«Ecco perché l'Italia è morta»

IL CRITICO «Ecco perché l'Italia è morta» Zeri: «E' tutta colpa della classe media» IL CRITICO ALL'ATTACCO SMILANO OTTO alla zazzera bianca, gli occhi e le guance di Federico Zeri (critico d'arte e del mondo, instancabile giocoliere, navigatore solitario di cultura, prezioso nei nostri giorni senza bussola) si infiammano come i legnetti di sandalo che usa per appiccare l'incendio ai suoi mezzi toscani: «La classe media! E' lei la colpevole di questa Italia morta, stramorta... Io la detesto, la aborro...». Nuvola di fumo grigio: «Quando l'otto settembre 1943 si è chiuso il Risorgimento italiano, e dico il Risorgimento, con Mussolini ancora impantanato nei miti di Roma doma e delle avventure imperiali e di tutto quel ciarpame che altrove, in Europa, declinava, la classe media, in ispecie gli intellettuali, hanno smesso di credere nello Stato, è morta l'Italia e rinato il menefrego... Per cinquantanni siamo stati imbalsamati dalla guerra fredda, ma una volta caduto il muro di Berlino, ecco la dissolvenza delle quinte, il crollo. Tangentopoli è frutto di quella ignavia, e l'oggi è il suo compimento finale...». Professore, lei parla di Berlusc... «Alt! Non pronunci! Io nomi non li faccio, ho già tanti fastidi, tante querele, tanti nemici...». E allora dica senza nomi. «Appunto. E dicevo che l'Italia, in tanto sfilacciarsi di culture, localismi, ha vocazione autoritaria. L'ha per forza. La democrazia nasce dalla cultura protestante, nel freddo Nord. Per noi, cattolici mediterranei, la democrazia è favola. Non è destinata a durare». Affaticato dall'incipit, Zeri, nel salotto di una sua buona amica milanese - donna minuta, occhi celesti che ospita il riposo milanese del professore tra ori, legno e terrazza boschiva - pilucca l'uva passita, il Martini, rallegrandosi poi dei suoi paradossi: «Questo è un Paese sfasciato in mano a cialtroni. E se lo offrissimo alla mafia? Sono organizzatissimi, ricchissimi...». «Ma vendono la droga...» azzarda con un fremito la padrona di casa. Lui sbuffa dentro al caffctano comprato a Ebron, replicato dal suo sarto parigino, mai più smesso. Lei insiste: «La droga che distrugge tanta gioventù...». E lui: «Giovinezza, giovinezza primavera di bellezza...». S'interrompe: «Facciamo un po' di scherzi telefonici?». «Federico, non alle i.iie amiche». «E perché?» «Perché poi si offendono con me». «Ma no»; è alla cornetta, due squilli, finta voce in falsetto: «Prontooo, buongiorno, c'è la signora? Sono quello della biancheria intima. Come quale biancheria? Quella che la signora ha comprato e già pagato: reggipettini col capezzolo nudo, mutandine con lo stimolo... Non ne sa nulla? Oh, diavolo, richiamerò». La padrona di casa diventa rossa, ma Federico ha già archiviato: «Dicevo?». L'Italia, la democrazia... «Sa cosa diceva Flaiano? La peggiore dominazione subita dal nostro popolo è stata quella italiana. Aveva ragiono. Io ce l'ho tanto con il Risorgimento perché ha anziché creato l'unità d'Italia l'ha distrutta. Prima l'Italia era unita per via linguistica, religiosa, artistica, dinastica. Poi c'è stata la dominazione piemontese sul Sud, la viltà degli intellettuali che si sono piegati ai nuovi padroni, il declino del Meridione colonizzato e poi spopolato, il massacro della Grande Guerra, l'operetta tragica del ventennio fascista, l'altro macello mondiale che cominciò il 10 giugno del 1940, lo ricordo come fosse ieri, piazza Venezia, con Mussolini che annuncia l'entrata in guerra e la gente che gridava: duce! duce! cieca all'evidenza, come è cieca oggi, incapace di immaginarsi il fischio delle bombe, il rumore del sangue, come è sorda oggi allo scricchiolio che avanza. Noi italiani non sappiamo che farcene del passato e del futuro, ci lasciamo conquistare dal presente». «Ebbene, lo Stato centrale nato dopo la fine della guerra ha iniziato a divorare l'Italia e oggi