I Bonatti della domenica di Alberto Papuzzi

nimica nimica e ti ei pitano e baratri che sprofondano. Ma è questa notturna scarica di adrenalina che continua a fare del rifugio, a dispetto di tutto il turismo, un mondo a parte. Finché tra le due e mezzo e le quattro escono dalle camere e dai dormitori gli alpinisti che popoleranno di ombre la Vallèe Bianche. Nell'ingresso del rifugio si stringono le imbragature, si calzano gli scarponi, si bloccano i ramponi, si sfilano le corde, si adattano ai caschi le pile frontali, si controllano i moschettoni. Gli zaini sono diventati leggeri: la borraccia, gli alimenti, le mappe e qualche indumento di ricambio. Sotto la luna, scricchiola la neve nello stretto passaggio fra il muro posteriore del Rifugio Torino e le rocce dello zoccolo della Punta Helbronner. Ci voleva il buio perché la montagna si rivelasse come all'alba dei tempi. «Non ci vuol molto per vedere che non c'è nulla di sacro», cantava Bob Dylan in It's alrìght Ma, tuttavia la montagna qualcosa custodisce nella sua leggenda. Quando già il rifugio si è svuotato. Pasquale Esposito si misura cautamente, con le pedule da escursionista, sulla traccia degli alpinisti ammollita dal sole. Anche la signora del due pezzi è rimasta non si sa bene perché e nel silenzio scrive sul Libro del rifugio: «Troppo bello. Non volevo più andarmene e infatti non me ne sono andata». Il sole a Est illumina tutto l'aguzzo profilo del Dente del Gigante, quando esce dalle stanze dei gestori la giovane aiutante che aveva preparato le colazioni notturne. Ciondola verso i lavabi in pigiama azzurro e mormora stiracchiandosi: «Come si dorme bene, quand'è mattina, in rifugio». Alberto Papuzzi "

Persone citate: Bob Dylan, Pasquale Esposito

Luoghi citati: Torino