«Meridione sempre più a rischio »
CCT Rapporto Svimez «Meridione sempre più a rischio » ROMA. Allarme Meridione. Il Mezzogiorno d'Italia, avverte lo Svimez nel suo rapporto annuale che sarà reso pubblico oggi, si sta allontanando sempre di più dal resto del Paese e il divario rischia di allargarsi anche quest'anno, se alla politica per le aree depresse «incompleta ed incerta» del nuovo governo non si sostituirà una normativa più efficace ed incisiva. E in ogni caso l'Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno si oppone con vigore ad alcune proposte della nuova maggioranza, come il federalismo fiscale (sarebbe «iniquo ed assurdo») e la proposta di reintrodurre per legge le cosiddette «gabbie salariali», che avrebbero effetti deleteri sulla situazione meridionale. Lo scorso anno, secondo lo Svimez, il Pil meridionale ha subito una contrazione ben più consistente di quella verificatasi nel resto del Paese (meno 1,6% contro un calo dello 0,3% del Centro Nord), il prodotto per abitante ha subito una flessione del 2,6% (meno 0,6% nel resto d'Italia), l'occupazione ha registrato una riduzione più sensibile (5,2% contro 3,5%), il prodotto pro-capite è stato pari a 19 milioni di lire per abitante contro la media dei 32 milioni del Centro Nord. Più accentuata anche la diminuzione degli investimenti: meno 12,4% contro una flessione del 10,6% nel Centro Nord. La situazione già fortemente penalizzata del Mezzogiorno, secondo la Svimez, potrebbe peggiorare ulteriormente con il nuovo sistema di intervento per le aree depresse che ha sostituito la vecchia politica meridionalistica: «Vi è da temere che nella competizione per l'assegnazione delle risorse disponibili, gli interessi delle aree di crisi del Centro Nord tendano a prevalere su quelli delle regioni strutturalmente in ritardo del Mezzogiorno». «Quello meridionale - precisa ancora il documento - è un problema di politica nazionale prima che di politica regionale: l'interesse è che la politica economica sia orientata verso investimenti creatori di nuove occasioni di lavoro piuttosto che di consumi e che siano aboliti vincoli e oneri che frenano o dirottano verso altri Paesi gli investimenti».
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