siamo a quel che resta, in mano alla classe media che ha occupato tutto, ma senza una coscienza nazionale, badando a perpetuare il proprio potere. L'intrigo e la tangente nascono da lì. La nostra prossima fine, anche». Nel soprassalto il viso assume un'espressione esausta che pre¬ lude, di colpo, a una risatina: «Chi l'avrebbe mai pensato che al diciannovesimo secolo, sarebbe seguito il ventesimo!». Accavalla le gambe e dal caffetano spuntano scarpe nere e calze blu. «Si dovrebbe ridere di più, non crede? Ma la satira è scomparsa, tutti si prendono così sul serio... Io no». Riflette. E d'improvviso: «La cultura! Dov'è finita la cultura in questo Paese? Inghiottita dalla tv e dai supermercati. Non c'è arte, non ci sono libri, non c'è musica». Professore, non sarà anche lei uno snob di sinistra... «No, io sono un reazionario... Ma le dico che la tv cretina è cretina e basta, una vergogna per l'intelligenza». Perciò non la guarda. «Magari! Invece la guardo: telegiornali, film, ma poi mi arrabbio per tutto il resto. Allora leggo le riviste che mi arrivano a tonnellate per posta e mi arrabbio. Leggo i libri appena stampati e addirittura mi imbufalisco. Niente scampo. Ecco mi dica an libro, un autore... Gielo dico io: Sebastiano Vassalli, lui è grande, solo lui. Il resto è roba da premi, abominio, carta che poteva restare albero... Se penso alle foreste del Madagascar e del Brasile che diventano romanzetti e cataloghi di un fastoso nulla, io mi indigno! Anzi mi addormento. Strega, Campiello, Viareggio: pattume. Gli anni d'oro di un secolo sono pochi, non più di venti. E non sono questi. Lei di Pasolini che ne pensa?». Un grande saggis... «Il cinema! Lui è stato eccelso nel cinema, per il resto era bifronte: angelo e diavolo, fesso e geniale. Mi turbava. Aveva una voce meravi- gliosa, ma bruttissime mani. E di Fellini cosa mi dice?». Fellini era... «Per me sono belli i suoi primi film, "Lo sceicco bianco", "La strada", "I vitelloni"... Poi stop, ogni film è diventato solo un monumento a se stesso, una macchina estetizzante, niente... Però lui era un grande provinciale, un affabulatore fantastico, di quelli che solo nella provincia italiana possono prendere l'ossigeno». «Posso avere un altro piccolo Martini?», chiede. Nella pausa di un sorso, si fa in tempo a pronunciare il nome di Carmine Benincasa, il critico d'arte arrestato a Roma per una storia di quadri rubati. Ops, il sorso va di traverso: «Non faccia quel nome, per carità. Io non dico neanche una parola». Ma il filo sui danni dell'oggi è ripreso: «Ci vorrà un trauma per ripulire l'Italia, il Vesuvio o l'integralismo islamico. A ottobre fanno 50 anni di vulcano dormiente, ma che questo Paese non possa durare è fatale. Si guardi in giro, pensi alla schiuma che è venuta fuori dalla de. Era il primo partito, e cosa è rimasto? L'unico galantuomo dopo De Gasperi, Martinazzoli, se n'è andato. Un uomo magari difficile, con la voce che sembra un lavandino stappato, ma il solo a cui io affiderei il mio patrimonio senza ricevuta. E guardi gli altri...». Gli altri del governo? «Non me lo faccia dire. I nomi, un giorno o l'altro, mi piacerebbe pronunciarli e non solo quelli dei potenti in vista, ma anche di chi ha intasato l'ombra dei corridoi del potere nelle università, nelle case editrici, nei salotti dei premi letterari, nella critica d'arte». Li farà? «Ci può giurare. Raiuno mi ha proposto per l'autunno di tornare in tv con una intervista alla settimana. Ci sto pensando». Ci tornerà anche se in Rai tira aria brutta dopo i professori? «Mi coprirò». Pino Corrias «Siamo in mano a cialtroni e presto la democrazia finirà» «Martinazzoli è il solo a cui affiderei il mio patrimonio senza ricevuta» Il critico d'arte Federico Zeri (foto grande) parla del regista Federico Fellini (a sinistra) «Per me sono belli ■> soltanto i suoi primi film» Mino Martinazzoli, ex segretario ppi