Combat Photo, segreti della Bologna liberata di Enzo Biagi

Combat Photo, segreti della Bologna liberata il caso. Così l'efficientismo della Quinta Armata divenne padre delle giunte rosse Combat Photo, segreti della Bologna liberata Biagi, Zangheri e Guccini rivivono quei giorni BOLOGNA DAL NOSTRCflNVlÀTO Robert Schmidt viene dal Bronx ed ò un soldato della Quinta Armata lungo la Linea Gotica. Al cinturone ha la Browning, ma la sua vera arma è una macchina fotografica che impugna come una mitragliatrice. Robert raggiunge le sentinelle, le supera strisciando di notte, aspetta l'alba. I tedeschi 10 vedono, ma non gli sparano: da solo non fa paura. Le sue foto serviranno ad aggiustare il tiro dell'artiglieria e a scoprire i passaggi per l'avanzata. «Guerra immobile e maledetta», scrive Robert. In quell'autunno-inverno '44-45 Bologna sembra irraggiungibile. Molte immagini di Robert sono ora esposte a Combat Photo, una mostra all'Archiginnasio: la presentano oggi. Dopo i Combat Film visti in tv, che a marzo accesero le polemiche su fascismo e antifascismo, adesso è la volta delle Combat Photo. Peccato che Robert Schmidt non possa vederle: se n'è andato all'improvviso. Sull'Appennino aveva conservato molti amici. Nelle sue azioni solitaria di guerra si nascondeva presso contadini, pastori, carbonai: fotografava pure loro. A San Benedetto Val di Sambro conobbe Zelia e la sposò. Tornava quasi tutti gli anni. Un giorno una donna gli domanda: «Mi riconosce? Sono la bambina che lei ha salvato». Durante la guerra le aveva portato una cesta di arance. La storia di Robert dà un po' 11 clima della mostra bolognese: le foto sono andati a sceglierle nei National Archives di Washington i ricercatori dell'Istituto dei beni culturali proprio con lo scopo di mettere in primo piano non i fatti bellici, ma i rapporti che si instaurarono fra le truppe alleate e la popolazione. Certo, ci sono immagini festose sulla Liberazione di Bologna e foto tragiche, come quella di un contadino in ginocchio sui resti di sei suoi figli trucidati in una rappresaglia. Ma le foto raccon- tano anche la vita quotidiana, i volti di quei giorni di fame, le vecchie con la testa avvolta in fazzolettoni a quadri e i vecchi con il panciotto e il bastone. «E' la prima mostra organica di foto Combat su questo periodo - dice Luca Patecchia, che ha ideato la mostra tre anni fa -. Ne esponiamo circa trecento. Combat era un'apposita sezione del Pentagono. In questi fotografi della Quinta Annata si vede bene la straordinaria tradizione della fotografia sociale americana: c'è rispetto, amore peri vinti». Non basta: «E' la prima mostra - continua lo storico - che vuole andare oltre le foto e far vedere l'influenza che ha avuto l'amministrazione militare alleata sulla realtà civile e politica. Ci sono documenti». Racconta il caso di Castel del Rio, a dieci chilometri da Imola: gli americani destituiscono il sindaco, un ricco proprietario ter¬ riero, e al suo posto scelgono un comunista. «Non pensa ai propri interessi», scrive il governatore, il maggiore Burberry. Dei comunisti e dei socialisti gli alleati diffidano. Ma sono anche molto pratici: le ideologie contano non più di tanto. Come nella scena di un film western in cui i cittadini si riuniscono in chiesa o nel saloon per eleggere lo sceriffo, «loro arrivano in un paese, chiamano le persone più rappresentative e fanno scegliere il sindaco indicando le cose più urgenti da fare. Io mi chiedo: fino a che punto questo pragmatismo anglosassone ha influito sulle future amministrazioni locali, rosse e non rosse? Può aver contribuito a creare una