TAMARO portata dal cuore

«Son andata sulle Dolomiti a cercare di riprendermi dallo choc d'essere diventata ricca e famosa» i nuovissimi. Scrittrice-fenomeno da 350 mila copie TAMARO portata dal cuore SBOLZANO ON qui che sto cercando di riprendermi dallo choc d'essere diventata ricca e —I famosa», dice Susanna Tamaro, nuovissimo fenomeno letterario dell'anno e della stagione, nuovissima a quella vertigine strana e rara che è un successo eccezionale per il mercato editoriale italiano. Il suo breve romanzo Va' dove ti porta il cuore, pubblicato da Baldini & Castoldi, lettera-diario indirizzata da una nonna alla nipote lontana, confessione aspra e delicata di sentimenti, segreti famigliari e rimorsi d'una vita, è arrivato in neppure sette mesi a vendere oltre 350.000 copie. Non succedeva da quindici, vent'anni: per trovare analogie bisogna pensare a La storia di Elsa Morante o a Il nome della rosa di Umberto Eco, arrivati sulle 600.000 copie ma forti d'una ampiezza diversa, di contenuti culturali e d'intrecci sostanziosi, del prestigio già grande dei loro autori. Magra, capelli corti, tuta da ginnastica e piedi nudi, la scrittrice triestina trentaseienne sembra sempre più un ragazzino, «Lucignolo, Pel di Carota, un personaggio da teatro dei burattini», diceva Fellini. Imparentata con Italo Svevo (che era marito della sorella della bisnonna, una delle leggendarie sorelle Veneziani di Trieste), ha avuto come incoraggianti lettori degli iniziali tentativi letterari Claudio Magris, Giorgio Voghera, Biagio Marin. Il primo libro, intitolato col nome d'un paese tra l'Austria e l'Ungheria che ospita un parco di animali, Illmitz, non l'ha mai pubblicato. Il secondo, La testa fra le nuvole, edito da Marsilio nel 1989, fu subito premiato; il terzo, la raccolta di racconti Per voce sola (Marsilio, 1991) fu sostenuto appassionatamente da Natalia Ginzburg, Cesare Garboli, Giovanni Giudici; la favola Cuore di ciccia (Mondadori, 1992) incantò i lettori bambini. E adesso, al quarto libro, un successo che pochissimi romanzieri italiani hanno avuto, che lei neppure aveva mai sognato durante i quasi dieci anni passati «a insistere con le case editrici, chiedere, scrivere, telefonare, fotocopiare, spedire pacchi, ricevere rifiuti, resistere, non rinunciare: ero talmente abituata a essere emarginata...»: intanto, per vivere, utilizzava il diploma di regìa ottenuto al Centro Sperimentale di Cinematografia realizzando alla Rai documentari scientifici. In più, un nuovissimo successo senza scorciatoie, senza lenocinii, senza fatti di cronaca né comicità, senza scandali, senza neanche grandi campagne pubblicitarie. Interroghiamo Susanna Tamaro: l'interrogatorio semplice e un poco poliziesco vuol sapere di lei e, insieme, del caso quasi unico che la vede protagonista. E' una bella estate? «L'estate mi piace ma mi fa soffrire perché è il periodo in cui penso i libri che scriverò: una stagione densa, e infelice. Sono ospite, come da tre o quattro anni, in una casetta di montagna sulle Dolomiti. Vacanza da pensionato: unica emozione quella di tutti, i Mondiali di calcio alla tv, la tensione per le partite della squadra italiana risolte sempre all'ultimo minuto, l'ansia per il mio eroe Baresi, così affascinante. Altrimenti, al caffè, i giornali, ogni tanto in piscina, giornate lente, un po' di valeriana, niente escursioni sui ghiacciai perché invecchio, cammina- te con il mio cane Tommy, un bracco spurio adorabile quando non si rotola nel pesce marcio e nella spazzatura: i cani da caccia usano farlo per mimetizzarsi, perché gli animali cacciati non avvertano il loro odore. Passeggio, guardo le piante. Vegetali e animali sono una passione: per anni da bambina ho tenuto un diario rurale disegnando e catalogando, a sette anni conoscevo già cinquanta specie di volatili; nell'infanzia, classificare, identificare, nominare