UOMINI E NO

UOMINI E NO UOMINI E NO Nel giugno '45 usciva il romanzo di Vittorini 1 che «riconciliò» lo scrittore con Bompiani UNA ragazza, Franca Bazzoni, viene a dirmi in ufficio che Vittorini mi aspetta in una certa casa di corso Buenos Aires. Andiamo via in bicicletta, aspettandoci coi mezzi giri e i giochi d'equilibrio sulle ruote ferme, come per una scampagnata. "E' qui", dice. "Come sta?" "Bene", dice. Siamo in uno studio d'avvocato», racconta l'editore Valentino Bompiani in Vita privata (Mondadori, 1973). «In fondo a un corridoio mi fa entrare in una cameretta spoglia: una branda, un tavolo al centro, qualche sedia. Aspetto. Dopo un poco entra un uomo triste, affilato, lo zio della ragazza o l'avvocato, non so. Sta lì un minuto in silenzio con un cenno di saluto e se ne va. "E' per la signorina d'ufficio", spiega la ragazza. Ricomincio ad aspettare; quando mi volto, Vittorini è entrato. Bene, ci siamo abbracciati e ora siamo seduti uno di fronte all'altro, il tavolo tra di noi. Gli tocco il braccio e lui sorride. "Mi pare che ci siamo", dice. Lui sorride ancora e io sorrido e lui mi tocca il braccio. "E' stata lunga", dice. Non so quanto tempo è passato e Vittorini sorrideva e io sorridevo. Abbiamo anche parlato del libro che ha scritto, nascondendo i fogli ogni sera sotto i mattoni; ma pareva un discorso che riguardasse un amico comune. Tra di noi non c'era che quel sorridere e quel toccare il braccio, lui a me e io a lui. C'era anche lui che diceva ci siamo e io che dicevo, eh, sì, come in una pagina scritta da lui. Uomini e no è uscito subito dopo la guerra. E' stato il primo commento di uno scrittore e Vittorini sapeva che ...cosa . avrebbe significato, di . là dal fatto lettera- I rio...». L'incontro è datato 23 aprile 1945. A poche ore dall'insurrezione. La guerra civile aveva rischiato di dividere, di far diventare nemici autore ed editore. C'erano stati equivoci, incomprensioni, risentimenti. In una lettera a Valentino Bompiani trasferitosi, con la casa editrice a Firenze, Elio Vittorini aveva cercato di esporre il 18 ottobre 1943 tutti i motivi di contrasto tra loro. La possiamo leggere in Elio Vittorini I libri, la città, il mondo, lettere 1933-1943 a cura di Carlo Minoia (Einaudi, 1985): «Caro Bompiani, da una lettera che mia moglie ha scritto a nostri amici comuni rilevo le frasi seguenti, riferite a un incontro avuto con te: "Però mi ha detto molto chiaramente che i suoi rapporti con Elio da qualche tempo non sono normali e che desidera definirli. In sostanza io non so se il mese venturo posso contare su questo denaro, se Elio non viene con lui a una sistemazione". Da questo capisco che i vari messaggeri non hanno saputo dirti quello che avevo pregato loro di dirti e che mi tocca spiegarmi proprio per iscritto. Io sono ricercato dalla polizia germanica - vivo di conseguenza alla macchia. A Milano tutti o quasi tutti sanno che mi trovo in Svizzera e desideravo che anche mia moglie lo credesse per stare tranquilla. Dato questo io non so a quale genere di sistemazione potrei venire con te. Le circostanze sono anormali. Possiamo avere rapporti normali? Chiedendoti di dare direttamente a mia moglie le 2500 lire mensili che io prima le davo sul mio stipendio io ti chiedevo effettivamente un aiuto come alla persona che ritenevo la più indicata per darmelo. In nome di che cosa? In nome, naturalmente, del lavoro che ho svolto sino a quest'estate per te e del lavoro che per te avrei svolto dopo questo periodo di forzata sospensione. Un editore di comune conoscenza, per avermi con sé dopo la guerra, mi ha offerto subito dopo la mia liberazione dalla prigione, di stipendiarmi senza corrisponsione di lavoro tutto il tempo che la guerra fosse durata e cioè tutto il tempo che questo periodo fosse durato. Io ho