Ayatollah sul Rio de la Plata di Vincenzo Tessandori

Ayatollah sul Rio de la Piata Ayatollah sul Rio de la Piata Gli intrighi mediorientali della destra TUTTI I NEMICI DEGLI EBREI ICE lo scrittore Ernesto Sabato, che fu il presidente della commissione «Nunca Mas», «Mai più», chiamata a esaminare le atrocità dei militari e investigare sui 30 mila desaparecidos, il medioevo argentino: «E' doloroso e strano che un Paese d'immigrazione nel quale per decenni ci fu una grande tolleranza religiosa, sia stato scelto come luogo per questo attentato». Già: perché l'Argentina?, perché Buenos Aires? La prima risposta è che sulla riva destra del Rio de la Piata prospera la comunità ebraica più numerosa dell'America Latina e con i suoi 400 mila membri, tre quarti dei quali vivono nella capitale, rappresenta un bersaglio privilegiato. Non è un'immigrazione recente quella degli ebrei. I primi sefarditi arrivarono fra il XVI e il XVII secolo e s'installarono a Tucuman, nel Nordovest non lontano dalla frontiera boliviana. Una seconda e più massiccia immigrazione fra il 1880 e il 1914: 115 mila ebrei cercano il futuro in Argentina. Fra i nuovi, almeno 30 mila russi che scelgono la vita libera dei gauchos, ma gli altri preferiscono la capitale, così europea, cosmopolita e tollerante. Secondo il censimento di quell'anno gli immigrati italiani sono 669.193, gli spagnoli 741.154 e gli arabi, concentrati nelle province occidentali di La Rioja e Catamarca, arrivano a 52.563. Dopo la Seconda guerra mondiale, dopo l'Olocausto, si rovescia sull'Argentina un'altra piccola alluvione: la comunità israelitica sale a 250 mila persone su 16 milioni di abitanti, divengono 276 mila nel '60, quando la popolazione è di 20 milioni. Gente rapida a inserirsi: a Buenos Aires, su 10 psicologi, medici e architetti otto sono ebrei. Non si consumano program, non c'è antisemitismo anche se nel periodo del primo Peron si ostentano simpatie per l'Asse, tanto manifeste da concedere poi asilo a gerarchi nazisti e italia¬ ni. Un altro momento nero, durante il governo della junta militare, quando alla Casa Rosada c'era Jorge Videla, alla sua sinistra il generale Viola e alla destra l'ammiraglio Massera, il piduista. Ora alla Casa Rosada c'è Carlos Menem, neoperonista, di origine siriana che si dichiara amico degli Usa e anche d'Israele, suo alleato. Un «turco», dunque, come gli arabi vengono chiamati a Buenos Aires, un turco di quelli abili in politica come pochi, si assicura. Dicono che per la sua campagna elettorale avrebbe accettato contributi, che poi sono dollari sonanti, da Libia, Siria e Iraq. E una volta eletto, si sarebbe «olvidado», dimenticato. Anche per questo sarebbe stata fatta esplodere l'autobomba il 17 marzo 1992 contro l'ambasciata israeliana. Sussulti di antisemitismo si son registrati nel periodo della junta eppoi quando i militari ribelli tentarono di rovesciare il governo democratico avvenne la profanazione delle tombe nel cimitero ebraico La Tablada. Cervello della rivolta, il colonnello Mohamed Ali Seineldìn, di origine siriana, molto amico di Zulema Yoma, moglie separata del presidente. «L'ayatollah», lo chiama Menem e con questo vuol indicare non solo il suo fanatismo ma, forse, anche i legami con Teheran. Proprio negli ambienti dei militari infedeli i terroristi hanno trovato coperture e appoggi logistici, indispensabili per organizzare un macello come quello dell'altro giorno. E' una guerra combattuta in un Paese remoto fra Israele e il fondamentalismo islamico. Non è casuale che da Buenos Aires abbiano preso il via alcune fra le operazioni più brillanti del Mossad: dalla banchina della Darsena Norte partì Eli Cohen, un mito fra gli agenti segreti d'Israele, colui che dette le coordinate per la conquista delle alture di Golan; e a Buenos Aires gli agenti dell'«Istituto» catturarono Adolf Eichmann, l'uomo dell'Olocausto, lo portarono in riva al Giordano, lo processarono e lo giustiziarono. Gli ebrei considerano l'Argentina casa propria, è difficile ascoltare da un «judìo» il saluto nostalgico: leshanà habaà Biyerushalaim, l'anno prossimo a Gerusalemme. Vincenzo Tessandori