Solzenicyn scopre la nuova Mosca di Cesare Martinetti

Solzenicyn scopre la nuova Mosca Un migliaio di persone ha ascoltato sotto la pioggia il primo saluto dello scrittore Solzenicyn scopre la nuova Mosca Pochi gli applausi all'arrivo alla stazione MOSSA DAL NOS1RO CORRISPONDENTE Era l'alba baia del i3 febbraio 19'M quando Aleksandr Solzenicyn, manette ai polsi, venne accompagnato su un aereo Aerofiòt che aveva lui come unico passeggero circondato da una miriade di agenti del Kgb. Non sapeva dove andava, non gli avevano detto niente. Quando l'aeroplano atterrò a Francofone, Solzenicyn come ha scritio nelle sue memorie - pensava che fossi arrivata la fine: «Adesso mi ammassane». Vent anni àcpo. isri aiìe 20,30, i suoi pieci: henno ritoccato ii suole di ivIcsoE sui marciscisele aelia siasi; aro- siavskij. Un marciapiecie nero e liscio, con l'asfalto rifatto da pochi giorni, iunico pulite, quasi appartato, lontano dai fango su cui galleggia la vecchia stazione in stile liberty che a pochi metri da lui ribolliva di popolo/ con i suoi odori e i suoi colori. La Russia di sempre, attraversata da umani che sembrano in emigrazione perenne, con borse, valigie, paccni, scatoloni, salami da sbucciare con il coltello, bottiglie di birra e di vodka infilate nelle tasche. Un barrami ùì a baluginante per le luci degli infiniti videogames, poker elettronici, slot-machines mangia rubli dove persino i miliziani consumavano l'attesa del ritorno dei grande vecchio. Il treno da Jarosiavl, ultima tappa del suo pellegrinaggio, è arrivato puntuale. Ad aspettare Aleksadr Isaevich c'erano solo il sindaco di Mosca Luzhkov (accolto da fischi e urla) e quattro amici del vecchio dissidente. Lungo le transenne e nella piazzetta accanto alla stazione, 2-3 mila persone. Ma è difficile dire quanti erano venuti lì per lui e quanti semplici passeggeri. Quando il viso arrossato e stanco di Solzenicyn (sempre sotto braccio alla moglie Natalia) è apparso sul marciapiede s'è levato un timido applauso, qualche grida di «urrah, urrah»; ma anche - pochi - insulti: «Traditole». Due soli cartelli si levavano sulle te- ste. Uno diceva: «Grazie a Solzenicyn che ha mostrato a tutti il gulag rosso dei fascisti». L'altro: «No all'americanizzazione del Paese». Le autorità, come aveva chiesto lui stesso, non erano presenti. Poche ore prima, il leader ultranazionalista Vladimir Zhirinovski aveva dichiarato senza mezzi termini che lo scrittore dovrebbe tornarsene negli Stati Uniti. C'era solo il sorridente, grasso, elegantissimo e abbronzato sindaco Luzhkov. Prima di incontràrio ha detto: «Sono contento che torni, farà riflettere i russi)/. Guand'è arrivato è salito sul vagone che era attaccato subito dietro la locomotiva, s'è fermato qualche minuto, poi s'è trasformato in guardia del corpo aprendo la strada a Solzenicyn in mezzo ad una ressa di fotografi e giornalisti. Aleksandr Isaevich sembrava perplesso, emozionato, sorpreso. Il caos è stato tale che non è nemmeno riuscito a assaggiare - come da tradizione - un boccone di pane e un pizzico di sale che aveva preparato la signora Larisa Bunina in rappresentanza dell'Associazione vittime della repressione. Suo padre era stato macinato nelle purghe staliniane due mesi prima che lei nascesse e con lui erano stati uccisi altri cinque suoi parenti. Lo hanno spinto dentro la stazione, in una saletta con le tende bianche, E poco dopo è ricomparso su una specie di balcone-terrazza dove aveva preparato il microfono. A 50 metri una statua di Lenin, piccolo e grigio. Sotto la pioggia ha parlato prima Lushkov, poi due deputati, poi lui, Aleksandr Isaevich, con quella sua voce un po' stridula, incrinata solo all'inizio. «In otto settimane di viaggio ho ascoltato tanti... spero di riuscire a portare le loro parole all'o- recchio di quelli che hanno il potere». Un migliaio di persone ascoltava sotto la pioggia battente. Timidissimi applausi, qualche «oh,oh», provocatori sparsi (soprattutto donne anziane) che ripetevano ad alta voce il vecchio ritornello della propaganda sovietica: «Ma lo sapete che ha fatto morire decine di ufficiali?». Alle 9,20 era finito tutto. Aleksandr Isaevich s'è di nuovo ritirato dentro la stazione mentre i facchini caricavano i suoi bagagli su un pullman. Sul torpedone preceduto da una piccolissima scorta della milizia, Solzenicyn, moglie, due figli e la troupe della «Bbc» che ha filmato ogni istante del suo ritorno in Russia, ha attraversato la città per arrivare sulle rive della Moscova, ai margini del centro, in vicolo dei Lavoratori 17. Qui, in un grande palazzo che un tempo si sarebbe detto «di nomenklatura», la moglie Natalia ha acquistato un alloggio al dodicesimo piano composto da due appartamenti: 200 metri quadrati con vista sul fiume. L'alloggio nel 1992 (quando fu concesso ai Solzenicyn dal Comune di Mosca) è costato 4 milioni 284 mila 642 rubli, circa 25 mila dollari al cambio di allora. Si era all'inzio della privatizzazione. In quella stessa casa abita il ministro dell'Economia Shokin e quello delle Privatizzazioni Chubais; gli altri inquilini sono facoltosi businessmen. Alle 10 meno un quarto Solzenicyn era sulla porta di casa. Gli ultimi metri li ha fatti a piedi perché il suo pullman non riusciva ad entrare in cortile. Gli abbiamo chiesto come gli era parsa Mosca. Ci ha risposto: «Non era la prima volta che la vedevo... sono stato qui vent'anni fa». Emozionato? «Un po' prima dell'arrivo, ma niente di più». Sorridendo è salito sull'ascensore e quando la porta si è aperta davanti all'interno 63, come se si liberasse di un peso, ha sussurrato: «Eccoci a casa». Cesare Martinetti Zhirinovski attacca «Non ci servono immigrati, se ne torni in America» A sinistra due immagini dell'arrivo di Aleksandr Solgenicyn ieri a Mosca A destra il fisico Andrei Sakharov

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