«Grazie, piccolo re»

«Grazie, piccolo re» «Grazie, piccolo re» «La tua saggezza ci ha salvati» LA COLOMBA ABBA EBAN IHERZILYA L primo leader arabo ad avere un approccio realistico con Israele non è stato Anwar ci Sadat, che fece la pace con gli israeliani nel 1979; e stato re Hussein di Giordania, che in segreto stava già parlando amichevolmente con Israele mentre le forze egiziane e israeliane erano ancora impegnate a colpirsi reciprocamente. Da ardente nazionalista, re Hussein avrebbe probabilmente preferito un Medio Oriente senza Israele, ma fu più rapido di qualunque altro statista della regione a capire che Israele aveva oltrepassato la soglia dell'indistruttibilità. Con il passare degli anni, re Hussein divenne sempre più dolorosamente consapevole che la sopravvivenza della Giordania non aveva migliore garanzia dell'interesse israeliano a preservarla. Israele aveva fatto sapere a tutto il Medio Oriente che un'eventuale invasione siriana o irachena della Giordania avrebbe provocato un intervento israeliano; e questo fu uno dei rari casi di strategia della deterrenza che ha funzionato. Ora il realismo di re Hussein sembra sul punto di dare i suoi frutti. Un nuovo Medio Oriente sta nascendo. L'incontro di lunedì a Washington tra re Hussein, il premier israeliano Yitzhak Rabin e il presidente Usa Bill Clinton darà probabilmente una fortissima spinta al processo di pace. Giungendo dopo l'instaurazione dell'autogoverno palestinese a Gaza e Gerico, il meeting trova Israele più ottimista sulla prospettiva di un successo diplomatico. Ma ciò non significa che il negoziato sarà senza intoppi. Anche il trattato di pace israelo-egiziano ha richiesto 17 mesi di trattativa dopo la visita del presidente Sadat a Gerusalemme nel 1977. Né il negoziato sarà libero da condizionamenti. Re Hussein subirà le pressioni di quei giordano-palestinesi della Cisgiordania e di Gaza che vorrebbero vederlo più fermo nell'appog giare la nascita dello Stato palestinese. Ma la maggioranza de¬ gli israeliani ritiene che la forte leadership di re Hussein e Rabin, appoggiati da Clinton, supererà gli ostacoli e alla fine trascinerà anche la Siria. A dire la verità, la biografia di Hussein è costellata di disastri che sembrerebbero suggerire una tendenza a sbagliare i calcoli. Ma questo è vero solo in parte. La Giordania si è attirata le peggiori disgrazie quando ha agito sotto l'intimidazione di altri Stati arabi. Nel 1967, il presidente egiziano Nasser indusse re Hussein a partecipare alla guerra dei Sei giorni, che fu una disfatta; per convincerlo, lo assicurò di aver già praticamente battuto gli israeliani. Nella guerra del Golfo, poi, Saddam Hussein mise re Hussein nella condizione di apparire suo alleato. Per il monarca la situazione era insostenibile. Accusato dall'Occidente di agire con ci¬ nismo, si alienò i suoi alleati naturali in America, Europa e Arabia Saudita. Ma, adesso, come potrebbe una Siria ostile danneggiare il regno di Giordania, che è protetto dall'America, appoggiato dall'Europa e garantito dall'accordo fra Israele e Olp? Le cause che hanno determinato lo stallo israelo-giordano dopo il 1967 sono note. Israele, preoccupato dalle minacce arabe, sentiva la necessità di chiedere modifiche dei confini più estese di quelle che Amman avrebbe potuto accettare. Ma le difficoltà di re Hussein non erano solo di ordine territoriale. Il suo dubbio fondamentale, in quanto capo di un piccolo Paese, era se toccasse proprio a lui assumersi il rischio di guidare il mondo arabo verso la pace con Israele. Non avrebbero dovuto essere semmai II Cairo, Dama- sco, Baghdad o le città sante dell'Islam a caricarsi quel fardello? Adesso questa situazione è superata. Tutti i vicini di Israele stanno negoziando con Israele. In più, Hussein ha abilmente trasferito la questione palestinese ai leader palestinesi. E, a differenza dei precedenti governi, l'esecutivo israeliano non tronca ogni idea di pace pretendendo di governare in permanenza una massa di due milioni di palestinesi senza offrire loro eguale cittadinanza né la possibilità di stabilire una giurisdizione separata. Quando verrà il momento di determinare confini permanenti, e credo che ci vorranno al massimo tre anni, i tre popoli israeliano, giordano e palestinese - si muoveranno probabilmente verso una comunità che combini l'indipendenza di ognuno con una stretta cooperazione economica, sul modello dell'Unione Europea. La garanzia ultima della pace risiede nella creazione di un interesse regionale comune, con legami così forti da rendere inconcepibile qualunque guerra. Abba Eban Copyright «The New York Times» e per l'Italia «La Stampa» «Sei stato un realista e hai convinto gli arabi» La pace avanza ma a Gaza gli ultra bruciano bandiere israeliane