La salvezza arriva da Est

Il Papa nel libro di Gawronski Il Papa nel libro di Gawronski La salvezza arriva da Est Il L 1989, anno d'avvio delle prime scosse telluriche che faranno crollare l'uno dopo l'altro come castelli —I di sabbia i sistemi comunisti europei, è stato storicamente il punto visibile di sbocco e di rottura di un processo d'implosione sotterranea innescato da una lunga catena di cause concomitanti e profonde. Tuttavia, quest'erosione endogena non basta a spiegare da sola l'avvento di un fenomeno presentatosi d'improvviso, agli occhi esterrefatti del mondo, sotto l'aspetto di una cieca e autofaga calamità geologica. Anche l'intervento della volontà umana o, per essere più precisi, di due fortissime volontà morali e religiose, ha avuto la sua parte se non altro nell'acceleramento del sisma e poi del crollo dell'impero sovietico. Difatti, ogni tentativo di decodificare l'intreccio dei motivi che hanno prodotto l'immane implosione risulterebbe incompleto se non tenessimo nel debito conto l'opera e il destino di due personalità eccezionali, emerse con un vigore di pari energia, e quasi di pari simultaneità catartica, dal gelo e dal letargo apparente dell'Est slavo e comunistizzato. Forse si sarà capito che ci riferiamo al polacco Karol Wojtyla e al russo Aleksandr Solzenicyn, Anzi, non sembra affatto azzardato supporre che le loro vite parallele, entrambe impegnate con modi e accenti non tanto diversi a estrarre l'anima dei rispettivi popoli slavi da sotto le ceneri del comunismo, verranno ricordate nel futuro come le vite di due figure centrali e risolutive di questo secolo. L'impressionante crollo del muro di Berlino non venne sigillato o per così dire ratificato in maniera solenne, davanti al mondo, dal non meno impressionante abbraccio in Vaticano fra il patrono della liberalizzazione polacca e il profeta della rinascita russa? Non è stato certo uno spettacolo ordinario quello che ci ha fatto vedere sotto gli affreschi vaticani il volto sofferente dell'ex forzato Solzenicyn, erede diretto di un altro grande deportato russo, ortodosso pugnace e apocalittico, che si chiamava Dostoevskij e che nel Papa di Roma vedeva addirittura le sembianze demoniache dell'Anticristo. In quell'incontro, a suo modo sconcertante, drammatico, paradossale, fra un Pontefice anomalo perché slavo e il più significativo scrittore slavo vivente si è celebrato un rito culturale più unico che raro: si è quasi compiuto un atto di riconoscimento, di riparazione reciproca, che andava assai al di là della resistenza comune al bolscevismo, che scendeva nel profondo delle tormentate storie nazionali dell'Est europeo e segnava, dopo secoli d'attrazione e di repulsione, l'alto momento simbolico di riconciliazione fra due spiritualità contrapposte e due nazioni guida del variegato e conflittuale universo slavo. Non ho potuto fare a meno di pensare a tutto questo, in particolare alle così suggestive similitudini fra il messaggio evangelico di Wojtyla e il pensiero messianico di Solzenicyn, addentrandomi nella lettura del limpido libro dedicato da Jas Gawronski alla vita e, come suggerisce ambiziosamente il titolo, al Mondo di Giovanni Paolo II (ed. Mondadori). In tutto un centinaio di pagine didattiche e scorrevoli, che però «valgono tre encicliche», secondo l'autorevole giudizio di un prelato vaticano. Il volumetto si dispone come un trittico in miniatura, contenente nelle pagine d'avvio una concisa prefazione del cardinale Carlo Maria Martini, poi nelle pagine centrali la nota e unica intervista mondiale concessa tramite Gawronski dal Papa alla Stampa, infine nelle più nutrite pagine conclusive un illuminante squarcio biografico sulle esperienze di missione dell'ex sacerdote di Cracovia e di studio dell'ex ordinario