l'AMORE ai tempi della polenta

AMORE cibi D'autore. Sulle tracce del nonno partigiano AMORE ai tempi della polenta RACCONTI D'ESTATE malga. m-iIRA verso il 20 di giugno, I,1 quando i crepuscoli sono Mi lunghi e brevi le notti. Il I i temporale li sorprese lungo \ la mulattiera che saliva alla Il vento dal Garda aveva portato le nuvole che improvvisamente coprivano tutto il cielo; diventarono nere e poi giallastre. Il primo lampo sembrava volesse dilaniarle e subito dopo incominciarono a cadere grosse gocce e violenta grandine. Si tirarono sulla testa il cappuccio della giacca a vento e allungarono il passo. In quel punto la montagna era nuda di alberi; tra le macchie di rododendri cresceva l'erba dei pascoli e sulle rocce una fitta boscaglia di pino mugo. Non c'era nessun riparo dove fermarsi e lasciare passare il temporale che intanto si stava sfogando con impressionanti lampi e tuoni che lasciavano nell'aria odore di zolfo. ((Anche questo temporale sarà da raccontare a nonno Gigi», disse lei gridando. Erano partiti due giorni prima da una città del Sud ed era stato nonno Gigi a spingerli in questa che consideravano un'avventura. Aveva detto tante volte: «Vorrei ritornare lassù dove ero in quegli anni della guerra». Ripeteva questa frase con insistenza, come fanno i vecchi, le diceva a figlie e nipoti che ascoltavano solo per compiacenza. Per tanto tempo non ci aveva pensato, ma ora che quasi non poteva più nemmeno camminare, quei tempi e quei luoghi gli ritornavano sempre alla memoria. E ricordava L'8 settembre del 1943 quando il comandante del battaglione guastatori aveva detto che erano liberi di scegliere ognuno la propria strada, giacché il re e Badoglio avevano scelto la loro. Era andato poco lontano perché arrivarono i tedeschi e lui si era fermato in una casa di contadini e visto che poi gli era impossibile raggiungere la sua casa tanto lontana si era messo con la banda partigiana. Un giorno aveva chiamato Luisa. «Senti, - gli disse sottovoce -, all'università quest'anno ti è andata bene; dovresti convincere Franco a partire con te verso il Nord. Non dovrebbe essere difficile convincerlo a venire con te! Io vi pago il viaggio. Con il treno arrivate diritti fino a Padova, poi da lì a Vicenza sempre in treno, infine con la corriera. «Il giorno dopo salite alla Malga Hotara. E' dove ho passato i venti mesi più importanti della mia vita. Lo dico solo a te che sei la nipote più cara. Io non posso andarci. Poi mi racconti». Nell'aria l'odore di fieno Franco aveva accettato con entusiasmo di accompagnare Luisa; soli, insieme per belle montagne e vasti boschi. Sarebbe stato, pensava, un meraviglioso tempo d'amore. Partirono dopo aver superato un esame. Arrivarono al paese di montagna il mattino dopo la loro partenza. Odore di fieno era nell'aria; chiesero informazioni e dopo aver comperato una carta topografica e una guida dei sentieri si avviarono con gli zaini in spalla. Fu dopo passato i boschi che vennero sorpresi dal temporale che poi, cosi come improvvisamente era venuto, cessò. Le nubi corsero via con il vento verso il Nord e si svuotarono di fulmini e tempesta sulle cime più alte. Il sole riapparve e si stabilì dentro un azzurro limpido e nuovo. La temperatura si era notevolmente abbassata e il suolo faceva salire il suo fiato. La Malga Hotara comparve improvvisamente dentro la conca. Il fumo usciva dal camino e sotto, lungo gli sporti, si era accumulata la grandine. Le pozze per le abbeverate riflettevano il cielo e anche le vacche vi si specchiavano. La mandila, tranquilla e sparsa, pascolava lì attorno l'erba verdissima tra il bianco delle pietre e della grandine. Un cane grigio e fulvo si avvicinò ai due, li annusò e poi scodinzolò. Luisa chiese permesso a voce alta e spinse la porta. Il casaro stava rimestando il latte con la lira dentro la grande