I vizi del santo camaleonte

Baron Corvo, dandy fra estasi e peccato Ritorna Rolfe, la Francia si innamora di un profeta di fine secolo I vizi del santo camaleonte Baron Corvo, dandy fra estasi e peccato W Ti parigi N esteta provocatore prima della caduta: il Baron I I Corvo. In questo sprazzo .^rJ di fine secolo, in Francia si ritorna a uno degli ultimi grandi del dandysmo universale, come a un modello di decadenza. Fiorisce un improvviso interesse per certi versi morboso intorno al personaggio: nel giro di poco esce una biografia che è insieme indagine e santificazione (Baron Corvo, l'exilé de Venise di Michel Bulteau), viene ripubblicata per la prima volta dai tempi dell'uscita l'integralità della sua opera (quasi del tutto inedita in Francia) e le singolari lettere da Venezia. Un massiccio recupero a cura delle Editions du Rocher, di Monaco, molto attive in difesa dell'orgoglio e della creatività gayEra omosessuale, Frederick Rolfe (così si chiamava il Baron Corvo alla nascita). Ma a venticinque anni sentì la vocazione religiosa e sbagliò ritenendo di convertirsi al cattolicesimo per poi studiare da prete. Fu l'errore di fondo, perché venne nel giro di poco respinto in inalo modo dal milieu gesuita. Ma fu anche in qualche modo il compimento di un destino, perché da questa esclusione («la più grande delusione della mia vita», la definì lui, nella novella In cui è questione di poca cosa, compiuta sontuosamente), derivò un incitamento a non nascondersi. a fare della propria natura una bandiera, con molta, sottile ironia, e con tutta l'esagerazione che nasce dalla sensibilità ferita. In questo è il «nodo» della trasformazione oggi, a quasi cento armi dalle sue esibizioni e gestr., in mito. Mito epocale che illustra e insegna l'aite del declino, ima foima di liberazione a cohliumo, piónìuosa di trasfigurazione. Frederick Rolfe eia nato a Londra nel 1860. Figlio di padre anglicano fabbricante di pianoforti e di madre assente, maggiore di cinque maschi. Aveva studiato da esterno a Oxford, maturando una psicologia da autodidatta e divenendo insegnante di scuola media che con disinvoltura passava dal latino al francese alla storia alla matematica e al catechismo. Senza materia per possederne tante, un primo abbozzo ancora inconsapevole del futuro camaleontismo. Dipinse a quest'epoca, esordio in una delle tante canalizzazioni artistiche a venire, un quadro che illustrava i funerali di San Guglielmo di Norvegia. Portato da quarantanove personaggi, il Santo in persona e tutte le altre 49 figure della tela avevano il volto di Rolfe. Foiba paranoica fu la lettura dei datori di lavoro, che preferirono così privarsi della sua collaborazione. Si convertì allora al cattolicesimo, avendo deciso di ribellarsi alle scelte imposte. Curioso che, con questo progetto nel cuore, abbia pensato di poter varcare incolume le porte del Collegio Scozzese di Roma, seminario di antichissima tradizione e strettissima osservanza. Se vi fu ammesso, fu infatti per breve tempo. Venne espulso a furor di superiori dopo pochi mesi per ragioni mai esplicitate in maniera circostanziata, ma che il biografo Bulteau non ha dubbi neU'attribuire all'omosessualità. «Inesorabile nell'iniquità come nella virtù» scrisse più tardi della Chiesa cattolica romana il reietto. Lui stesso riconosceva di dover essere aiutato a fare un giorno distinzione tra amor sacro e amor profano. La mancanza di una valida motivazione fu l'alibi, se non la causa, per una programmatica commistione blasfema da sventolare in seguito come un vessillo. Ma non per la perdita della fede: Frederick Rolfe, che avrebbe giocato instancabilmente con le molteplici identità, disse in un momento di sconforto: «Se non fossi cattolico, non sarei niente». Des Esseintes dei poveri, contemporaneo di Oscar Wilde e precursore di Maurice Sachs, egli dovette rientrare in Inghilterra dopo un'esperienza come precettore presso una grande famiglia romana, gli Sforza-Cesarini. La duchessa Sforza, inglese anche lei e come Rolfe convertita al cattolicesimo, aveva provato simpatia per lo sfortunato giovane e l'aveva accolto senza sospetti nella sua villa di Genzano. Lui