L'ultimo dei puri nella città perduta di Giulietto Chiesa

L'ultimo dei puri nella città perduta ANALISI L'ultimo dei puri nella città perduta wmMmmMmmmmmm. MOSCA AL «primo cerchio» all'ultimo. Aleksandr Solzenicyn ò arrivato nella Mosca delle congiure. C'erano, in tutto, cinque personalità politiche ad accoglierlo. Il sindaco Jurij Luzhkov, il membro del consiglio presidenziale e scrittore Jurij Kariakin, il deputato Vladimir Lukin presidente della commissione Esteri della Duma, ex ambasciatore a Washington, del partito di Javlinskij, il deputato Serghei Kovaliov, del partito di Egor Gaidar, ex dissidente, e il prete-deputato Gleb Jakunin, in forma così privata che non è neanche salito sul palco. Una fotografia della diffidenza. Ma quei pochi che sono venuti a riceverlo hanno subito cercato di tirarlo per la giacca spartana, dalla ioro parte. L'ipcr-democratico Luzhkov, uno che si spellò le mani quando l'entità geopolitica Unione Sovietica venne definita defunta, prima ancora che Solzenicyn mettesse piede sul marciapiede aveva già sposato in pieno l'idea dell'unione dei popoli slavi. «Che volete? - ha detto ai giornalisti ■ è inevitabile. Prima sarà un'unione economica, poi sarà anche politica». Pensa alle prossime presidenziali, dove spera di correre. Lukin non si spellò le mani, nel dicembre 1991. E ora è all'opposizione. Gli chiedo: lei è qui in forma ufficiale? E lui punta il dito sulla sua faccia tonda e risponde, ambiguo: «Non è una faccia ufficiale, questa?». Dalla tribuna pronuncia un discorso tutto patriottico. Karjakin non parla. Kovaliov si limita a un benvenuto. C'è la folla, ma ce n'è meno che a Vladivostok. La capitale è occupata in altre faccende, dove la letteratura - e la politica non c'entrano. Le nuove nomenklature, che non sono venute, hanno altro per la testa. Questo eroe anacronistico, per loro, è solo un impaccio, poiché presumono che non diventerà uno strumento. Anzi, peggio, si preI senta sgomitando. IngomI brante anche se solo. Spera- no che lo rimanga, poiché appare troppo astratto, troppo «russo» per cercare alleanze. Ma non si sa mai. La prima cosa che dice - e loro se l'aspettavano - è che questa democrazia non è una democrazia, ma un inganno. E la seconda è che «il popolo è più sano dei suoi governanti». La faccia di Luzhkov rimane di pietra. Kariakin e Kovaliov non mostrano segni di esultanza. L'unico che sorride è il quarto, Lukin. Ma neanche lui può giurare sul significato che Solzenicyn vuol dare a parole così pesanti. Penso agii anni trascorsi da quel dicembre 1936 in cui Andrai Sakharov tornò anche lui z. Moses. TCcn veniva Ò.S.- Vermont. Veniva da Gorki, che ha già camolato nome, nei frattempo. C'era stata una tcieic-nata notturna di Mikhaii Gorbaciov e quell'altro premio Nobel, anche lui, aveva potuto prendere il treno e arrivare - coincidenza - nella stessa stazione. Gorbaciov non venne a riceverlo. Sarebbe stato davvero troppo: aveva già compiuto un passo secolare, liberandolo dall'esilio. Neanche Eltsin è venuto. Non è stato lui a determinare il ritorno di Solzenicyn. L'assalto dei corrispondenti fu selvaggio, come lo è stato ieri. Ma c'erano solo i giornalisti stranieri ad accoglierlo in un'alba gelida di neve. Non un russo, nemmeno un poliziotto in divisa, ma tanti agenti del Kgb disseminati lungo la pensilina con l'aria finto-distratta. Tutto stava appena cominciando. Dopo tre anni Sakharov era il capo dell'opposizione. Adesso tutto si è già compiuto, anche se le cose sono andate lungo una rotta che né Sakharov, né Solgenicyn volevano. Mosca pensa di non avere più bisogno di profeti. Giulietto Chiesa

Luoghi citati: Mosca, Unione Sovietica, Vermont, Washington