E dalla tv, la celebrità di Masolino D'amico

E dalla tv, la celebrità E dalla tv, la celebrità La Canzonissima del Sessanta lo portò sulla via del successo PERSONAGGI pubblici, gli attori dividono con noi che li guardiamo i loro trionfi, ma anche le loro amarezze; e ad Alberto Lionello, il più brillante, il più leggero dei nostri grandi interpreti di prosa, un destino beffardo ha assegnato nella vita il più tragico dei copioni, quello di una malattia lunga e spossante, consumata per di più sotto le luci della ribalta. Lionello lo ha recitato con grande classe, portando in giro personaggi di pochade e rallegrando spettatori ignari di come la tournée fosse organizzata in funzione dei centri di dialisi disponibili. Alla lunga fu costretto ad arrendersi a una routine troppo spossante, ma poi un'operazione gli concesse una proroga, e la parte che scelse per il suo rientro, quella di Shylock, non avrebbe potuto essere più congeniale alla circostanza, consentendogli di ritrarre un uomo intimamente irriducibile anche se una forza superiore lo costringe, ingiustamente, a piegare il capo. Il manifestarsi di un nuovo male ancora più terribile di quello che aveva sconfitto lo ha trovato dunque in piena attività, com'è giusto che sia per un attore, in un testo di Sacha Guitry forse invecchiato, ma dove l'antico brio si arricchiva di una punta di amarezza. Lionello aveva un ampio tirocinio dietro di sé quando diventò celebre quasi da un giorno all'altro in seguito a una Canzonissima televisiva (1960) dove faceva lo scanzonato «chansonnier parigino: il successo gli valse la scrittura allo Stabile di Genova, e una serie di memorabili spettacoli diretti da Luigi Squarzina, fra cui «Il diavolo e il buon Dio» di Sartre e «I due gemelli veneziani» di Goldoni, portato quest'ultimo in tutto il mondo durante anni di fortunatissime tournées. Agli esordi aveva fatto farse francesi come «La pulce nell'orecchio» di Feydeau, ed era stato anche in rivista con Wanda Osiris, aveva avuto insomma le esperienze ideali dell'attore postromantico, che i Beckett, i Pinter, i Brecht vogliono ironico e distaccato come un comico da music-hall; e infatti il particolare dono di Lionello, una verve piena di umorismo ma anche di energia, lo rese ideale porgitore anche di ruoli drammatici; accanto alla valorizzazione della lucidità dialettica degli Shaw e degli Anouilh, proprio questa sua gradevolezza rese possibili operazioni meno prevedibili, come il recupero di polverosi testi borghesi (Bertolazzi, Renato Simoni) che in bocca sua miracolosamente si decantavano, e riprendevano vita. Approfittando di tempi oggi tramontati in cui la tv sembrava amica del teatro, Lionello alternò sul piccolo schermo agli sceneggiati («Oblomov», «Puccini») accettabilissimi adattamenti di lavori popolari nati per il palcoscenico («La coscienza di Zeno» nella riduzione di Kezich, «La presidentessa», «Knock ovvero il trionfo della medicina»): prestò anche la sua maschera intelligente al cinema, dove fu efficace senza mai veramente sfondare («Signori e signore» di Germi, «Mio Dio come sono caduta in basso» di Comencini). Ma naturalmente era un attore di teatro se mai ve ne furono, uno degli ultimi ad aver fatto in tempo a imparare qualcosa dai monumenti del passato (non per nulla aveva debuttato con Gandusio), e al tempo stesso estremamente moderno per il suo distacco dal personaggio, del quale dava una lettura critica, di solito scintillante e irresistibile. A 64 anni si è ancora giovani come uomini, ma Lionello era ancora più giovane come attore; e malgrado il ricordo di una carriera fitta come poche altre, l'elenco delle parti che ancora lo aspettavano è doloroso. Masolino d'Amico

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