OPERAZIONE PIACERE sull'lsola del Tesoro

OPERAZIONE HACERE quelli del jet-set. Fra i miliardari di Cavallo, Eden a inviti OPERAZIONE HACERE sulìlsola del Tesoro ISOLA DI CAVALLO DAL NOSTRO INVIATO Sdraiata sulla poltroncina di cotone bianco, Carol, ballerina bionda arrivata dal New Jersey, sorseggia il caffè nero, allunga i suoi piedini nudi a Est, li incrocia sopra al muretto della terrazza. Intorno a lei, le agavi fiorite, i tavolini di legno deserti. E davanti lo smeraldo del mare, a semicerchio, con le gocce degli scogli cento bracciate più in là. «TJffi, che luce», sospira, e dai capelli oro fa scivolare i suoi Ray-Ban inchiostro con un colpetto delicato quanto un battere di ciglia. Le undici, terrazza dell'Hotel des Pècheurs: «E' già arrivato Sua Altezza?», chiede tutto bianco il cameriere, nero del Capo Verde, mentre dietro al bancone versa nel secchiello Dom Perignon tanti cubetti di ghiaccio che al sole tintinnano come vetro. «Peut-ètre», bisbiglia l'altro garcon, gli occhi conquistati da un due alberi che sfila sottovento al largo, verso Lavezzi. Tutto il popolo di Cavallo è fuori in barca; in giro sull'isola solo cicale e camerieri, tate, lavoranti, e sulle poche spiagge gli uomini col rastrello a pettinare la sabbia. Innocente come un gabbiano, Carol non sa di essersi posata sul luogo historique dell'isola miliardaria, la baia di questo solitario hotel, l'unico, su cui si allunga il piccolo pontile di legno, dove tanto tempo fa, estate del 1947, la prima barca di abbronzati approdò nel nulla selvaggio di pietre, eriche e mirto che i pescatori còrsi chiamavano «Sirène inaudite» tenendosi alla larga dai suoi scogli assassini buttati come dadi nel blu delle Bocche. Isola di Cavallo, 3 miglia marine da Bonifacio, 22 da Santa Teresa di Gallura, un chilometro quadrato di granito levigato, per secoli inciampo per naufràgi, oggi approdo di ultra-ricchi, dove ogni metro quadrato di sasso, nudo com'è, senza un mattone, vale nove stipendi metalmeccanici. Il conte Guido dalla Rosa, 70 anni, bon vivant di Parma, uno che passa la sua vita per metà sott'acqua a respirare ossigeno tra le aragoste, e per metà in cielo a fare acrobazia tra le nuvole padane, ha costruito (proprio lui con il suo amico il conte de Varlemont), quel molo con legno ormai mangiato dal mare, ma poi rifatto perfetto, unico dettaglio non ancora inghiottito dal tempo e dai soldi, due cose che passano in fretta, qui sul Cavallo. Carol si alza e va. Senza rumore, su una delle cento chiocciole elettriche Melex che ogni residente ha battezzato con nomi da fumetto: la sua si chiama Rouget, Triglia. Auto a benzina: proibitissime, così vogliono i centotrenta proprietari di ville, con la sola eccezione di Sua Altezza che quando c'è (ma arriverà?), fa polvere con un Van giapponese a sei posti. Guido dalla Rosa parla del tempo che se n'è andato via come fa il vento di Ponente che taglia l'arcipelago: «Da trent'anni ho la mia piccola casa laggiù, tra gli scogli. Vicino a me ci sono quattro nidi di Berta Maggiore, il gabbiano di Cavallo, ogni primavera vedo nascere i piccoli, poi li guardo volare via quando arriva l'autunno delle burrasche». Altre burrasche, di amori, avventure, stravaganze, lutti, patrimoni dilapidati, hanno fatto volare via le stagioni del Cavallo (è così che si chiama l'isola tra gli ultimissimi, «Il Cavallo», solo i milanesoni carichi d'oro francesizzano con l'accento a starnuto: «Cavallo»). Le stagioni, dunque, dai tempi dei nobili pionieri nudisti, fino all'arrivo, anno 1965, di Jean Castel, re delle notti parigine, che trascinò qui gli insonni che brindavano al «Princesse» di Saint-Germam-des-Prés Gunther Sachs, Alain Delon, il duca di Bedford, Sylvie Vartan, Mastroianni, Catherine Deneuve - si innamorò dell'isola e la comprò per farci festa. «Tre giorni e tre notti duravano i suoi party, là sulla spiaggia di Palma, ogni 50 metri una bigoncia piena di bottiglie di champagne e una torcia accesa. Lui li chiamava: opération plaisir». Venivano con i velieri gli Agnelli e