di filosofia all'università di Lublino. Per dirla con Piero Ostellino, «il miglior profi- Karol Wojtyla 10 del Pontefice oggi in circolazione». Un profilo che palesa una personalità intellettuale assai più frastagliata, qua e là addirittura contraddittoria, di quanto la rude complessione fisica di Wojtyla non lasci indovinare. «Il robusto montanaro», come lo chiamava affettuosamente il cardinale Wyszynski, non s'è nutrito soltanto di mistici e di patristi. La sua percezione di Dio, sentito come il saggio motore mobile più che immobile di una storia finalistica e autocosciente, è quella di un teologo che ha letto a fondo Hegel e che cerca di rintracciare l'originario filone cristiano nella secolarizzata lezione hegeliana; la sua concezione della persona umana, della libertà e dignità spirituale del singolo, affonda le radici nel personalismo di Emmanuel Mounier; il suo modernismo gnoseologico, in cui 11 tomismo si combina arditamente con la fenomenologia tedesca, risente di una lettura comparata di Max Scheler e di Réginald Garrigou-Lagrange. Ma per comprendere ancora più a fondo, al di là del Pontefice, il Wojtyla uomo, il Wojtyla moralista, infine il complesso Wojtyla politico, insieme postcomunista e postcapitalista, bisogna risalire alla sua matrice etnica e geografica: bisogna riandare a quella sua intensa e poliedrica polonità che scientemente e orgogliosamente trabocca in una sorta di fluviale panslavità ecumenica, in cui non si riesce quasi più a distinguere con nettezza la linea di demarcazione tra ortodossia d'Oriente e cattolicità d'Occidente, tra San Benedetto e i santi Cirillo e Metodio. La coincidenza millenaria fra slavità e cristianità sembra molto più importante, per Wojtyla, che la formale dissidenza scismatica tra Roma e Bisanzio. Dopo la persecuzione marxista che ha ridotto tutte le varianti cristiane dell'Est in semischiavitù, dopo la recente incubazione del capitalismo selvaggio che già insedia il vitello d'oro nel vuoto postmarxista, è nella rinascita del cristianesimo slavo, senza distinzioni confessionali, che il Pa pa polacco mostra di vedere la via della salvezza. Ex Oriente lux. A duemila anni dalla venuta in Europa degli apostoli asiatici di Cristo, il Pontefice slavo sembra riscoprire negli slavi un nuovo popolo eletto, erede del popolo d'Israele, strumento divino della rievangelizzazione dell'intera Europa sconciata dagli aspetti deteriori della secolarizzazione e dell'edonismo consumistico. E' in questa visione di una seconda evangelizzazione europea, nuovamente in marcia dall'Oriente, che il pastore di Cracovia si unisce in un dialogo a più voci con i grandi mistici, poeti e profeti polacchi e russi, da Brodzinski a Mickiewicz, da Dostoevskij fino a Solzenicyn. Non a caso le severe esortazioni morali che, in questa fase d'inquinamento ultracapitalistico, Wojtyla rivolge ai polacchi, hanno quasi lo stesso timbro e lo stesso contenuto dei messaggi che Solzenicyn va lanciando ai russi. L'idea messianica che la cristianità slava, salvando se stessa, dovrà giocoforza salvare e nobilitare «l'Europa dello spirito», non è certamente nuova. Quel che è nuovo è il tono postmoderno, militante, alla sua maniera europeistico, di un appello che era già echeggiato nelle parole e negli scritti ottocenteschi degli slavofili russi. Infine nuovissimo, storicamente eccitante e straordinario, è che tale appello salvifico si levi addirittura dalla Prima Roma cattolica invece che dalla Terza Roma ortodossa. Sono le vie imperscrutabili del Dio hegeliano che Giovanni Paolo II conosce bene come filosofo, come teologo e, soprattutto, come politico missionario e carismatico. Direi che il semislavo Gawronski ha fatto centro cogliendo il nocciolo duro del fenomeno Wojtyla. Enzo Bettiza Karol Wojty