. Vorrei concludere che le due beatificazioni, di D'Acquisto e Pistoni, rispecchiano bene la posizione della Chiesa verso le due forme della Resistenza, non svalutando l'una rispetto all'altra». Alberto Papuzzi Si può scegliere a modello chi morì sparando? Da sinistra: Gino Pistoni, lo storico Claudio Pavone e un'immagine di lotta partigiana

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