è un modo per salvarsi dal caos. Leggo molto soprattutto Gente, Oggi. Novella 2000 no, è poco succu¬ lenta, si esaurisce nelle fotografie: uno scrittore, secondo me, più che i giornali deve leggere i settimanali popolari o anche rosa, pieni di vicende umane, di storie di vita vissuta, di stranezza quotidiana, di eccessi normali». I titoli dei giornali, durante i Mondiali, echeggiavano il titolo del suo romanzo: «Italia, va' dove ti porta il cuore»... «Ah, è stata una folgorazione, quel titolo. L'ho trovato, ed ero già a metà del libro, leggendo un testo giapponese in cui un samurai dà consigli di comportamen¬ to e di vita ad aspiranti, dilettanti samurai: e uno dei suggerimenti era appunto questo, "Va' dove ti porta il cuore". E' una frase bella, intensa, chiara. E poi rompe un tabù, quel terrore del sentimentalismo, degradazione del sentimento, che ha creato un interdetto culturale sui sentimenti: forse il successo del libro deriva un poco anche da questo». Se lo aspettava, un simile successo? «Quando ho finito di scrivere, ho chiesto ad alcuni amici, un piccolo circolo di protolettori, di leggere il testo. Lo faccio sempre, è come una prova, un test. Le loro reazioni sono state tutte fortemente negative: nessuno ti perdonerà d'aver fatto un libro simile alla tua età, è una storia di sentimenti, indica valori, è di destra...». Di destra? «Sì. Così mi dicevano: e non ho capito perché. Non che mi sentissi offesa, io sono conservatrice, il mio ideale politico sarebbe una destra illuminata che in Italia non c'è». Neppure adesso? «Meno che mai. Sono orripilata dalla destra italiana attuale, da tutto l'insieme: non c'è un briciolo di serietà, Berlusconi mi sembra un attore del varietà e faccio fatica a realizzare il fatto che sia il presidente del Consi¬ glio. Se la sinistra fosse stata un po' meglio, tutto questo non sarebbe accaduto: è molto deprimente, davvero non so come andrà a finire». Con i suoi amici-lettori come finì? «I loro giudizi negativi mi toccavano e mi addoloravano. Va' dove ti porta il cuore era stato un libro così doloroso da scrivere... Ero disperata. Ho deciso di non pubblicarlo. Ho pensato: lo pubblicherò magari tra vent'anni, oppure quando avrò settantanni. Poi mi sono detta ma chi se ne frega, e l'ho fatto uscire». Su questo successo straordinario ha riflettuto? A cosa lo attribuisce? «Più di 350.000 copie è mostruoso, eccezionale. E poi senza fare quasi niente: sono andata due volte a parlare del libro alla tv in febbraio, e basta. E' incredibile, vuol dire che sei arrivato al nonlettore. Certo che ci ho riflettuto. E' un libro di sentimenti. Introduce un messaggio spirituale. E' molto chiaro, preciso: la precisione è il linguaggio dei sentimenti, mentre l'imprecisione è il linguaggio del sentimentalismo. A me pare sia forse per questi tre elementi che il libro può essere risultato coincidente, consonante con un sentimento collettivo contemporaneo». Quale sentimento? (Smarrimento. Confusione. E una grande incapacità di comunicare a livello personale, da io a te: nel tempo della ipercomunicazione, la comunicazione emotiva s'è perduta. E' un libro che è stato molto regalato, comprato anche per farne dono a qualcun'altro. Vuol dire che in una certa misura è diventato anch'esso un modo per comunicare, per dire: io non so parlarti, ma leggi e capirai. Mi sembra di avvertirlo anche dalle reazioni dei lettori. A Roma, a Trieste o altrove mi fermano per strada. Ricevo una quantità impressionante di lettere, molto belle, pudiche, anche di notevole profondità, anche di gratitudine: e gratuite, neppure una di aspiranti scrittori ansiosi di pubblicare. Prima questi lettori erano soprattutto persone di età, donne, madri: adesso sono uomini, diciottenni». «Va' dove ti porta il cuore» è anche autobiografico? Parla di sua nonna? «Ho pensato alla mia nonna, una donna