Ruanda in fuga verso l'inferno di Enrico Benedetto

Ruanda, in fuga verso l'inferno La Croce Rossa e l'Onu: alla frontiera con lo Zaire apocalisse umanitaria Ruanda, in fuga verso l'inferno Due milioni di profughi, tra bombe e fame PARIGI DAL NOSTRO CORRISPONDENTE «La guerra è finita», proclamavano ieri sera da Rigali gli ex ribelli Fpr, ormai padroni dell'intero territorio ruandese salvo la zona «umanitaria» che Parigi incontra peraltro sempre maggiori difficoltà a controllare. L'annuncio giunge tuttavia nell'ora forse più tragica per i profughi hutu. Nelle ultime 36 ore in centomila avrebbero varcato la frontiera con lo Zaire. Cercavano riparo da fame e massacri. Hanno trovato l'inferno. A Goma, cittadina lontana appena tre chilometri dal confine, dovrebbero comandare i francesi - che ne monopolizzano lo scalo aereo per avviare i soccorsi alimentari verso le zone più difficili - e gli uomini in armi del maresciallo Mobutu, il dispotico leader zairese. Ma è l'orrore che regna sovrano. Nella sola notte fra domenica e lunedì, oltre 120 vittime. Ragazzi, donne, vecchi. Qualcuno ucciso dagli obici che il Front Patriotique ruandese faceva piovere a caso d'Fpr smentisce, ma senza convincere). Gli altri, la maggioranza, calpestati. «Scene inimmaginabili», come dichiara all'«Ansa» il coordinatore Onu in loco, Filippo Grandi. Alcuni scampoli: quelle 7 bimbe schiacciate nel parapiglia contro un muro, le lettighe che non riescono a farsi strada, l'isteria collettiva da terrore, il macabro saccheggio dei miseri averi altrui per sfamarsi. Definirla emergenza sarebbe eufemistico. Vivi e morti insieme, fianco a fianco. L'erba non esiste più. Solo terra nuda. Un metro quadrato sgombro è quasi introvabile. Il centro, la periferia e i dintorni albergano qualcosa come due milioni di esiliati. Sfamarli ò impresa sovrumana. Volontari e armée francese lavorano 24 ore su 24. Ma distribuire cibo e acqua richiederebbe ben altri effettivi. In ogni caso, le riserve sono minime, i magazzini spogli. Per rifornirli occorrerebbe un formidabile ponte aereo. Goma non possie¬ de le attrezzature necessarie. E comunque l'aeroporto funziona a intermittenza. Ieri mattina, dopo le bombe, era chiuso: i controllori di volo locali temevano nuove rappresaglie Fpr. Una pace beffarda, quella che sbandiera Radio Rigali. Dopo il premier Faustin Twagiramugu, ora c'è un nuovo presidente l'hutu Pasteur Bizimungu - e l'intero governo. Sul piano formale, non lo monopolizzano i tutsi. Ma la guerra etnica ha proprio in loro - minoranza storica, da sempre vessata - gli unici vincitori. E l'implacabile eccidio fra gli hutu ne testimonia la ferocia. La fragilissima tregua in corso fotografa, in realtà, la capitolazione delle ex truppe governative. L'esercito nazionale ruandese è a brandelli. Fuggono con i civili, un flusso lungo 25 km afferma Grandi. Disarmarli non è facile. Nelle sommarie perquisizioni cui li sottopongono i francesi, abban¬ donano mitra e fucili. Ma restano loro revolver, pugnali, armi bianche: un vero arsenale che incentiva esazioni e ruberie tra gli sfollati. Violenza, fame, e lo spettro di un'ecatombe se mai tifo o colera si affacciassero nei tre immensi campi profughi. In affanno operativamente, Parigi conosce ore difficili anche sul piano diplomatico. Il suo interlocutore, l'esecutivo anti-Fpr, è ormai alla macchia. Scacciato dal Ruanda, gli ri¬ mangono scarse chance. Washington gli preferisce Bizimungu, che il potere ce l'ha davvero. L'Europa ne seguirà a breve le orme. Ma per la Francia conformarsi richiede un'evoluzione strategico-politica radicale. Da tre mesi il Fronte la critica con asprezza rimproverandole l'acritico appoggio a un regime dubbio e 1'«interferenza militare sotto alibi umanitario». Rigali e Parigi hanno ambedue, oggi, interesse a riconci¬ liarsi. E la prima moltiplicava, ieri sera, le aperture. Ma lo fa da una posizione di forza, laddove l'Eliseo e Matignon paiono sperimentare qualche difficoltà. «Non attaccheremo i militari francesi», fa sapere l'Fpr. Ma esige che i transalpini non diano rifugio a ufficiali e politici compromessi. Questione delicata. S'impone una trattativa bilaterale. Ma potrebbero esserci altre vie d'uscita. In fondo, mancano due settimane al ritiro. Entro fine luglio l'«Operation Turquoise» toglierà il disturbo. Le ultime partenze sono attese a Ferragosto. Una smobilitazione provvidenziale. Ma al Quai d'Orsay rimangono ancora parecchi ostacoli da superare per chiudere in bellezza o quasi. L'imprevedibile «caso Goma» insegna. E lì fare le valigie sarebbe sinonimo di tradimento. Enrico Benedetto Un gruppo di orfani ruandesi in fila per il cibo Al centro e a destra un medico francese sul luogo di un massacro [FOTO EPA]

Persone citate: Bizimungu, Filippo Grandi, Goma, Pasteur Bizimungu, Ragazzi, Rigali