caldaia per rompere la cagliata; una donna anziana stava seduta su una panca a rammendare un paio di scalfarotti; «Levatevi da dosso quella roba bagnata e avvicinatevi pure al fuoco», disse la donna ai nuovi entrati. Era buono l'odore del latte che cagliava e ancora più gradevole il fuoco alto e allegro sul focolare dove, appeso alla catena, era un paiuolo pieno d'acqua. Luisa e Franco si giravano ora da una parte ora dall'altra per asciugare i pantaloni. Luisa disse che erano arrivati fin lassù per trascorrere qualche giorno di vacanza, sì, proprio in quella malga se c'era posto. «Non siamo in agosto», la interruppe il casaro. «Se vi adattate -, disse la donna, sempre agucchiando gli scalfarotti -, su c'è una stanza. Il mangiare è quello che mangiamo noi, e con i nostri orari. Il prezzo è trentamila a testa. Al giorno, naturalmente». «Ci va bene», interruppe Franco. La stanza, sotto il tetto ripido e alto, era tutta foderata di tavole d'abete, pulita e semplice, due letti, una brocca per l'acqua e un catino di ferro smaltato, due sedie, uno sgabello, un attaccapanni. Una finestra guardava sui pascoli e sulle rocce dove si arrampicavano dei larici. «Qui la notte fa mollo freddo -, disse la donna che li seguiva -. Potete unire i letti e le coperte. Lasciarono lì gli zaini e poi scesero. L'uomo stava levando il formaggio dalla caldaia. Chino, con le braccia nude affondate nel siero, con un telo di canapa estraeva la pasta e la ricalcava nelle fasce di legno preparate sul tavolone. L'acqua dentro il caldaio bolliva allegramente e il casaro dopo aver dato un'occhiata alla sveglia che ticchettava su una scansia disse. «E' ora di fare la polenta. Il sale l'ho già messo». Da un sacco rimboccato la donna prendeva un pugno di farina e mentre rigirava la mestola con l'altra mano la lasciava lentamente cadere dentro l'acqua. Girava lesta e accaldata; premendo con un ginocchio contro un asse rivestito di lamiera teneva fermo il caldaio di rame. Ad un tratto Luisa disse: «Nonno Gigi mi spiegava come facevano la polenta». Poco prima di mezzogiorno arrivarono in casara anche due ragazzi che erano fuori a sorvegliare le vacche, o a far legna in bosco. «Buon giorno!», dissero a Luisa e a Franco che stavano a guardare come la donna faceva la polenta. Il casaro che era andato a governare il formaggio nella stanza della salagione, quando rientrò disse: «E' cotta, buttala fuori». La polenta soda e gialla era in mezzo alla tavola e il suo profumo si spandeva per la casara. Sulla tavola la donna preparò con i piatti, un pignatto di vino e un pezzo di formaggio. Dopo, dalla cucina economica prese un tegame e nei piatti incominciò a distribuire il coniglio con il sugo di burro e timo serpillo. I tre uomini si erano già seduti sulla panca con le spalle al muro. «I vostri posti - disse la donna ai due che restavano in piedi - sono quelli con il tovagliolo di carta». Si sedettero di fronte agli uomini, dove c'era anche il posto della donna, con le spalle rivolte al focolare dove il fuoco si stava consumando la legna. «Servitevi la polenta, così come faccio io», disse il casaro rivolgendosi agli ospiti. E mostrò come, tagliando con lo spago sottile una grossa fetta. Luisa e Franco erano un poco intimiditi dal silenzio degli uomini che li stavano osservando. Fu la donna a tagliare per loro la polenta. Incominciarono a mangia¬ re. L'intingolo del coniglio era davvero molto buono e profumava di timo, anche la carne era saporita. «E' davvero buonissimo», disse Luisa. «Sono conigli che alleviamo noi qui fuori. Mangiano solo erba di montagna», rispose la donna. «Mio nonno Gigi mi diceva che si mangiava solo polenta e formaggio». «E' la seconda volta che nomina suo nonno Gigi», intervenne il casaro. «E' stato qui a fare il partigiano», disse Luisa. L'uomo alzò la testa dal piatto: «Come si chiamava?». «Si