intelligente, spirituale, molto singolare. Ma non ci sono riferimenti autobiografici diretti alla mia famiglia molto bizzarra: un padre che parla cinese, correttore di bozze, sparito più o meno alla mia nascita; una madre manager, proprietaria di un'agenzia di pubblicità, che quando s'è risposata ha voluto cancellare la sua vita precedente e i figli; due fratelli che lavorano a Trieste; una nonna malata del morbo di Alzheimer, insieme alla quale sono cresciuta e alla quale ho dedicato Per voce sola. Da parte materna, una grande famiglia ebrea cosmopolita, col ricordo d'una solida opulenza: il primo problema adulto che mi sono posta è stato quello delle radici, per viaggiare nel mio passato ebraico-balcanico sono andata in Jugoslavia, in Israele, in Ungheria..». Il successo ha cambiato il suo rapporto con i lettori e con se stessa? «Adesso so chi sono alcuni dei lettori, so cosa pensano. E' bello. Per me questo successo è una gioia grandissima, e mi ha molto stancata. M'ha dato voglia di sottrarmi, di fuggire. Credevo che l'uscita del libro mi avrebbe assorbita per un paio di mesi, invece vengo invitata ovunque, conferenze, festival, presentazioni, serate benefiche; mi chiedono articoli, pezzi, opinioni... Ma io devo stare a casa a scrivere, anzi: a sperare di scrivere». Adesso si sente adulta? «Sento di avere tra i sette e i dodici anni, ma comincio a pensare di star invecchiando. Nel karaté ero abbastanza brava, mi piace: esige approfondimento del proprio essere ed equilibrio del corpo. Io ero paurosissima, d'una timidezza patologica: ma in combattimento non si può mentire, vengono fuori le pulsioni primordiali, e si può sfogare l'aggressività in modo controllato. Poi c'è il fondamentale fatto estetico, la bellissima semplicità ed economia dei gesti, il senso di sicurezza, il rapporto formalistico ma profondo con il Maestro. Ci vuole rigore, freddezza... Niente, ho dovuto sospendere: dolori, artrite, problemi di salute. Ma ora spero di risorgere e di riprendere». Sta scrivendo? «No. Per me è difficile scrivere una cosa, se non è quella a cui sto pensando: e anche in questo caso è faticoso, doloroso. Se può capitarmi di scrivere un articolo su II piccolo principe di Saint Exupéry oppure su Pluto di Disney, è perché son cose che amo, che mi ispirano: del cinema amo soltanto i cartoni animati e i vecchi comici, Buster Keaton, Stanlio e Ollio; dei comici contemporanei mi piace unicamente Woody Alien». Dal suo libro ora viene tratto un film? «Lo dirige Cristina Comencini. Pensavo fosse impossibile, mi dicevo: non lo faranno mai. Anche adesso mi sembra un'impresa difficilissima. Credo che Cristina Comencini abbia intenzione di trarne un film di memoria, qualcosa come 11 posto delle fragole di Ingmar Bergman ma con una donna protagonista. Mi pare che come interprete pensi a Vanessa Redgrave: è un po' troppo giovane ma bravissima, diversa dalle attrici italiane così poco interiori, così declamatorie». Lei collabora al film? «No. Io non c'entro. Non lo voglio più vedere, Va ' dove ti porta il cuore. Mi ha fatto faticare e soffrire. La ricerca della semplicità mi ha fatto impazzire: non è facile essere semplici e non essere banali. Mi spaventa pensare che il prossimo libro sarà ancora più difficile. Sarà terribile». «Son andata sulle Dolomiti a cercare di riprendermi dallo choc d'essere diventata ricca e famosa» «Si fa il film ma io non voglio più vedere il libro, mi ha fatto troppo soffrire» «Più di 3so, eccezquasi nvolte a pfebbraiovuol dirlettore. to. E' untroduce E' moltocisione èmenti, mlinguaggA me paelesdeseco(Snecilo persopo dellacomunicduta. E' to regalafarne dodire chediventatper comso parlaMi semdalle rema, a Tmano pquantitàtere, modi notevgratituduna di a A sinistra e in basso, nella foto grande, Susanna Tamaro. Qui accanto, Federico Fellini e Claudio Magris. Sopra il titolo, Trieste.