rifiutato senza esitare un momento. Vuoi tu ora che mi penta di aver rifiutato? Del resto, nel periodo di regime Badoglio, ti avevo pregato di farmi sapere Polia cu1977spie se tu ritenevi di potermi utilizzare ancora; in altri termini se dovevo considerarmi libero da ogni impegno con te. Allora ti parlavo da persona che poteva continuare a prestarti un lavoro - restando, beninteso, a Milano. Tu mi hai risposto in modo che escludeva da parte tua l'idea di disimpegnarmi. Anche per questo, anche in base a questo, io ho lasciato cadere le possibilità che avevo di assicurare un minimo di sorte per i miei bambini. Nel frattempo le circostanze sono cambiate in modo tale che io non potrei più praticamente eseguire un lavoro continuo anche qui a Milano...». La risposta di Valentino Bompiani da Firenze la possiamo pure leggere in I libri, la città, il mondo in data 2 novembre 1943: «Caro Vittorini, la frase riferita da tua moglie è pressappoco esatta nella prima parte: la ti i punti e te lo dimostrerò la prima volta che ci vedremo. Ora m'importa solo di rilevare come tu abbia tentato di mettermi in soggezione proprio nel momento più delicato e difficile della mia vita. Non sarebbe stato meglio che mi licenziassi quando ti invitai a farlo appena uscito di prigione? Ridurmi oggi a licenziarmi da me, e nelle peggiori condizioni possibili, prende il significato di una deliberata mancanza di solidarietà, se non addirittura di persecuzione politica...». La replica di Valentino Bompiani da Firenze in data 22 novembre 1943 era stata pressappoco sullo stesso tono: «Caro Vittorini ricevo adesso, portata a mano da Giordani, la tua lette- «Si pderegiunlità qre (adiocmenideosu une, pesarioria nra clontscritre laventalla Giacomo Noventa vi lesse una storia d'amore nella Resistenza ribaltando così l opinione di chi privilegiava il dato politico, la lotta contro il nazifascismo deduzione che ne ha tratto è soltanto sua ed anzi in contrasto con le mie precise dichiarazioni in proposito. Mostrai a tua moglie la lettera che ti avevo scritto e mi dolsi con lei che tu non mi avessi risposto se non poche righe sbrigative. Aggiunsi che in nessun caso, e cioè indipendentemente da tutto, le avrei fatto mancare l'assegno mensile. Infatti, l'assegno per il mese di ottobre è già stato spedito a Perugia, e così faremo nei mesi venturi. Dunque, puoi stare tranquillo. Far venire qui tua moglie voleva dire imporle un grave strapazzo e la preoccupazione di lasciare i bambini. Ora tu mi scrivi varie cose, che sapevo o immaginavo, ma non hai ancora trovato una parola di risposta alle domande più personali che ti facevo nella lettera precedente. Avrai le tue ragioni per tacere e io non insisto...». Alla stessa data 2 novembre 1943 da Milano era partita un'altra lettera di Elio Vittorini: «Caro Bompiani, ieri sono arrivati a Milano i miei due bambini e la loro madre. Faccio appello alla tua fantasia perché tu capisca che cosa questo significa nella mia attuale situazione, e da che cosa abbia origine. Dalla madre ho potuto sapere quello che tu sembra abbia detto nel colloquio avuto con lei. Non mi metterò qui a polemizzare sulle parole: ma se effettivamente tu pensi di fare della beneficenza a darmi ancora un qualunque mezzo stipendio, se effettivamente ritieni che io abbia recato un danno alla tua Casa editrice negli ultimi tre o quattro mesi, se effettivamente credi di dovere portare i nostri rapporti su un piano gerarchico - non mi resta che congedarmi da te. Io sono persuaso che hai torto su tut- ra del 2 novembre. Non ne capisco neppure una parola e mi appare, anzi, tanto ingiusta e ingiustificata da non poterla spiegare se non attribuendola ad un tuo, del resto comprensibile, stato di eccitazione. Le mie lettere a te stanno a dire quale sia stato il mio atteggiamento