Computers fermi, due minuti per l'uomo di Gianfranco Piazzesi

Compiiters fermi, due minuti per l'uomo Compiiters fermi, due minuti per l'uomo Alla fine solo Armstrong, sfiorando la Luna, deciderà se e dove atterrare (Dal nostro inviato speciale) Houston, 19 luglio. La marcia di trasferimento è quasi terminata: l'uomo sta per affrontare un'esperienza nuova per la quale è stata coniata una parola nuova: l'allunaggio. Armstrong e Aldrin, che fino a ieri potevano apparire soltanto due robot viventi guidati alla perfezione dai computers, riocquistano la loro dimensione umana: li attende una prova che li richiede in ugual misura abili e temerari. Più che ad un'aquila, il modulo lunare assomiglia a un insetto mostruoso: dimensioni a parte, gli è uguale nell'assurdità della forma e nella leggerezza. Concepito per operare nel cosmo, dove la forza di gravità non esiste, e sulla Luna, dove questa forza di gravità è inferiore di sei volte a quella terrestre, progettato per ripartire usando una minima quantità di carburante, il modulo è fragilissimo. Urtando contro la superfìcie terrestre andreb- • certamente in frantumi. Armstrong e Aldrin raggiungeranno i loro nuovi posti di coinundo. che sono di una estrema semplicità: due mensole dove poggeranno i piedi tenendo le spalle accostate alla parete. L'insetto spaziale camminerà per molto tempo all'indietro; perciò i due astronauti, quando Vii Aquila» si staccherà dal « Columbia », punteranno verso la Luna con la faccia rivolta verso la Terra. Comando manuale Una luce violacea illumina le pareti grige. Dinanzi agli astronauti sta un quadrante con diciannove tasti neri: è il computer che li guiderà fino a cinquecento metri dalla Luna e che garantirà che tutte le parti del « modulo », complesso almeno quanto è fragile, funzionino perfettamente. Accanto, uno schermo radar informerà sul percorso da coprire con una approssimazione di trenta metri. Se qualcosa non funziona, se il computer decide di accendere la spia di allarme, Armstrong preme due bottoni, uno tondo e uno quadrato, e l'insetto si spacca. La parte inferiore precipita verso la Luna; quella superiore. sotto la spinta di quattro razzi, dovrebbe ritornare nell'orbita di parcheggio e riagganciarsi alla capsula. Nel momento in cui l'uAquila» si stacca dal «Columbia;», il tetro silenzio del cosmo è rotto da un rumore che nessun terrestre finora ha mai ascoltato. L'astronauta Staffarti, che ha fatto questa esperienza nel corso della missione « Apollo 10 », lo descrive cosi: ii E' diiliuile renderci conto di quanto siano sottili le strutture de! "modulo". Siccome è stato costruito soltanto per 11 lavoro lunare, il modulo ha una copertura estremamente tenue e ogni razzo, pur piccolo, oppure ogni motore, producono un fracasso spaventoso. Sopra dì voi battono decine di martelli a un ritmo frenetico e l'incudine è la vostra testa. Io ho guidato più di cento aeroplani diversi, ma non ho mai udito qualcosa di simile ». Del pari angosciosa deve essere un'altra sensazione: sentirsi attrarre verso la Lu na a una velocità iniziale di quattromila chilometri all'ora Dai finestrini del «mo¬ dulo», Armstrong e Aldrin vedranno emergere, con rapidità portentosa, montagne e crateri: avranno la stessa impressione, ma più protratta nel tempo, di un aviatore che si lanci da un aeroplano e che attenda qualche istante prima di aprire il paracadute. L'allunaggio durerà un'ora. L'« Aquila » non si dirige verso la Luna in picchiata; plana secondo una traiettoria obliqua. Dopo quarantotto minuti, il « computer » segnala che i due astronauti sono arrivati a quindici chilometri dalla meta, una altezza di poco superiore a quella a cui procedono gli aerei commerciali, Armstrong dovrà allora adoperare ì comandi manuali, raddrizzare la posizione dell'insetto spaziale, consentirgli di depositarsi sull'ignoto Se tutto va bene, dodici minuti ancora, e la Luna è conquistata. E' uno dei momenti più difficili. Il passaggio dal controllo automatico a quello manuale è una delle incognite del viaggio. Tutte le prove, infatti, sono state finora condotte sulla Terra, dove è impossibile ri¬ produrre le condizioni ambientati che si trovano nel cosmo. Eppoi, le riserve di carburante sono minime. Armstrong deve azionare altri razzi frenanti, per diminuire ancora la velocità, e altri razzi più piccoli, sistemati lateralmente, per far piegare su di un fianco la navicella spaziale. Con movimenti più rigidi e più bruschi, come si conviene a questo insetto senz'ali, il modulo si comporterà come un uccello o come un aeroplano quando, in procinto di atterrare, curva per perdere quota. L'oblò sulla Luna A trecento metri dal suolo, l'nAquila» è finalmente nella posizione corretta: la testa verso la Luna, la coda in direzione della Terra. Le tre zampe sono pronte a posarsi nel pressi del Mare della Tranquillità, ai bordi del cratere Moltke. in un punto che le sonde spaziali hanno fotografato almeno in cinque occasioni diverse dopo averne saggiata la consistenza con gli strumenti di bordo. E' un terreno che dovrebbe es- da ostacoli, insieme, di una sere sgombro compatto come la battigia spiaggia. La traiettoria obliqua è terminata, Vii Aquila » deve compiere gli ultimi trecento metri in verticale, coma un elicottero. Sono le prime luci dell'alba: l'unico momento, nel corso della giornata lunare che è lunga quanto quindici giorni terrestri, in cui la luce è meno abbagliante e in cui le ombre dei crateri ap paiono meno profonde. Armstrong e Aldrin, grazie a una finestra triangolare sistemata proprio sotto la pancia dell'nAquila», scorgeranno il panorama lunare come se fossero sull'alto di una collina. Commozione, stupore, orrore, paura? Per qualche attimo la sceneggiatura elaborata a Houston consentirà ai due esploratori, fino ad allora occupatissimi a leggere i computers e ad azionare i razzi, di guardarsi intorno, di provare un sentimento urna Gianfranco Piazzesi (Continua a pagina 2 settima colonna)

Luoghi citati: Columbia