chiama Luigi Millo, ma è vi¬ vo». «Come si chiamava qui, da partigiano». «Come puoi ricordare intervenne la donna -. Allora eri ancora un ragazzo». «Lo chiamavano Teron anche come nome di battaglia perché era del Sud». «Il Teron - esclamò il casaro -. Ci faceva ridere quando voleva parlare in dialetto. Mi diceva sempre: "Bocia, polenta e formaio ze bon"». «Ma l'ha conosciuto?». «Ero ragazzo ma lo ricordo bene. Quando era di guardia in cima allo Scoglio del Gallo qualche volta andavo a trovarlo e mi diceva: "Bocia, polenta e formaio ze bon, ma ze bon anche spaghetti con la pommarolla 'n coppa!"». A Luisa brillarono gli occhi e sorrise con tutto il viso pensando a suo nonno tra queste montagne, quando aveva poco più di vent'anni. «Lui mi raccontava dei suoi compagni partigiani, di Brocca, di Giulio, di Aramis, di Barba, del Moretto, di Bull, di Bruno e di altri ancora che adesso non ricordo». «Sono rimasti in pochi. Molti sonu emigrati, altri sono morti. Ma Aramis in uno di questi giorni dovrebbe salire in malga». Detto questo sembrava non volesse più parlare. Continuarono a mangiare in silenzio. Le ossa de) coniglio erano ripulite dentro il piatto ripulito dall'intingolo. La donna prese il coltello e lo porse a Franco invitandolo a tagliare un pezzo di formaggio: «E' formaggio di un anno, fatto l'anno scorso qui in malga. E' buono con la polenta. Siete giovani, mangiate». «Polenta e formaio ze bon!», esclamò Luisa, e quell'accento meridionale nel dialetto fece sorridere i due ragazzi. Il pranzo era terminato. Il casaro si alzò dalla panca e disse: «Noi ora andiamo a riposare perché ci siamo alzati alle quattro. Se ne avete voglia andate a dormire anche voi. Se volete potete restare qui in camera, o anche fare un giro qui intorno. Ci vediamo». Si alzarono tutti. La donna si fermò a lavare le stoviglie nel siero ancora caldo, poi anche lei si ritirò. Il meriggio regnava sulla montagna, le vacche sui pascoli stavano sdraiate a ruminare e non si sentivano più i campanacci che dondolavano. Franco e Luisa si sedettero sulla panca davanti al focolare dove anche il fuoco si era assopito. Fumavano in silenzio. Infine decisero di uscire per prendere conoscenza del paesaggio. Il cane che si era addormentato davanti alla porta si alzò e li seguì. Camminarono dapprima tra le vacche ruminanti che preparavano il latte; si fermarono a bere a una piccola sorgente che sgorgava da una fessura della roccia e si dissero che anche nonno Gigi aveva certamente bevuto quell'acqua. Proseguirono per un sentiero che li condusse a una selletta tra rocce nude da dove si vedevano da una parte tante montagne, le ultime bianche di neve e di ghiacciai, e dall'altra boschi e dossi a perdita d'occhio. Sotto di loro sprofondava a picco una valle da dove giungeva il brusio del traffico stradale. Sempre seguiti dal cane ritornarono sui loro passi verso la malga e quando vi giunsero stavano mungendo le vacche radunate in gruppo. Il casaro chiamo presso di sé il cane e lo rimproverò duramente. «Perché lo tratta così? - chiese Franco - .E' stato bravo». «Doveva restare qui ad aiutarci a radunare le vacche». «Siamo andati - disse poi Franco - per un sentiero fino a una sella da dove si vedono la Val Sugana e le montagne fino in Austria». «Lì, da quelle rocce sulla sinistra è dove si è buttato Moretto per non cadere nelle mani dei fascisti. Sono passati giusti cinquant'anni». «Anche di questo ci ha raccontato nonno Gigi», disse Luisa. I giorni che seguirono assomigliarono a questo come intensità di ricordi e di scoperte. Anche loro due si alzavano appena il cielo incominciava a schiarire e, dopo aver fatto colazione con polenta abbrustolita e latte fresco e formaggio, andavano per le montagne sempre accompagnati dal cane. Un pomeriggio, invece di andare a riposare, il casaro li accompagnò dove un tempo