Peres «Il Golan è ormai terra siriana» di Vittorio Zucconi

Primo duetto tv tra First Ladies. Lea Rabin: Soha mi ha deluso ma la inviterò a cena Primo duetto tv tra First Ladies. Lea Rabin: Soha mi ha deluso ma la inviterò a cena Peres: «Il Colon è ormai terra siriana» Dura reazione dei coloni: così si tradisce il sionismo In nessun caso Menem: «No all'aborto in Argentina» TEL AVIV NOSTRO SERVIZIO questo primo contatto, ma ha preannunciato che «al momento opportuno, forse fra sei mesi» spalancherà le porte di casa sua alla nuova vicina. «Volevo sapere da Soha come immaginasse la futura società del suo popolo e, in essa, il ruolo delle donne - ha aggiunto Lea Rabin, in un'intervista alla radio militare - e invece ho dovuto ascoltare dichiarazioni militanti di tipo propagandistico. Che motivo aveva di ripetere tre volte che gli israeliani hanno lasciato a Gaza la terra bruciata?». La richiesta principale di Soha Arafat - di operare cioè per la scarcerazione immediata di decine di detenute palestinesi non è stata accolta da Lea Rabin. «Non sta a me - ha ricordato - fare o non fare gesti di buona volontà ai palestinesi». La signora Rabin ha però preso molto a cuore «il caso umanitario» di una donna palestinese tuttora chiusa in carcere nonostante soffra di un tumore in stato avanzato. BUENOS AIRES. Il presidente Carlos Menem vuole che la nuova Costituzione argentina, attualmente allo studio, proibisca del tutto l'aborto. La legge argentina attualmente in vigore è già molto restrittiva: l'interruzione della gravidanza è permessa solo se la vita della donna è in pericolo o in caso di stupro e prevede tre anni di carcere per la donna che abortisce e 15 per il medico che pratica l'intervento. Ma il Presidente si dice «d'accordo con la dottrina morale della Chiesa» per cui a suo parere «non si possono fare eccezioni» e vuole punire anche quei pochi casi sinora consentiti. Ma la presa di posizione di Menem, oltre ad essere osteggiata dalle forze di opposizione, rischia di spaccare anche il suo partito. Dall'altra parte dell'oceano l'episcopato cattolico spagnolo ha deplorato ieri la legittimizzazione delle unioni fra omosessuali prennunciata sia dal Parlamento di Strasburgo che dalle stesse Camere spagnole. A una settimana dall'inizio di una nuova missione mediorientale del segretario di Stato Usa Warrcn Christopher, il ministro degli Esteri Shimon Peres ha dichiarato ieri che Israele riconosce, in principio, la sovranità siriana sulle contese alture del Golan, occupate nel 1967. Peres ha avuto cura di avvolgere il suo «messaggio cifrato» per Damasco in una frase tranquillizzante: «Una volta dopo l'altra - ha detto a una riunione politica del partito laborista Israele ha riconosciuto la sovranità siriana su quelle alture». In separata sede, funzionari governativi hanno ricordato che quella fu infatti, alla fine degli Anni Sessanta, la posizione dei governi laboristi di Levi Eshkol e di Golda Meir (1969-74). Ma nel 1981 i laboristi votarono assieme all'estrema destra la legge che estendeva al Golan la giurisdizione israeliana. La reazione dei coloni è stata immediata: «Peres - ha detto un Il ministro degli Esteri israeliano Shimon Peres sulla tribuna del congresso del partito laborista loro portavoce - ha tradito il sionismo». Il premier Yitzhak Rabin ha messo in guardia da «facili entusiasmi» circa i negoziati con la Siria: «Le posizioni - ha notato - sono sempre molto distanti». In serata radio Damasco ha infatti ricordato a Israele che il ritiro dalle alture del Golan è una condizione «sine qua non» per una pace fra i due Paesi e che «senza la partecipazione della Siria, gli accordi in Medio Oriente avrebbero breve durata». Ma un segno che nel Medio Oriente si respira già un'aria diversa lo si è avuto mercoledì quando le «first lady» di Israele e dei palestinesi si sono incontrate per la prima volta sugli schermi di un network statunitense. La settantenne Lea Rabin parlava da uno studio di Gerusalemme, la trentenne Soha Arafat le rispondeva da Gaza: un colloquio che ancora mesi fa sarebbe apparso impensabile. Ieri la signora Rabin si è detta delusa da Aldo Baquis [Ansa] voro, ma non particolarmente amato. Fa il bello e il cattivo tempo in squadra. Impone scelte di giocatori e di tattiche. Osa far fronte anche al «Nerone di Fusignano», a Sacchi, come lo ha chiamato il New York Daily News per il suo vizio di demolire e ricostruire continuamente la Roma Azzurra. Gli allenatori e i partner che non vanno d'accordo con Baggio hanno la tendenza a sparire di squadra. Tutto questo può essere vero. Ma l'uomo che ho visto sul campo e poi ho studiato al videotape con la calma del dopo-partita mi sembra, più che un pesce freddo, la pentola a pressione che lo cuoce. Un giovanotto che si è imposto un'immagine esteriore di freddezza, per nascondere la vulnerabilità del suo