«Uccisa perché aveva scelto l'amore»

Era rimasta a Catania per poter incontrare il marito in cella. E lui, dopo il delitto: non mi arrendo Era rimasta a Catania per poter incontrare il marito in cella. E lui, dopo il delitto: non mi arrendo «Uccisa perché aveva scelto Femore» Presi i killer della moglie delpentito CATANIA NOSTRO SERVIZIO Era rimasta a Catania per poter incontrare il marito in carcere. Un gesto d'amore che le è costato la vita assieme a quella della madre. Liliana Caruso, la giovane moglie del pentito Riccardo Messina, uccisa dalla mafia venerdì mattina assieme alla madre Agata Zucchero, aveva rifiutato il trasferimento, suo e del resto della famiglia, in un'altra città per motivi di sicurezza. Fuori da Catania non avrebbe potuto vedere il marito che da qualche settimana ha cominciato a collaborare con la giustizia. Senza temere una reazione violenta da parte della mafia, la donna ha continuato a vivere in casa della madre, esposta al rischio di una vendetta trasversale. Prima di ucciderla, gli esponenti del clan della «Savasta», l'organizzazione mafiosa nella quale militava il marito, hanno cercato in tutti i modi di convincerla a far cambiare idea al marito in carcere. Tre «donne d'onore», pochi giorni prima del delitto, le hanno addirittura proposto una sorta di finto rapimento. La moglie e i suoi tre figli avrebbero dovuto offrirsi come ostaggio per fermare la «cantata» del pentito. Un tentativo estremo per cercare di chiudere la bocca a Riccardo Messina, l'ex killer del clan Savasta. Liliana Caruso aveva però opposto un fermo «no» alla proposta della mafia. Non solo: era corsa dai magistrati a denunciare le pressioni che Cosa Nostra stava esercitando su di lei e sui suoi famigliari. E' stato anche grazie alla sua denuncia che polizia e carabinieri sono riusciti, nel giro di poche ore, a risalire ai responsabili del duplice delitto. Ad ordinare la barbara esecuzione sarebbero stati i tre maggiori rappresentanti del clan Savasta, tutti latitanti: il boss Nino Puglisi e i suoi luogotenenti Orazio Nicolosi e Saro Russo. Sottoposti a fermo di polizia giudiziaria due donne dei boss: Domenica Micci, moglie di Nino Puglisi, e Concetta Spampinato, moglie di Saro Russo. Irreperibile Santa Vasta, la compagna di Orazio Nicolosi. Sarebbero state loro tre a contattare Liliana Caruso nella speranza di bloccare la decisione del marito. Analogo provvedimento è stato notificato a Cristoforo Fuselli, un commerciante catanese. Le manette sono scattate anche per un parente della vittima: Giuseppe Bonaccorsi, un pescivendolo, cognato di Liliana Caruso. Giovedì, ventiquattr'ore prima che scattasse il duplice agguato, la donna aveva incontrato Riccardo Messina in carcere. Aveva paura non tanto per sé, quanto per la vita del suo compagno. Al marito aveva raccomandato di stare attento perché anche dentro il carcere sarebbe potuta scattare la vendetta mafiosa. Poi, come al solito, era tornata a casa, sicura di non correre rischi, un'ingenuità passata inspiegabilmente inosservata anche agli occhi degli investigatori che avrebbero dovuto assicurare alla donna una protezione discreta quanto efficace. La «scelta d'amore» della donna - come l'ha definita ieri il procuratore della Repubblica a Catania, Gabriele Alicata - si è rivelata fatale. «Io, comunque, vado avanti lo stesso», ha fatto sapere Riccardo Messina dopo la terribile notizia della morte dei suoi famigliari. Tra i pentiti, intanto, si è diffuso il terrore di una ritorsione su larga scala nei loro confronti. Appresa la notizia del duplice omicidio, i «collaboranti» catanesi (attualmente sono una settantina circa) si sono messi in contatto con i loro avvocati difensori e con i magistrati antimafia della procura di Catania. A denunciare il clima di paura diffuso tra i «collaboratori di giustizia» è uno dei magistrati della direzione distrettuale antimafia di Catania, Nicolò Marino: «Ci sono molti collaboratori - afferma - che hanno abbandonato la loro città partendo all'improvviso e lasciando i loro interessi come case e negozi. Adesso hanno l'esigenza, tramite loro rappresentanti, di scendere nelle loro città di provenienza per regolare i loro affari. Ciò determina in loro una paura atroce nel momento in cui accadono fatti come questo». Nicola Savoca

Luoghi citati: Catania, Messina