vi passò l'estate e una parte dell'autunno del 1890, scoprendo nei giardini della villa la cornice ideale per la prima raccolta di novelle, nel fanciullo Toto e nei suoi amici cherubini i protagonisti naturali. Fu per Rolfe l'estasi, il godimento casto, la complicità senza complicazioni. Portava i ragazzini in scampagnata, li fotografava, li osservava, li adorava. La duchessa finì per allontanare l'istitutore, non senza riconoscenza per i servigi resi: lo nominò infatti barone - Baron Corvo -, gli attribuì una baronia e lo beneficiò di una rendita annua che avrebbe dovuto liberarlo dalle urgenze del quotidiano. Se non che presto gliela revocò, e dato il suo gusto per il sontuoso e le grandi spese fini a se stesse, l'ipotetico Barone piombò immediatamente nella miseria più nera, nel baratro dei debiti e delle notti da passare all'addiaccio. «Gli anni del purgatorio» li definì Graham Greene. Ma è proprio qui che per il seguace francese odierno il personaggio decolla in mito. Irriducibile, il Baron Corvo rifiutò la caduta come destino e continuò a credere in se stesso. Svolse ogni sorta di attività improduttiva: pittore, dipingeva efebi nudi e santi in mistica contemplazione, poi li fotografava, componeva musiche adeguate e ne scriveva. Andò incontro a molteplici citazioni, utili a tenere acceso il complesso di persecuzione che era per lui la più feconda delle fonti d'ispirazione. Si coltivò, in spregio della morale corrente e dei legami della vita materiale. E trovò finalmente un viatico, sempre convinto di aver rinunciato solo a ciò cui aveva volontariamente deciso di rinunciare, nell'inaspettato, salvifico successo letterario. Un primo gruppo di sei novelle pubblicate nella rivista letteraria più influente di quegli anni, Yellow Book di John Lane, Aubrey Beardsley ed Hem-y Harland, fu così bene accolto da comportare la commissione di un'intera serie, poi confluita in raccolta nel 1901: In His Own Image. Il titolo si rifà al racconto della creazione - Genesi I, 27 «Dio creò l'uomo a sua immagine e somiglianza». Corvo ruppe subito dopo con l'editore per incomprensione reciproca. Un «certo profumo» che emanava dai racconti sarebbe spiaciuto al primo lettore, privilegiato nonché ideale dedicatario, Henry Harland, e ne sarebbe derivata una richiesta di autocensura. L'autore si guardò bene dall'accondiscendere ma tolse il nome proprio dalla dedica, lasciando un generico, malinconico: «Al divino amico tanto desiderato». Era recente la condanna di Oscar Wilde, tutto incitava alla prudenza. Ragione più che sufficiente, per il Baron Corvo, a perseverare nell'equilibrismo sull'orlo dell'abisso. Nelle novelle la pederastia regna sovrana, ma trasfigurata in una sorta di variante gay dell'Amor cortese. E c'è abbondanza di santi, che però sono travestimenti di dei pagani. I curatori francesi Claudine Jardin e Vincent Giroud, un po' a sorpresa, evocano insieme per esemplificare la Leggenda aurea e Pier Paolo Pasolini. Quest'ultimo nettamente più adatto, come riferimento, per le Lettere veneziane in cui ragazzi di vita reale sono i gondolieri e il ventennale voto di castità del Baron Corvo - tutto letterario - è ormai estinto. Invitato da un ammiratore, era sbarcato a Venezia nel 1908 per un breve soggiorno di sei settiinane. Vi rimase fino alla morte, nel 1913, emarginato dalla colonia inglese, sempre più solitario e provocatore. «Che m'importa del mondo? Non saia ceno per adatLaniù ai suoi su etti sentieri che distruggerò tutto ciò che in me supera il comune e mi rende eminente», scrisse. E si attenne. Oggi in Francia si crede fermamente all'esistenza di diciotto novelle inedite. Il Baron Corvo ne parlò più volte, non osò mai pubblicarle. Perché? Gabriella Bosco Interesse morboso per biografia e opera omnia dell'artista che fece una bandiera del suo essere gay Dalla miseria più nera al successo letterario. Ma dove sono scomparse 19 novelle? Voleva farsi prete venne respinto: la più grande delusione della sua vita Oscar Wilde (a sinistra) con lord A. Douglas a Napoli nel 1897. Sotto, Graham Greene. A destra, Frederick Rolfe (così si chiamava il Baron Corvo) e Pier Paolo Pasolini