animo, come delle sue gambe. O è così, oppure il lacrimatore del Giants Stadium ieri ha consumato un barattolo di colliri. Speriamo allora di vederlo ancora piangere molto, domenica. Auguriamogli tante lacrime, chilometri di magliette altrui intrise dal suo pianto, a Pasadena, se le sue gambe fragili guariranno a tempo. Perché soltanto quando vince, lui piange. Quando perde, Baggio diventa distante, distaccato e si richiude nella pentola a pressione: Los Angeles, sempre arida e a un soffio dalla siccità desertica, ha bisogno di una buona irrigazione, e noi abbiamo bisogno della Coppa. Dopo tanti gol e tante lacrime, Baggio ha finalmente conquistato anche la stima degli scettici commentatori americani («Questo è il suo Mondiale», ha sentenziato la catena tv sportiva Espn dopo la Bulgaria) e ha reso un po' più difficile il compito del bravissimo Stillitano, l'italo-americano che aveva in cura il prato steso allo Stadio dei Giants per coprire l'erba sintetica, come ha imposto la Fifa. Ieri mattina, mentre gli operai già cominciavano a demolire il centro stampa e a tirar giù le insegne della XV Coppa del Mondo, ho viste Stillitano e i suoi giardinieri che cominciavano a rimuovere malinconicamente zolla per zolla l'erba sulla quale Italia e Bulgaria avevano giocato: la venderanno come souvenir per 20 dollari, 30 mila lire, a metro quadro. Tutta, tranne il pezzo davanti alla panchina italiana che Stillitano ha tenuto per sé, quello sul quale Baggio ha pianto di più. Così nascono poi le leggende e i culti: da ieri a New York qualcuno conserva in casa la Reliquia di San Roberto da Vicenza, patrono della Nazionale 94. piedato si bagna delle lacrime di Baggio. Passa Arrigo Sacchi, il kennediano del calcio, e i due si stringono la mano, si abbracciano virilmente. Ma quando il «piccolo grande uomo» vede Gigi Riva, il pianto si fa dirotto. Invano Riva lo consola, cerca di calmarlo, gli passa la mano sulla testa, lo sorregge come un bambino. «Rombo di Tuono» subisce la pioggia irrefrenabile. «Sono stato un calciatore anch'io, ho vissuto queste situazioni - dirà più tardi Riva - e l'ho capito benissimo». Piangeva ancora ai microfoni di «Bisteccone», di Giampiero Galeazzi, che è riuscito a strappargli appena un «abbiamo vinto per loro, abbiamo giocato con il cuore», prima che un altro singulto gli chiudesse la gola e si dovesse strofinare gli occhi. Fine della trasmissione. Anche le ghiandole lacrimali di un grande campione hanno i loro limiti di portata. Prima del Mondiale, i colleghi esperti di calcio, i «baggiologhi» mi avevano avvertito che il Monachino Zen era un animale a sangue freddo, un pesce dei mari del Nord che sa controllare le sue reazioni come controlla la palla con l'interno del piede destro, benissimo. Baggio, mi dicevano le voci di spogliatoio, è un giocatore rispettato dai colleghi di la¬ LE LACRIME DEL POETA con la «lacrima Baggii». Il primo che gli capita sotto tiro è l'altro Baggio, il Dino, che era in panchina, infortunato come lui, Baggio 1 gli affonda la faccia nel petto e dai sussulti delle spalle si vede che piange. Quando si scioglie dall'abbraccio, si trova Carmignani, uno degli allenatori, una faccia da duro, quello che si mormorò avesse suggerito a Sacchi proprio l'esclusione di Roberto dalla partita con la Norvegia, a portata di lacrima: ma la vittoria guarisce tutti i rancori. Carmignani finisce nelle sue braccia. Si piange. Attorno a Baggio, i compagni si scambiano le maglie, stringono le mani dei valorosi zingari bulgari stravaccati sull'erba del Giants Stadium come cavalli azzoppati dopo una battaglia. Ma non Roberto. Lasciato Carmignani, gli passa vicino Albertini, che non sfugge alla «via lacrimosa». Lo abbraccia e gli piange addosso. Dopo Albertini, compare Tassotti, in abiti civili dopo la gomitata a Enrique, e anche la bella maglietta pulita del terzino ap¬ dieci minuti dopo il fischio finale dell'arbitro Quiniou al Giants Stadium, negli studi Rai di New York: tutto Baggio lacrima per lacrima. I nostri, certamente, erano tutti commossi, o semplicemente esausti ed era difficile stabilire se le gocce di liquido che colavano sui loro volti erano lacrime o rivoli di quel sudore che la temperatura insensata di New York gli spremeva dai pori dilatati. Persino Donadoni, con la sua bazza storta e ironica, era commosso, e il povero Costacurta, eliminato dalla finale, era cupo e solo. Tutti meno Arrigo Sacchi, naturalmente, che invece un po' di sangue Kennedy deve averlo perché è riuscito a stringere i denti, arrotare ancora di più le sue «ezze» romagnole, apparire stravolto al limite del collasso, ma a non piangere. Chissà se riuscirà a piangere in caso di vittoria sul Brasile? Speriamo che trovi anche Sacchi il coraggio di piangere. Ma poi l'obiettivo si sposta sul «little big man», sul piccolo grande uomo della Nazionale e giù Vittorio Zucconi