mentalità che privilegia l'efficienza. Alleati e italiani hanno convissuto per circa sei mesi: molti legami si sono creati. E' un tema tutto da studiare». «Gli alleati al Nord accetta¬ vano di solito le designazioni del Cln - ricorda lo storico Renato Zangheri, ex sindaco di Bologna -. Lo prevedevano gli accordi con il governo Bonomi. In Emilia c'era una tradizione di sindaci socialisti e comunisti, interrotta dal fascismo: a Bologna per esempio era stato sindaco un comunista, il ferroviere Gnu di». Era un sabato, il 21 aprile '45, e c'era il sole, quando gli alleati liberarono Bologna. I primi a giungere furono i polacchi dell'Ottava Armata inglese. Venivano da Est, dalla via Emilia. Il giovane Zangheri stava a Rimini: gli alleati li vide l'anno prima, nel settembre del '44: «Gli americani erano i più generosi e raccomandavano di non fumare le sigarette delle truppe di colore: "Ci sono calmanti", dicevano. Ricordo i turbanti degli indiani: quando li sfasciavano erano lunghissimi. Un esercito di tante genti diverse: sembrava che fosse arrivato tutto il mondo. Io ero già comunista, e guardavo al rooseveltismo con speranza. Vedevo le differenze con la Russia, ma allora non mi sembravano radicali: sembrava invece che tutto convergesse verso un avvenire di maggiore libertà... C'era Fellini, di quattro-cinque anni più grande di me: lo vedevo al Bar Commercio, quello di Amarcord. Con Zavoli ci scambiavamo i libri». Sempre quella mattina del 21 aprile, la Quinta Armata americana entra a Bologna dalla parte opposta, dalla via Emilia Ponente. Viene giù dalla Porrettana: nel paesino di Pavana c'era Francesco Guccini, che non aveva ancora cinque anni. Se li ricorda, gli americani: ne ha scritto in Croniche epafaniche (Feltrinelli). Segavano in due i bidoni di benzina e mettevano a bollire chili di fiocchi di grano e di carne in scatola. Bevevano fiaschi di grappa e giocavano a tombola. La gente gli voleva bene, anche se era sconvolta dal loro modo di ballare il boogie («Stavan col culo in fuori e muovevan solo il culo»). La regia della Liberazione di Bologna continua: un'altra colonna della Quinta Annata, sempre quel 21 aprile, scende un po' più tardi da Monghidoro e percone via Murri e via Santo Stefano. «Io c'ero - racconta Enzo Biagi -. Ero su un camion con il Gruppo di Giustizia e Libertà della Legnano. Avevamo Alberto da Giussano al braccio». Quanti ricordi: «Andai subito a casa, sull'Osservanza. Temevo una sventagliata. Davanti al collegio San Luigi una sentinella stava per spararmi: "Chi va là!". Mi riconobbe. Dalle finestre si affacciavano anche le vacche, salvate alle razzie. "Have you cioccolata?", mi chiese una ragazza. "Sono italiano", risposi. Fu un crollo. In via Rizzoli incontro una donna del mio paese, Pianaccio, che piange disperata: "Me l'hanno ammazzato!". Suo marito tornava in bicicletta e l'avevano preso. Non era neanche fascista... Avevo una pistola da sei colpi e un giorno dovetti far la guardia a sette tedeschi. A Natale '44 tenni un memorabile discorso al governatore americano di Ponetta. Ero ubriaco. I soldati brasiliani ci sfottevano: "Noi molto burro, noi molto caffè". Mi alzai e dissi: "Noi molto Leonardo, molto Giotto". Sulle mappe degli americani vedevo tutte le case di Bologna. C'era anche la mia: "Non tirare lì", raccomandai al comandante... Ero tornato a casa anch'io. Lavoravo alla radio della Quinta Armata, c'era la Liberazione, cominciava il domani, l'oggi. Ma questa è un'altra storia». Claudio Altarocca Alcune immagini di Robert Schmidt soldato-fotografo della Quinta Armata. Nella foto piccola in alto, Enzo Biagi