KIM nella giungla

KIM nella giunda KIM nella giunda scinano, le armi. Ho una fortissima attrazione per il vuoto: ho praticato quello sport che consiste nel gettarsi da un viadotto nel vuoto, attaccato a una corda, in caduta libera. Mi interessa il paracadutismo. Mio padre aveva fatto la guerra in Albania, era stato paracadutista: è una disciplina che conosco. Magari con qualche distacco, non ho nulla contro la sfida a se stessi e il dar prova di coraggio». Scrive? «Quando desidero esprimermi e non sto recitando un personaggio attraverso il quale potermi esprimere. Scrivo soprattutto di atmosfere, sogni, sensazioni. I versi del protagonista di Senza pelle li ho scritti io: sono nati anche perché, preparando il film, insieme con il regista abbiamo frequentato, in una comunità per il recupero di persone malate di nervi, il laboratorio di scrittura dove venivano elaborate cose bellissime. E' stata un'esperienza straordinaria, la comunità: con quei malati ho avuto un genere di comunicazione come è raro avere nella società. Sono posti dove i luoghi comuni non esistono; non esistono quei rapporti convenzionali per me tanto faticosi, quegli schemi precostituiti da cui è difficile salvarsi. Ed errori di cuore non puoi commetterne, perché i malati se ne accorgono subito: è una scuola». A scuola di recitazione è andato? «Un po' a La Scaletta, la scuola di Tonino Pierfederici. Ma soprattutto ho lavorato. Dopo il primo sceneggiato televisivo ho recitato Menotti Garibaldi ne II generale di Luigi Magni, ho fatto una parte ne Lo zio indegno di Franco Brusati; ho avuto il primo successo televisivo con Senza scampo, mandato in onda come riempitivo e divenuto invece record d'ascolto di Raidue; il successo tv s'è ripetuto e moltiplicato con Fantaghirò, grossa popolarità, mi riconoscevano per strada, autografi, tutte cose piacevoli ma in certo modo anche imbarazzanti. Ho passato anni facendo lavori che non corrispondevano ai miei ideali, ma che sapevo mi avrebbero aiutato a imparare. Con Senza pelle sento d'aver,fatto un la- to una quantità di film western, mitologici, di cappa e spada. Quando andavo alle elementari in via Flaminia, dove tutti erano figli d'impiegati, essere figlio di un attore mi faceva sentire straordinario e felice: vedevo mio padre come Achille, come un dio greco. Mia mamma, una donna bellissima, ci lasciò che io avevo quattro anni: ho sempre continuato a vederla, è nata come pittrice poi ha fatto lavori diversi, visagista, rappresentante, ha avuto un'altra bambina che adesso ha sedici anni ma non ha mai trovato un compagno stabile, forse il suo punto di riferimento rimaneva mio padre. Anche per me e per le mie due sorelle mio padre era essenziale: ma difficile». Difficile? «Quando avevo dieci anni ci trasferimmo in campagna, a Mazzano Romano. Mio padre era in rotta col mondo, amareggiato, silenzioso. Soffriva di depressione. Non aveva rapporti quasi con nessuno. Ha passato gli ultimi quindici anni della sua vita in solitudine, chiuso in quell'ettaro di terra che aveva recintato con le sue mani. Trovava una ragione di vita soltanto nell'allevare cavalli e nello stare con i figli: soltanto con noi parlava, soltanto a noi raccontava come si svegliasse alle quattro del mattino e andasse sul balcone a cercar di respirare e di placare l'angoscia. Stare con mio padre significava vivere nell'isolamento e nella fatica del farmer: la campagna, la stalla, i cavalli... Per tre ragazzi, era un poco difficile. Mia sorella maggiore se n'è andata lontano da Roma, adesso sta a Varese, fa l'infermiera, cura gli infettivi, i malati di Aids: ha trovato questa vocazione, l'ammiro molto. Mia sorella più piccola è rimasta, vive con un ragazzo della Costa d'Avorio ancora nella casa di campagna a Mazzano che è diventata mia dopo la morte di mio padre. Ora vedo mio padre di nuovo come un eroe: molto irritabile, abbastanza intollerante verso necessità e desideri altrui, però onesto, leale, generoso. Negli ultimi anni il nostro rapporto era splendido: a un certo punto, invece, mi sono sentito in conflitto, ho provato il desiderio di smantellare quella figura così importante, così ingombrante». Andò via di casa? «A quindici anni vivevo già per conto mio, perlopiù dormendo sui divani degli amici. Il mio primo appartamento in affitto l'ho avuto a diciassette anni: dal punto di vista domestico sono totalmente autonomo, so fare e faccio tutto, cucinare, pulire, la spesa, la lavatrice, le commissioni, le bollette, tutto. Ora che posso permettermelo c'è una signora che si occupa della casa, ma prima non mi pesava, anzi: mi dava la sensazione di mettere ordine intorno a me, mi dava qualcosa da fare pure quando non lavoravo. Continuo a cucinare io, mi dà piacere, me la cavo bene con il pesce e anche con il resto: l'essenziale è la quantità e la qualità dell'attenzione che si met- te nel fare le cose». subito per andarmene di casa». Sa sparare? «Mio padre andava a caccia, mi mise in mano il fucile che avevo dieci anni. Ho conservato le sue armi: per poterle tenere bisogna fare un esame di tiro, e io ho fatto tutti centri. Mi affa- Ma come se ne andò? «Ero in terza media (sono rimasto quasi lì, la scuola l'ho lasciata dopo le medie) e per caso, a quasi quattordici anni, mi scelsero per uno sceneggiato televisivo con Alessandro Haber e Veronica Logan, I ragazzi della Valle Misteriosa. Naturalmente la tv era una passione, ne facevo scorpacciate: ma l'occasione di buttarmi in questo lavoro l'ho colta y y : «A 15 anni vivevo da solo, sono bravo a cucinare, pulire, fare la lavatnee e la spesa»

Persone citate: Alessandro Haber, Franco Brusati, Luigi Magni, Menotti Garibaldi, Senza, Tonino Pierfederici, Veronica Logan

Luoghi citati: Albania, Costa D'avorio, Mazzano, Mazzano Romano, Roma, Varese