LA SFINGE DI MANGANELLI

tuttolibrì LA STAMPA Luglio IW4 SE pensiamo che fino a ieri Giorgio Manganelli era qui tra noi vivo e attivo, forse abbiamo qualche torto a troppo lamentarci sullo stato delle nostre lettere. E dico questo non come debito all'amicizia che mi legava a lui ma per un convincimento al quale non riesco a sottrarmi. Manganelli non era un amico facile, si faceva disponibile solo a tratti e quando accadeva era solo per chiedere complicità. La solidarietà la consumavamo essenzialmente leggendo quello che scriveva e, per incanto, gli articoli che, sempre più frequentemente, negli ultimi anni, andava pubblicando. Ma letti uno per uno ci parevano più impertinenti che convincenti, più provocatori che sofferti, più divertiti (e divertenti) che pensati (e essenziali). Riuniti insieme e letti uno dietro l'altro in questa silloge adelphiana {Il rumore sottile della prosa, pp. 261, L. 38.000) costituiscono un corpo che, per autorità di intenti e profondità di pensiero, si impone all'ammirazione e al rispetto senza riserve. Ne approfitterò allora per fare giustizia dei tanti equivoci che - certo lui consenziente si sono creati intorno alla figura di Giorgio Manganelli e ne hanno diffuso una immagine davvero incompleta e parziale. Si dice che Manganelli è uno scrittore oscuro volendo significare che ha rinunciato ad abbeverarsi alla fonte della realtà quella che tutti noi quotidianamente frequentiamo - e messo al suo posto grammatiche e vocabolari, nutrendosi di giuochi di parole e di figure retoriche, di eccentricità e bizzarrie. Si diche che è uno scrittore libresco e artificioso, che ha in uggia le parole significative, cioè le parole che pretendono parlare direttamente al lettore. E' tutto vero ma in un senso del tutto opposto a quello cui erroneamente (e genericamente) siamo soliti dar credito. In realtà Manganelli è uno scrittore in cui contro ogni evidenza la razionalità vince sempre sulla passione. La sua lucidità è fin troppo severa, la sua coerenza non lascia scampo. AGENOVA NATEMI di naufraghi, oceano nelle orecchie, luce ardesia dell'onda, conradiani figli della bufera in cerca di terra. Se c'è racconto sparso nel mare, cantato dai fortunali e dalle risacche in parole aspre e malinconiche, s'intitola I sogni di Tristan (Sellerio, pp. 121, L. 15.000). L'ha scritto una giovane vedetta sul Tirreno, Marco Ferrari, che al suo mare di ogni giorno e alla selvatica isola di Capraia aveva dedicato il suo primo, napoleonico, cavalleresco romanzo: Tirreno, appunto. E se c'è un'isola che meritava questo racconto, è senz'altro la piccola, scura, sfortunata terra dimenticata in mezzo all'Atlantico meridionale quando Africa e America del Sud si separarono: i cento chilometri quadrati di Tristan da Cunha, i trecento abitanti, Edinburgh, con le sue dieci lampadine e l'unica Volkswagen; dove la mano compie ancora tutto, balcone sulle tempeste, iceberg e pinguini. Là dove «il calendario è sancito dal passaggio delle navi, i punti cardinali dai cimiteri dei naufraghi e le epoche dai nomi delle imbarcazioni affondate...». Un'isola così dentro l'esperienza da non avere ancora L'esordio dì Ernesto Franco con uri «catalogo» di mondi impossibili DUE messaggeri stremati s'incontrano ai margini di un lago salato. Sono ormai vicini alla morte e scoprono di avere nelle bisacce appese ai fianchi del loro cavallo documenti identici, difficili da decifrare, che contengono strane cartografie di isole e comete. E' questa la cornice di Isolarlo (Einaudi, pp. Ili, L. 15.000), libro d'esordio di Ernesto Franco, fine traduttore di scrittori latinoamericani, da Cortazar a Mutis. Le pagine del manoscritto non sono altro che un tentativo di descrivere l'inesauribile complessità del mondo mediante una struttura geometrica e precisa. La cartografia contiene cinquanta isole, metà dei mari interni e metà dei mari esterni, più un'altra isola che «c'è. Ma forse è mobile. E naviga» e cinque comete. «Un dio apprendista biologo e, a tempo perso, alchimista sentimentale» creò la quinta e ultima co- a molti noto l'importante accordo da tempo siglato fra la notissima casa editoriale francese Gallimard e la nostra Electa, che ha consentito l'avvio di una collana Einaudi volta alla traduzione dei testi della prestigiosa serie Plèiade. Una parallela iniziativa ha dato vita alla Universale Electa/Gallimard che ha già offerto al nostro mercato quaranta manuali - definiti come «La prima biblioteca tascabile illustrata» - di varia cultura, dei quali l'ultimo, al momento, è II jazz - oltre il bebop (L. 20.000). L'opera è stata scritta da due importanti giovani studiosi francesi, Francie Bergerot e Arnaud Merlin, e si contraddistingue per molteplici meriti. La stessa si presenta, nell'intenzione della collana, come un manualetto prope¬ tuttolibrì LA SFINGE DI MANGANELLI

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