Mezzo ultimatum sulla Bosnia di Paolo Passarini
il documento politico Meno ultimatum sulla Bosnia «Dovete fare la pace entro il 19 luglio» il documento politico LNAPOLI 'ACCENTO è stato messo soprattutto sulla Bosnia, anche perché è l'unico tema sul quale era stata preparata una proposta attraverso un lungo lavoro di consultazioni precedenti. Ma la dichiarazione politica finale del primo G-7 quasi G-8 riflette lo stato di cattiva forma di parecchi elementi della squadra che l'ha redatto. La scarsa capacità di leadership manifestata da Bill Clinton si e sommata al senso di precarietà del primo ministro inglese John Major, ormai a un anno dalla sua probabile sostituzione, alla sostanziale distrazione del francese Francois Mitterrand, anche lui al canto del cigno, al fatto che tre leader sono debuttanti, mentre uno di questi tre, il giapponese Tomiiichi Murayama, viene considerato una strana cometa destinata a una rapida disintegrazione. Silvio Berlusconi, nell'illustrare il documento nella sua qualità di rappresentante del Paese ospite, ha detto che l'incontro di quest'anno «si è arricchito di un nuovo significato grazie alla piena partecipazione alle consultazioni politiche del Presidente della Federazione russa». Il nuovo significato appare però soprattutto simbolico. Il G-8 ha innanzitutto esortato le parti in conflitto in Bosnia ad accettare «entro il 19 luglio» il piano presentato loro pochi giorni fa a Ginevra, fondato sulla nota coppia di numeri 51-49: 51% del territorio a croati e musulmani, 49% ai serbi. Peter Tarnoff, numero 3 del Dipartimento di Stato americano, ha confermato ieri che i primi hanno già accettato il piano. Il velato ultimatum contenuto nella dichiarazione ò quindi ancora una volta diretto ai serbi. Non indica specificamente in quali sanzioni i serbi potrebbero incorrere. Si rinvio indirettamente alle risoluzioni Onu che autorizzano la difesa del cessateli-fuoco «con tutti i mezzi necessari». Ma questo punto, la Bosnia, è stato quello in cui il sumrmt ha prodotto comunque di più anche perché e quello sul quale l'appor¬ to di Eltsin è stato più sostanziale. Il Presidente russo si è infatti impegnato a premere «energicamente» sui serbi. La Corea del Nord viene «esortata» a continuare il dialogo con la Corea del Sud e la comunità internazionale. Viene anche esortata a garantire «trasparenza totale nel proprio programma nucleare». Ma il tono è di attesa, vista la situazione del tutto nuova creata dalla morte di Kim II Sung. Non c'è comunque alcun accenno a possibili sanzioni da parte della comunità internazionale nel caso l'erede del dittatore riabbracci la linea dura. Del resto e noto che la Russia non ha mai approvato la linea delle sanzioni proposta qualche tempo fa da Clinton. Il documento lancia per la prima volta un appello ai Paesi arabi perché «pongano fine al boicottaggio nei confronti di Israele», dopo aver accolto «con favore» la Dichiarazione dei principi israeliano-palestinese nonché la firma degli accordi su Gaza e Gerico. Sul problema algerino il testo del documento maschera a fatica con qualche accortezza verbale il dissenso emerso tra Stati Uniti e Francia. «Appoggiamo - dice la dichiarazione finale - la decisione del governo algerino di procedere sulla via delle riforme economiche, che deve essere continuata con determinazione e nello stesso tempo esortiamo i dirigenti a continuare un dialogo con tutti quegli elementi della società algerina che rifiutano la violenza e il terrorismo». In pratica, il governo anti-fondamentalista ma golpista di Algeri ha ottenuto l'appoggio degli 8 come voleva la Francia. Clinton non ha ottenuto l'apertura che desiderava alle forze moderate dell'opposizione, ma solo «dialogo» con non meglio precisati «elementi della società». Il ministro degli Esteri francese Alain Juppé ha proclamato la vit¬ toria della posizione del suo governo. Infine Haiti. E' probabilmente il punto più netto anche se non ci sono novità: i militari golpisti devono «rispettare pienamente» tutte le risoluzioni dell'Onu e il legittimo presidente Jean Bertrand Aristide deve poter tornare al suo posto. Qui la posizione di Clinton è stata recepita pienamente, anche perché europei e giapponesi ritengono che Haiti sia un problema tutto americano: se Clinton vuole invadere l'isola, lo faccia. Paolo Passarini
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