c'era il ricovero dei partigiani. Dopo aver camminato solo una mezz'ora per un terreno accidentato e coperto da un fitto e intricato mugheto, raggiunsero una cima tutta intersecata da trincee della prima guerra mondiale e dove anche delle caverne si internavano dentro la montagna: «Erano qui - disse il casaro -. Quando ero in malga a guardare le vitelle ogni tanto venivo a trovarli. Avevo dodici anni e qualche volta portavo anche dei messaggi. Mi chiamavano Bocia. Quando c'erano i rastrellamenti non li trovarono mai perché per un camminamento e una galleria uscivano dall'altra parte della montagna e poi restavano in quota». Luisa e Franco lo ascoltavano. Quel luogo e le parole del casaro erano più istruttivi di tante lezioni universitarie. «Ecco, qui c'era la cucina - riprese il casaro -, ossia il posto dove Aramis cucinava la polenta per tutti. E lì sopra è il posto di guardia». C'erano solo rocce con poca e magra vegetazione. Una grande pace e un leggero vento che portava l'odore della resina che i mughi evaporavano al sole del meriggio. Luisa volle salire al posto di guardia dove suo nonno Gigi, il Teron, sognava gli spaghetti al sugo di pomodoro e un'Italia libera. Si vedeva tutt'intorno per trecentosessanta gradi: «Da qui vedevano tutto», disse Franco. Tra le rocce fiorivano le stelle alpine e Luisa raccolse qualche stelo: «Le porto a mio nonno», disse al casaro che la osservava. Sale e farina di contrabbando Una sera giunse in malga anche Aramis. Uno dei ragazzi era sceso nella contrada ad avvisare che la nipote del Teron era lì. «Assomigli a tuo nonno - disse Aramis dopo averla guardata in silenzio -. Come sta il nostro Teron?». Quella sera raccontò a lungo, gli piaceva raccontare. Disse come arrivava fin lassù la farina che procuravano quelli del Cln di Padova, ma come era difficile procurare il sale per salarla. Lo portavano i contrabbandieri di tabacco da Valstagna. Il formaggio, invece, quando non era in attività la malga, arrivava dal Caseificio Cooperativo dove Massimo il contabile e Silvio il casaro riuscivano a ingannare quelli della Milizia annonaria. Raccontò anche che il Teron era esperto di esplosivi perché aveva fatto il corso guastatori. Insieme con Nino, Vassilij il russo, Danilo e Bull, e con lui Aramis, si erano calati più volte giù nella valle per far saltare la ferrovia Trento-Venezia dove passavano i treni tedeschi. Una volta attaccarono anche una colonna di camion che portava legname giù in pianura dove volevano rifare i ponti sui fiumi. Raccontava e raccontava. Il fuoco si era spento da un pezzo ed erano rimasti solo Luisa, Franco, Aramis e il casaro. Quando il barlume dell'alba incominciò a schiarire l'oriente, Aramis si alzò in piedi e andò dove aveva riposto lo zaino. L'aperse, levò un sacchetto di tela e venendo verso Luisa e Franco disse: «Portatelo da parte mia al Teron. E' la farina da polenta di Aramis. Tu - disse a Luisa - hai visto come si fa. Gliela devi preparare». «Io - disse il casaro -, vi darò un pezzo di formaggio. Ditegli che è quello della malga del Bocia». «Polenta e formaio ze bon!», disse Luisa con le lacrime agli occhi. Mario Rigoni Stern Ormai vecchio chiese alla nipote di passare le vacanze sui monti dove aveva combattuto: «Poi mi racconterai» // casaro rimestava il latte con la lira, il profumo si mischiava a quello degli alberi: tutto uguale, stesso formaggio, come in guerra cibi D'autore. Sulle tracce del nonno partigiano Le Dolomiti, montagne di malghe, polente, formaggi, vacche che pascolano libere e alberi profumati Sotto il titolo, lo scrittore Mario Rigoni Stern. Qui a fianco, il casaro mentre prepara il formaggio. A sinistra, una grande colata di polenta

Persone citate: Badoglio, Barba, Brocca, Luigi Millo, Mario Rigoni Stern, Moretto

Luoghi citati: Austria, Italia, Padova, Valstagna, Venezia, Vicenza