CHI CANTA IL TANTUM ERGO PESTA I FICHI SOTTO IL MENTO di Stefano Bartezzaghi

CHI CANTA IL TANTUM ERGO PESTA I FICHI SOTTO IL MENTO CHI CANTA IL TANTUM ERGO PESTA I FICHI SOTTO IL MENTO Abbiano accennato, settimane fa, a come il piemontese sostenesse il latino, nel canto del Tantum Ergo pre-conciliare. Fausto Amodei (Torino) se lo ricorda così: «Tanti merlo ch'as lamento ch'a san nèn ndoa fesse T nij; Cassador ch'a li tormento con le baie 'nt él fusil». Aggiunge Amodei: «Nel paese di Chiusa Pesio (Cn) dov'ero sfollato durante la guerra, al Vespro l'originale latino "Mala nostra pelle / bona cuncta posce" diventava: "Ma la nostra pelle / bon-a fè 'd sacocie"» (che ricorda quel cartello esposto sulla porta di una pelletteria: «Si fanno borse anche con la pelle dei Signori Clienti»). Tornando al Tantum Ergo, con la versione di Amodei concorda sostanzialmente anche Sergio Brignola (Isola d'Asti), che però sostituisce «tormento» con «spavento» e «baie» con «canne». degli Arditi: «Scavalca i monti divora il piano - pugnai frài denti - le bonbe a mano». Dice Meneghello: «Questi erano gli Arditi, scavalcatori di monti colla spaccata dell'ostacolista, divoratori del piano. Il pianoforte mi appariva nero e lucido, illuminato da due abat-jour, fornito anch'esso di una dentatura abbagliante di tasti. L'Ardito in grigioverde col berrettino nero, prima lo scavalcava sullo slancio, poi si voltava e lo sgranocchiava rapidamente». Siamo proprio all'inizio del gran libro, e si prosegue subito con un'altra strofa; «Vibralani! Mane al petto! / Si defonda di vertù, / Freni Italia al gagliardetto / e nei freni ti sei tu». Commento: «La forma poetica ti sei tu per ci sei tu non bastava a confonderci, né l'arcaismo di mane per mani. L'ordine era di portare al petto, orizzontalmente, in una forma sconosciuta ma austera di saluto [sarà la stessa posizione dei calciatori messicani, durante l'inno, prima delle partite del Mondiale?, ndr]: come un segno di riconoscimento in uso tra i vibralani a cui sentivamo in qualche modo, cantando, di appartenere ad honorem anche noi...». L'inno, nella sua lezione ortodossa, è in nota: «Vibra l'anima nel petto / sitibonda di virtù: / freme, o Italia, il gagliardetto / e nei fremiti sei tu». E' una pagina giustamente famosa, e certo non mi offenderò se a questo punto abbandonerete questo articolo per riaprire il primo volume delle Opere di Luigi Meneghello (Rizzoli 1993). Qui Meneghello ci è servito per riannodare i fili pendenti di una ricerca che abbiamo abbozzato: quella sui rapporti fra dialetto e lingue. Lingue, al plurale: in Maredè. maredè, Luigi Meneghello dice: «Le lingue che usiamo si sostengono l'una con l'altra». che feti lì». Ho trascritto giusto? Mah. La traduzione però è chiara: «Pesta i fichi sotto il mento, senza dire che cosa fai lì». Facciamo ordine. Questa del Tantum Ergo è una diramazione della ricerca delle corrispondenze foniche fra inglese e piemontese (o altri dialetti), incominciata per merito del circolo degli Eredi Brancusi. Questa ricerca sta proseguendo, e lo dico con una certa soddisfazione. Ne parleremo nel prossimo articolo: ma se parlerete ai vostri nonni del Tantum Ergo, e avrete novità in merito, ripercorreremo anche questa diramazione. Ci sono delle parodie del Pater Noster che nemmeno ve le sognate. Scrivete a: Stefano Bartezzaghi, «La posta in gioco», La Stampa - Tuttolibrì, via Marenco 32, 10126 Torino. Maria Claudia Rey (Torino) ricorda altri due versi del Tantum Ergo: «Sa l'an falu si 'na percia I = pertica] / Polu nen bugé da lì...». L'ultimo verso per me è arabo puro: magari Maria Claudia Rey mi riscrive per spiegarmelo, e magari si ricorda altri versi del Tantum Ergo nella versione di suo nonno. M. R. Repetto (s.i.l. e spero di avere letto bene il cognome) ricorda il Tantum Ergo di un'anziana signora che viveva in un paese sul confine ligure-piemontese. Il verso «praestet fides supplementum, sensuum defectuit» diventava: «Pésta è fighe suttu au mèntu, senza dì Stefano Bartezzaghi

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