Cardini rinnegato dalla destra di Pierluigi Battista

Cardini, rinnegato dalla destra Cardini, rinnegato dalla destra Perché An non lo vuole nel Consiglio Rai IL PROFESSORE DELLA DISCORDIA PROMA ER sferzare il professore «con la puzza sotto il naso», hanno persino scomodato dall'aldilà la buonanima di Achille Starace. Sì, proprio lui, Starace, il più devoto dei gerarchi, il ginnasta del regime mussoliniano chiamato un po' di giorni fa in un'intervista immaginaria del Secolo d'Italia a propinare massicce dosi postume di olio di ricino ai troppo deboli e pavidi intellettuali di destra. E soprattutto a farne trangugiare «una damigiana» a Franco Cardini, lo storico medievista un tempo amatissimo dalla destra e sul cui nome come consigliere d'amministrazione della Rai, inopinatamente, la destra di Alleanza nazionale ha posto il veto. Per giunta reclamando il nome alternativo di Francesco Gentile, lui sì apprezzato dal redivivo Starace, mica come quello «snob snob» di Cardini che sul Secolo viene liquidato così dal gerarca riportato in terra: «se ne resti pure nelle nebbie del suo Medioevo». Nel Medioevo, altro che nei piani alti di viale Mazzini. E vale poco la replica con cui sulle pagine del Secolo Cardini ha obiettato all'«Eccellenza Vostra» che le sue credenziali di «destro» doc sono ben più affidabili di tante «mezze cartucce che pretendono patenti antemarcia di destra». Vale poco, nel senso che la rottura tra Cardini e la Destra sembra essersi consumata in modo irreversibile. Tanto che il nome di Cardini si è trasformato nel pomo della discordia, nel casus belli che ha mandato a carte quarantotto il fragile puzzle messo insieme per la Rai da Scognamiglio e Pivetti. Perché la Destra non ci sta al gioco del Cardini «pivettizzato», ridotto allo status di «cattolico» sia pur, come si è affrettato a precisare lo storico nella sua replica al fantasma di Starace, «alla De Maistre». E pensare che c'è stata un'epoca (mica tanto remota) in cui Cardini, bollato come «reazionario» dalla cultura di sinistra, poteva dir di se stesso: «mi sento come il brutto anatroccolo». Vita dura per lo storico del Medioevo che, nato nel 1940, da adolescente si era iscritto prima alla Giovane Italia e poi al msi perché vedeva proiettarsi nel microcosmo dei fascisti sconfitti «il sapore dei perdenti, del piccolo mondo minoritario e ghettizzato». Legato da una specie di tacito patto con i perdenti della storia, da giovane Cardini parteggiava per gli indiani. Quando era studente, tra Ettore e Achille il suo cuore batteva inesorabilmente per Ettore. Era fascista, ma pur di contrastai gli odiati americani finiva per fare il tifo per i vietcong. A differenza dei suoi coetanei di sinistra, però, nutriva il suo furibondo antiamericanismo (e «antimodernismo) di letture proibite nel milieu progressista: da De Maistre, appunto, a Mircea Eliade, da Cari Schmitt (allora nometabù) a Georges Dumézil. Menu intollerabile, per i palati della sinistra. E quando Cardini all'inizio degli Anni Settanta scriverà un libro. Le radici della cavallerìa medievale, imperniato sull'interrogativo: «perché un cava- bere è più bello di un agente di cambio?», sarà impresa improba trovare un editore «democratico» disposto a non abbassare le saracinesche davanti a quello storico su cui aleggiava, nientemeno, una funesta fama di «cripto-nazista». Già, perché per colpa di un saggio, Il pifferaio incantato, in cui Cardini paragonava il «pifferaio» Adolf Hitler allo «sciamano che mette gli uomini in contatto con il mondo invisibile», il nome dello storico fiorentino viene letteralmente messo al bando dalla cultura di sinistra. «In pieni Anni Settanta, con gli autonomi nelle università, pubblicavo i libri per la casa editrice Giovanni Volpe», si difende oggi Cardini dalle colonne del Secolo. Che è come evocare una sigla editoriale tra le più rappresentative del «ghetto di destra» che, oggi al governo, sembra disconoscere lo storico caldeggiato dalla Pivetti per una poltrona Rai. Con gli anni Cardini godrà via via di una maggiore benevolenza da parte dell'editoria «autorizzata»: prima Laterza, poi II Saggiatore, poi Mondadori. E chissà che proprio questa buona sorte non sia all'origine di un certo rancore che l'ex «ghetto di destra» dimostra di nutrire verso lo storico fiorentino. Perché nel frattempo Cardini trova ospitalità prima sul Giornale di Montanelli e poi sul Sabato vicino a Comunione e Liberazione. E infine addirittura sull Unità, che nel 1991 pubblica un articolo di Cardini sul Parsifal wagneriano («e proprio sul giornale che giudicava Wagner una specie di Hitler messo in musica», fu allora il commento dello storico «riabilitato»). Conversione alle ragioni della sinistra? Macché, visto che in quegli stessi giorni Cardini pubblica una prefazione al diario dello scrittore francese, Alphonse de Chateaubriant, che nell'hitlerismo, le parole sono di Cardini, intravide «la riscoperta di un ideale forte, la rinascita della solidarietà, il risorgere delle tradizioni avite, la lotta allo spirito di sacrificio contro l'individualismo borghese e il livellamento comunista». Solo che nel frattempo era nato l'astro leghista. Con puntuale tempismo Cardini dà alle stampe un libro sulla Lega Lombarda in lotta contro Federico Barbarossa. E sul Sabato lo storico che da destra faceva tifo per i vietcong batte sul tasto «cattolico-tradizionalista» partendo lancia in resta contro la «leggenda nera» costruita dagli «anti-cattolici» sul conto della Chiosa oppure riscoprendo l'epopea vandeana. La Vandea: faro e croce (al petto) di Irene Pivetti. Naturale che il presidente della Camera percepisse in Cardini il palpitare di un'affinità elettiva. Magari suscitando le ire di Starace dall'aldilà. E di Storace dall'aldiqua. Pierluigi Battista Una vita da «reazionario» e il Secolo lo liquida così «Se ne resti pure nelle nebbie del suo Medioevo» A sinistra nella foto grande lo storico Franco Cardini Qui accanto Francesco Storace di An Sotto, Mircea Eliade, uno degli «autori» di Cardini

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