Strano interludio per Walesa

Herling, ritorno in patria Herling, ritorno in patria Strano interludio per Walesa RE i f d l dri l RE anni fa sono andato nel mio Paese natio, la Polonia, dopo mezzo secolo di esilio politico. Crollato il regime 1 comunista, un avvenimento por il quale mi sono battuto all'estero con gli amici della rivista Kultura di Parigi, ho potuto dichiarare all'atto di ricevere la laurea ad honorem dell'Università di Poznan: «Ho cessato di essere uno scrittore in esilio, sono diventato uno scrittore polacco che vive a Napoli». E infatti sono cadute tutte le vecchie interdizioni di pubblicare la mia opera in Polonia, i miei libri appaiono in Polonia e arrivano nelle mani dei loro lettori naturali (senza dover essere contrabbandati dall'estero, come accadeva prima), raggiungendo notevoli tirature. Quest'anno, esattamente tre anni dopo, sono di nuovo andato in Polonia invitato ad assistere a Varsavia al lancio dell'edizione delle mie opere complete, e a Wroclaw (la vecchia Breslau) per ricevere un premio letterario e la medaglia d'oro dell'Università. In un viaggio di un mese, con i soggiorni a Varsavia, a Lublino, a Cracovia, a Gliwice, a Wroclaw, tra gli affollati incontri con i miei lettori (ascoltando le loro domande e cercando di rispondere secondo le mie capacità) ho potuto farmi un quadro approssimativo della situazione polacca nove mesi dopo le elezioni del 19 settembre, che hanno portato al potere - appena crollato il regime comunista - il partito degli ex comunisti (o, se si preferisce, come certamente preferiscono i diretti interessati, dei post-comunisti) insieme con i loro fedeli fiancheggiatori dei tempi passati, il partito dei contadini. Insomma, sulle rovine di una «democrazia popolare» polacca disintegratasi nel 1989 è cresciuta, quanto alla composizione del governo e alla maggioranza nel Parlamento, una formazione genuinamente democratica ma non priva di certe velleità e di certi appetiti dell'epoca ormai tramontata di un bello e buono «socialismo reale». Il quesito che sorge per primo è naturalmente come mai la Polonia, il Paese anticomunista per eccellenza, ha voluto fare il 19 settembre quel passo: sorprendente sì, anche se preceduto dai lituani e seguito dagli ungheresi. Durante il mio viaggio mi è capitato spesso di leggere sui giornali polacchi commenti allarmistici sull'«ondata neofascista in Italia», e spesso chiedevo ai miei ascoltatori e interlocutori se non sembrava loro un po' eccessiva questa preoccupazione espressa nel Paese dove i «neocomunisti» si sono insediati al potere quattro anni dopo la caduta del comunismo, mentre in Italia i «neofascisti» sono entrati nel governo dopo una quarantena politica di quasi mezzo secolo. Un imbarazzato silenzio fu di solito la risposta. Una reazione tipica per chi comincia a rendersi conto di che cosa sia successo. Gli ex comunisti e i loro alleati del partito contadino sono riusciti, grazie al loro vantaggio organizzativo sopravvissuto dal periodo precedente, a padroneggiare meglio i loro elettori (non bisogna dimenticare che soltanto la metà degli aventi diritto a votare è andata alle urne). E una parte della popolazione, particolarmente impoverita, ha deciso di protestare con il voto contro il prezzo elevato del passaggio dal «socialismo reale» al libero mercato. La propaganda elettorale degli ex comunisti e del partito contadino non mollava questo argomento, promettendo di rad¬ drizzare o comunque attenuare le ingiustizie contenute nella riforma. Promesse non mantenute; l'attuale governo continua la politica del suo predecessore tanto vituperato nel corso della campagna elettorale. Disilluderà magari i suoi elettori protestatari, ma ha paura di mettere in pericolo l'evidente (confermato dalle statistiche) progresso economico del Paese. Si limita quindi ad accumulare con grande voracità i posti nevralgici e meno del potere, come se questo fosse 0 suo unico scopo. I suoi elettori non tarderanno troppo a vederlo in tutta la sua ovvietà, e trarranno le loro conclusioni. Se, poi, si tiene presente che soltanto la metà degli aventi diritto a votare sono andati alle urne, e che la destra sconfitta dalla meschina divisione in vari partitini tenta ora di creare una specie di Alleanza democratica della destra (contrapposta alla Alleanza democratica della sinistra degli ex comunisti), le prospettive della stabilità e della durata dell'attuale governo non sono rosee. Si nota anche la tentazione del partito dei contadini di prendere le distanze dai suoi alleati ex comunisti per avvicinarsi alla Chiesa, che (come sempre) guarda gli abitanti delle campagne con un occhio di benevolo interesse. Le innumerevoli conversazioni che ho avuto con i partecipanti alle mie semiconferenze o letture letterarie mi hanno convinto che si sta diffondendo il pentimento per le elezioni del 19 settembre. Per ora il pentimento trova la più naturale espressione nel crescente disinteresse per la politica, una sorta di «non vale la pena, sono tutti imbroglioni che sulle nostre spalle fanno una scalata al potere, l'unica risposta è occuparsi esclusivamente dei fatti propri». Infatti lo abbiamo già visto poche settimane fa, quando le amministrative del 19 giugno hanno richiamato alle urne un magro 30% degli aventi il diritto al voto. Se non è ancora un disastro, è un dato che porta al disastro. Tutto ciò che ho visto e sentito durante il mio mese in Polonia mi induce a pensare a un «interludio polacco», cioè a un periodo transitorio piuttosto che non indirizzato alla maggiore stabilità, stabilità indispensabile per fare ulteriori passi in avanti. C'è in aria un riesame delle esperienze contenute nel quinquennio dell'indipendenza e sovranità nazionale. L'iniziale precipitazione delle cose tende a rallentarsi e ad arricchirsi delle riflessioni più mature. Resta il punto focale del quadro politico polacco, il Presidente della Repubblica. Nessuno vorrà togliere a Walesa gli enormi meriti del capo di Solidarnosc, e persino un certo naturale (e non di rado furbesco) fiuto politico, ma la gente non trattiene più l'insofferenza di fronte alle sue attività e al suo comportamento in veste di primo cittadino del Paese. Alla vigilia della mia partenza ho ascoltato in tv l'intervista di Walesa. Dopo aver solennemente annunciato il suo proposito di presentarsi per la seconda volta nelle presidenziali, aggiunse: «E vincerò, come ho vinto sempre, se gli uomini politici mi ubbidiranno». Sembrava il capo di una banda di ragazzi nel cortile di un palazzo nell'atto di promettere loro la vittoria in cambio della sottomissione cieca. Era più patetico che pericoloso. Speriamo che rimarrà tale fino alla fine della sua carriera. Gustaw Herling

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