Dovrebbe scendere in campo il fantasista ma salgono le azioni del difensore
E Franz accarezza il sogno di una vita Dovrebbe scendere in campo il fantasista, ma salgono le azioni del difensore E Franz accarezza il sogno di una vita IL CAPITANO IRRIDUCIBILE LOS ANGELES O sempre visto Franco Baresi allenarsi come se il giorno dopo dovesse giocare la finale di un Mondiale col Brasile. Ora, sabato, la sta giocando da solo, sul campo della Loyola University. A vederlo scattare su ogni palla, il capitano sembra molto più in forma di quando è arrivato in America. Colpisce forte di destro, la gamba operata, per far vedere a Sacchi. E il pallone rende il suono giusto, come quando appoggi il diapason alla chitarra. Tanto mostrarsi, per uno che non s'è mai esibito, servirà a qualcosa? Nella partitella della vigilia, Baresi è ancora il capitano. Ma non c'è fra gli undici designati per la missione anti Brasile a Pasadena. Doktor Arrigo sorveglia l'esperimento finale, braccia conserte, lo sguardo dietro il cappello, nascosto al sole e alle spie. Se non si commuove anche lui a vedere il vecchio capitano sbracciarsi come una sciantosa a fine carriera, allora è fatta. Vi toccherà ammirare Apolloni su Bomario: via satellite! L'allenamento va avanti. Ma gli occhi si spostano a bordocampo, su Roberto Baggio che prova da solo qualche tocco. Zoppica, non zoppica, può giocare, massi, ma no. I milanisti ne approfittano per dare una mano al capitano. Albertini, Maldini, Massaro passano bene la palla a Baresi e la svirgolano verso Apolloni Ogni tocco è un voto, un omaggio. Sacchi capirà. Non è questione di clan. Franco Baresi questo ItaliaBrasile se lo merita da una vita. Come l'Oscar alla carriera che danno qui oltre la collina, a Hollywood, per riparare le periodiche offese al genio. Ci vorrebbe uno special, con Pelé e Maradona sul palco che aprono la busta: «Al più grande difensore del mondo». E poi arriva lui, Baresi, con quel sorriso da ucraino triste. Sogni americani. La realtà è questa agonia di campione. Sepolta da parole e discorsi tecnici che ti spiegano senza pietà come e qualmente il menisco di Baresi sia da annoverarsi fra i portafortuna dell'Arrigo mondiale. Il capitano era «inamovibile dalla formazione, ma anche in campo: contro l'Eire pareva un monumento». «E' arrivato spompato». «Trentaquattro anni, sedici di botte: è finito». «Tanto di cappello al Baresi d'una volta, ma intanto è stato meglio per il Milan non avercelo ad Atene». Magari hanno ragione. Però il moralista che rugge in noi continua a pensare che se tutti provassero a fare i giornalisti, i politici o i commessi con l'impegno e la tigna di Baresi Franco, libero, la storia d'Italia sarebbe un'altra. A volte ti dà l'impressione di essere l'unico adulto capitato in un mondo bambino. In mezzo a eterni goliardi, fanciulleschi presidenti, tifosi e giornalisti con le facce dipinte. I biografi dicono che è sempre stato così, fin da ragazzo, quando lo chiamavano «piscinìn» perché era il minorenne del Milan campione d'Italia, annata "7879: la stella. Ma perfino da «pulcino» e nella Primavera del Milan, già capitano e cupo e rigido, come da foto. A sette anni una tragedia di famiglia, i genitori morti in un incidente, l'aveva proiettato per sempre nell'età adulta. Taciturno, il capitano non parla mai degli affari suoi. Però esprime questa concezione «seria», «responsabile» e perfino drammatica del gioco del calcio. Sballottato per tutta la carriera fra sfiga e successo, senza mai lasciarsi cambiare da «questi due tiranni», come prescrive la bella poesia di Kipling sputtanata da Marzullo. Con lo stesso spartito di direttore d'orchestra Baresi ha attraversato la serie B e la Coppa Campioni, il Milan dei «cacciaviti» e il dollarificio berlusconiano, e poi in Nazionale le critiche e gli epinici, la panchina e la fascia di capitano, il disastro di Messico '86 e la gloria rubata di questo mondiale. Capitano non giocatore, accanto a Sacchi, altrettanto straziato, ha accompagnato con le urla il cammino degli azzurri fin qui, a un passo dalla coppa dorata. L'unica, l'ultima cosa da vincere in fondo a una carriera leggendaria. «Sono pronto per novanta minuti come per cinque, gli ultimi» ha dichiarato Baresi. Gli ultimi cinque minuti di diciotto anni, forse. Dopo Usa '94 Baresi ha chiuso con la Nazionale e, presto, con il calcio. Quando Sacchi fischia la fine dell'allenamento, il capitano ha ancora la palla tra i piedi, la solleva con due tocchi sapienti e poi la spara altissima al sole che illumina la Loyola University, ma Arrigo s'è già voltato. Curzio Maltese «Pronto a giocare novanta minuti come cinque» dice il libero alla fine dell'allenamento in cui ha cercato di dimostrare a Sacchi che ha recuperato dall'operazione al menisco di 3 settimane fa Arbitro: PUHL [Ungheria] 7 BEBETO 15 MARCIO SANTOS 5 MAURO SILVA 11 ROM A RIO 9 ZINHO 6 BRANCO 1 TAFFAREL «Pronto a giocare novanta minutcome cinque» dice il libero alla fine dell'allenamento in cui ha cercato di dimostrare a Sacchi che hrecuperato dall'operazione al menisco di 3 settimane fHi BRASILE 3 RICARDO ROCHA 4RONÀLD01 10 RAI 12ZETTI 14CAFU 18 PAULO SERGIO 19 MULLER 20 RONALDO II 21 VIOLA 22 GILMAR ECCELLENTOOOO OTTIMO ••• BUONO •• SUFFICIENT• SCARSO ECCELLENTE OOOO OTTIMO ••• BUONO •• SUFFICIENTE • SCARSO Roberto Baggio e Giuseppe Signori (a sinistra) sono amicissimi anche fuori campo. Se Robi non ce la fa toccherà al laziale, capocannoniere in campionato da due anni, a sostenere, insieme a Massaro, l'attacco dell'Italia alla porta brasiliana difesa da Taffarel. A destra, il et Arrigo Sacchi controlla l'ultimo allenamento di Baresi che 22 giorni dopo l'operazione al menisco potrebbe giocare
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