nei tuoi confronti. Tu devi averle lette affrettatamente, l'ho sempre pensato perché, altrimenti, avresti trovato, in tanto tempo, il modo di rispondere a quello che è stato l'unico rammarico da me espresso e che era rammarico in sede umana ed amichevole. Tu ora scrivi che io, s'intende, vorrei portare i nostri rapporti su di un quadro gerarchico mentre, ripeto, la mia sola amarezza è stata quella di temere che tu, tacendo o rifiutando di rispondere alle mie domande, ti proponessi di farlo. Come vedi, è dunque proprio il contrario. In un momento così importante per la tua vita, e non soltanto per la tua, ma per quella di ciascuno di noi, io non sono riuscito ad avere da te che brevi parole di rapporti economici. Non un segno, non un accenno che mi facesse sentire da parte tua come in questi anni di lavoro in comune si fosse stabilito fra di noi un rapporto più umano. Di questo mi sono doluto sino quasi a sentirmene offeso e con tanto maggior risentimento quanto più vivo era ed è invece, da parte mia, il sentimento di amicizia che provo per te. T'ho già scritto nella mia lettera del 2 novembre, che ora avrai già ricevuto, che cosa io abbia detto a tua moglie, e davvero non capisco perché sia venuta a Milano; non certo per la preoccupazione di non ricevere il denaro che le ho assicurato le avrei fatto avere in ogni modo e in ogni caso...». La rottura tra editore e autore non era stata consumata perché, nonostante le apparenze, non si trattava di una questione di soldi e gerarchia. Valentino Bompiani si era visto sottrarre repentinamente il suo prezioso e insostituibile collaboratore dalla passione per la politica e aveva affermato tutta la sua gelosia e anche tutto il suo rancore per non esser stato abbastanza coinvolto nell'impresa. «Bada che non intendo discutere le tue idee politiche. Tanto meno lo farei in quanto sono persuaso di essere, in un certo senso, più spericolatamente avanzato di te», era arrivato a rinfacciargli. A ogni modo, occorre riferire che anche le lettere che parevano proclamare il distacco più irrevocabile, si concludevano, in- Elio Vittorini Nella foto grande: un 'immagine della Liberazione di Mi/ano vece, con poscritti e addenda che stavano a significare che la possibilità di collaborare ulteriormente sopravviveva a confutazione delle dichiarazioni più solenni, agli addii esacerbati. «Se hai modo di lavorare, puoi portare in fondo il Teatro tedesco», scriveva Valentino Bompiani. «Altro lavoro che mi premerebbe e che penso tu potresti fare ovunque sono le voci di letteratura americana per il Dizionario...». «Guarda che ogni due o tre giorni io capito a Milano e mi trattengo (a rischio della pelle) in ufficio per qualche ora. Potrei occuparmi un po' più del lavoro editoriale portando via manoscritti e lasciando direttive...», scriveva Elio Vittorini. Al capezzale di Uomini e no il 23 aprile 1945 si ritrovarono con estrema naturalezza, con quasi intollerabile affetto. Uomini e no è probabilmente il libro più brutto di Elio Vittorini, ma anche il più commovente, perché il più voluto e il più faticato, il mai smesso di ritoccare inutilmente. Ci aveva lavorato nel 1944 e nel 1945 nelle pause dell'attività clandestina, in particolare tra la primavera e l'autunno del 1944, quando, identificato dalla polizia tedesca, era stato costretto ad allontanarsi da Milano. Uscito per i tipi di Bompiani nel giugno 1945 Uomini e no riscosse notevole successo. Recalo una nota, in cui tra l'altro era _ffermato: «Non perché sono, come tutti sanno, un militante comunista si deve credere che queste sia un libro comunista. Cercare in arte il progresso dell'umanità è tutt'altro che lottare per tale progresso sul terreno politico e sociale. In arte non conta la volontà...». La seconda edizione, tale e quale alla prima, nota