L'angelo azzurro un'allucinazione di Gianni Rondolino

E von Sternberg creò la Dietrich E von Sternberg creò la Dietrich L'angelo azzurro un'allucinazione PI UO' darsi che il giudizio sprezzante di Borges a proposito di Delitto e castigo, che il regista Joseph _—J von Sternberg aveva tratto incautamente dal romanzo di Dostoevskij nel 1935, sia tuttora valido, anche se in parte da rivedere; ma certamente le sue osservazioni sull'opera sternberghiana in generale sono ancor oggi illuminanti per cogliere la natura propria e originale di un cinema fatto soprattutto di luci e di ombre, atmosfere e luoghi dell'anima, raffinatezze e momenti di grande tensione estetica. Borges parlava della «musa inesorabile del bric-àbrac», ma anche di «asfissia» e di «follia»; delle «sue abituali maro! tes», di quella sua mania per le trasparènze, gli effetti di luce, le immagini ridondanti, piene fino a scoppiare d'ogni sorta di oggetti, ma anche e soprattutto di «stati allucinatoti». Come a dire che Sternberg aveva saputo creare, almeno fino al 1935, l'anno di Delitto e castigo e della fine del suo sodalizio con Marlene Dietrich, un universo cinematografico del tutto originale, in cui sogno e realtà riuscivano a convivere in una dimensione schermica che ne coglieva la complessa e inquietante ambiguità. Ora che si celebra, o si dovrebbe celebrare (ma pochi se ne sono accorti) il centenario della nascita - era nato a Vienna il 29 maggio 1894, da Moses Sternberg e Serafine Singer riacquista una certa attualità e soprattutto una nuova dimensione estetica quel suo stile barocco, in cui potevano coesistere kitsch e horror vacui, un cattivo gusto fatto di ricordi viennesi e della dura vita americana per sopravvivere alla miseria e all'emigrazione, una paura del vuoto che gli veniva forse dalla mancanza di una vera identità (né quella viennese, né quella hollywoodiana). In questo senso, le indicazioni di Borges e i libri, in realtà non molti, che su di lui sono stati scritti, offrono non pochi spunti per un riesame dell'intera sua opera, anche al di fuori dei film interpretati da Marlene Dietrich, di cui Sternberg fu indubbiamente il «creatore», più ancora che il pigmalione. E certamente l'incontro con l'attrice tedesca, che aveva interpretato una decina di film di scarso rilievo prima di essere Loia-Loia nell'Angelo azzurro, segnò per Sternberg non soltanto una svolta nel suo stile, nella concezione del cinema come proprio personale linguaggio espressivo, ma anche nella sua carriera ili regista di successo. Prima egli aveva diretto opere d'indubbio valore, per alcuni versi anche migliori del film con la Dietrich, come The Salvation Hun/trs, il suo esordio nel 1925, o Vnderwor/di 1927) o The Docks o/New York (1929); ma fu proprio l'Angelo azzurro, girato in Ciermania fra il novembre 1929 e il gennaio 1930 e presentato trionfalmente a Berlino in aprile e poi in tutto il mondo, a fare della coppia Sternbeig-Dietrich la stella nascente di un nuovo erotismo cinematografico. Non solo, ma quel film e i successivi crearono attorno al regista una atmosfera d'attesa e di mistero ch'egli coltivò, e fecero dell'attrice il nuovo emblema femminile che Hollywood volle contrapporre a Greta Garbo. Vangelo azzurro, tratto dal romanzo di Heinrich Mann, non fu infatti la storia della degrada- Marlene Dietr h zione del professor Rath, interpretato «all'antica» da Emil Jannings, ma la storia di un personaggio assolutamente inedito nel cinema di allora: quella Loia-Loia, sensuale e cinica, affascinante ed anche melanconica, che un giornale berlinese descrisse così: «Canta e recita con flemma, quasi senza fatica; ma questo atteggiamento coscientemente flemmatico è eccitante. Lei non "recita" volgare, lo è». Quasi a sottolineare la novità di una recitazione che infrangeva i canoni consueti del cinema muto e del primissimo cinema sonoro. Un'attrice che non era più l'interprete di un personaggio, ma essa stessa «personaggio». Di qui il percorso simbiotico che Sternberg e la Dietrich fecero quando lasciarono l'Europa per i'America, Berlino per Hollywood. Un percorso che spinse il regista a curare sempre più la forma delle immagini e i ritmi del montaggio, a calibrare il suo stile sui modi recitativi dell'attrice; e quest'ultima a perfezionare il suo personaggio sino ai limiti della stilizzazione e della maniera. Un percorso che durò poco più di un lustro, interrompendosi in quel 1935 che vide il cinema di Sternberg infrangersi contro la letteratura di Dostoevskij, e l'arte della Dietrich andare verso altri lidi, meno originali anche se più variegati, sotto la guida di Lubitsch, Clair, Wilder, Hitchcock, Lang, Welles e molti altri minori e minimi. Fu in questi anni - da Marocco (1930) a Disonorata (1931), da Shangai Express (1932) a Venere bionda (1932), da L'imperatrice Caterina (1934) a Capriccio spagnolo (1935) - che Sternberg portò alle estreme conseguenze il suo gusto estetico, decadente e raffinato, sin quasi a trasformare lo schermo nell'immagine trasparente dei suoi desideri e delle sue manie. Ma le scene e le sequenze di questi film, ricchi d'una suggestione ancor oggi forte e coinvolgente, vanno ben oltre i limiti delle storie e dei personaggi, la convenzionalità delle situazioni e le banalità psicologiche o sociologiche. Sono forme viventi, immagini semoventi che ci trasmettono un mondo fantastico, in cui la donna, come emblema stesso della femminilità, amore irraggiungibile e desiderio represso, si manifesta in tutta la sua carica erotica. Di questo erotismo Sternberg fu l'artefice principale; ma esso si espresse appieno soltanto incarnandosi in Marlene. Quando i due si lasciarono, anche la vena del regista parve inaridirsi. 1 film seguenti, di maniera o di commissione, furono le tappe d'una carriera che si andava spegnendo in una solitudine aristocratica. Soltanto nel 1953 Sternberg tornò a riproporre il suo erotismo in un film realizzato con pochi mezzi in assoluta libertà, Lisola della donna contesa. E fu un ritorno esemplare, anche patetico e quasi commovente. 11 vecchio regista (in realtà aveva meno di 60 anni) non aveva abbandonato i suoi vezzi e le sue manie. Ma erano stati proprio essi a farne uno degli autori più rappresentativi e originali del cinema hollywoodiano degli anni d'oro. Quando morì, il 22 dicembre 1969, quel cinema era già morto da almeno un decennio. Gianni Rondolino Marlene Dietrich

Luoghi citati: Berlino, Europa, Hollywood, Marocco, New York, Shangai, Vienna