RESTAURAZIONE L'irresistibile charme dell'impero rosso

E in Bielorussia trionfa Lukascenko, un secondo Zhirinovskij, nostalgico del vecchio regime RESTAURAZIONE L'irresistibile charme dell'impero rosso DMOSCA EI tre presidenti che, l'8 dicembre 1991, decisero la «fine dello spazio geopolitico» chiamato Unione Sovietica, resta ormai al potere solo Boris Eltsin. Il bielorusso Shushkevic era già stato cacciato a furor di popolo al primo turno. Leonid Kravciuk è stato consegnato alla storia dal secondo turno ucraino. Le elezioni presidenziali di Ucraina e Bielorussia aprono due rompicapi che non prevedono soluzioni indolori. Indicano che le tendenze centripete verso Mosca hanno preso il sopravvento. Chi, in Occidente, ha continuato a temere il sorgere di pulsioni imperiali della Russia, perdeva di vista il dato clamoroso che ora emerge dalle due elezioni: cioè che, prima e più ancora dei russi, sono gli altri popoli, slavi e non slavi, che chiedono a gran voce il ripristino di una qualche forma di unione. Comunque un riavvicinamento delle ex repubbliche sorelle, anche se non più socialiste, né sovietiche. Ma a Kiev la vittoria di Leonid Kuchma (o sarebbe stato lo stesso se vinceva Kravciuk) indica anche che il Paese è spaccato in due: l'Ovest tutto per la sovranità totale rispetto a Mosca, l'Est (non solo i russi) per un'integrazione sempre più marcata con la Russia. Tenere insieme queste due spinte non sarà facile. Tenere insieme l'Ucraina in queste condizioni lo sarà ancor meno. Kuchma è uomo della ex nomenklatura comunista; ex premier con Kravciuk, uomo di apparato dalle mille astuzie, con lui Mosca potrà forse dilazionare nel tempo il problema. Ma sarebbe illusorio sperare che ciò soddisfi la Crimea, che vuole ritornare in Russia subito, o tranquillizzare Leopoli, che in Russia non tornerà mai. Certo è che il suo programma economico è lontano dalle riforme eltsinianc più o meno quanto il mercato russo è lontano dall'Occidente. E dalla parte opposta. Logico, quindi, che l'at- 1 <JC 1 opp. tuale leadership del Cremlino preferisce un'Ucraina meno «vicina». Ma altrettanto prevedibile è attendersi che tutte le opposizioni a Eltsin, a Mosca, impugneranno la vittoria di Kuchma come una loro vittoria ed una loro rivincita. Per quanto concerne la Bielorussia, il rompicapo è diverso: in parte meno pericoloso, in altra parte addirittura di più. Aleksandr Lukascenko non ha solo vinto: ha trionfato con l'81 per cento dei voti. I dieci milioni di bielorussi sono con lui, non c'è spaccatura nel Paese. Ma il suo programma è netto: niente privatizzazione della terra, controllo statale sull'economia, no alla liberalizzazione dei prezzi, integrazione con la Russia. E il quarantenne Lukascenko non ha nulla a che fare con le vecchie nomenklature di partito. E' un outsider incontrollabile. Le opposizioni russe al Cremlino non avranno difficoltà a gettare ponti verso di lui. Eltsin, volente o nolente, non potrà ignorare le richieste che vengono ora da Kiev e Minsk. Pena, altrimenti, la ulteriore erosione del suo consenso interno. Ma, se vorrà guidare, anche rallentandolo, il processo, dovrà spiegare all'Occidente che non può proprio farne a meno. Insieme ai suoi partners del G-7, a Napoli, mentre ucraini e bielorussi votavano per riavvicinarsi alla Russia, ha salutato un'Ucraina «sovrana e indipendente». Ha cioè dato garanzie precise e solenni che la Russia non tornerà a dirigere l'orchestra in quell'area. Ora ò l'orchestra che esige - anche se divisa - proprio perché divisa - un direttore. Giuliette* Chiesa saj