i Rothschild, il principe Karim e i Guinness, carichi di comfort - frutta, caviale, sorbetti - e sulla spiaggia trovavano già tutto pronto, il pesce appena pescato e le mannequin appena sbarcate («ah! Le loro risatine, quando si tuffavano nude nell'acqua fredda...»). E sullo scoglio suonava l'orchestra tzigana fatta venire dall'Ungheria. E tra quei sassi cuocevano i gamberoni, e laggiù, nella macchia, i teli riparavano l'intimità dei giochi di plaisir. Ora Palma, una mezza luna di sabbia color cenere dove Ferreri girò La cagna, è vuota come quella grande villa di granito e cristallo che le sta accanto, la casa di Caroline di Monaco, divani coperti di lenzuola, giardino immobile, lei mai più tornata da quando Stefano Casiraghi, ottobre 1990, chiuse la sua vita in corsa volando col suo off shore a 180 chilometri dentro a una virata sbagliata nell'acqua di Montecarlo. Vincent, il capitano del Porto, còrso di pelle dura, faccia da pugile mancino, uno che ha fatto la guerra d'Algeria nei reparti speciali, poi il pescatore in Senegal, parla di Castel con un sorriso pieno di rimpianto. Lui, come adesso, guidava la barca: «Castel fece costruhe l'albergo, il ristorante, la terrazza, tutto intorno a quel pontile di legno. L'albergo aveva solo sette stanze. E per arredare il ristorante comprò i mobili dell'Orient Express. Qui si arrivava solo su invito. Se approdava qualcuno per caso, Castel mi spediva con la lancia e un paio di bottiglie di Cliquot. Io davo un occhio, capivo che gente era, e magari si accordava lo sbarco, altrimenti un brindisi e adieu». Da quei tempi Vincent vive sul Cavallo (sono in otto a passare gli inverni circondati dal mare forza nove), e conosce tutti, sa tutto, però si fa scontroso come una cernia in tana se chiedi un nome. Quella lag- giù, affacciata su Cala Zeri, è la villa di Gianni Varasi, il finanziere? E il tipo in Lacoste rossa è proprio Silvano Larini, il polinesiano con licenza di tangente? E in quale confortevole scoglio vivono i Gazza di Modena, gli Acerbis, i Grandossi, i Formenti, il costruttore Baldi, e il miliardario Valla? Qui i nomi non li fa nessuno. Vai sul cantiere sopra alla baia di Greco dove sette operai stanno lavorando a un villone incastrato tra le rocce, e ti dicono che sì, il proprietario/orse è italiano, ma a pagare è una società di Lussemburgo, loro non sanno altro. Stanno scolpendo nelle rocce muri rotondi e soffitti a volta, finestre oblique, scale a spirale. Faticano dentro al mondo non euclideo dell'architetto Savin Couelle, astro della Costa Smeralda, che una volta la settimana arriva trafelato sull'aeroplanino bimotore, atterra sui 250 metri di pista in terra battuta, e mette a soqquadro il cantiere e l'isola. I ricconi sono in sua balia: niente disegni, niente preventivi per le sue maison stile Gaudi. Lui crea. E a torso nudo fa rifare quello che non gli garba più, il muro, la finestra, la vasca da bagno. «Questa casa sarà sì e no 200 metri, ma è già costata 4 miliardi e mezzo - dice uno del cantiere - e neanche abbiamo finito. Poi toccherà arredarla, boh...». La sola differenza tra i poveri e i ricchi, diceva Hemingway, è che i secondi hanno più soldi. Se capiti nella caletta sbagliata, ti sbuca dal cespuglio una moglie in pareo Gucci: «Lei chi è, cosa fa? Non vede che è in casa mia?». I forestieri, qui, vengono seguiti da cento occhi che ti soppesano come un extraterrestre e fanno scattare l'allarme via radio. Perché ogni residente, che sia in piscina o sull'amaca, che innaffi il viola del plumbago o prepari le pesche per il drink, tiene accanto a sé la ricetrasmittente in Vhs che sul canale 67 rimanda voci tra un bunker e l'altro: «Uhh, c'è uno scocciatore sulla punta Grandes Terres...». La radio è il filo di queste cento solitudini e tutto il giorno ritrasmette inviti, saluti («Pronto Pupi, sono Cicci, ci sei?»), appuntamenti per il bagno. L'altra notte persino il tifo: «I-ta-lia!», con tanto di inno di Mameli in sottofondo. E quando il giocattolino si rompe è una tragedia, si va di corsa nell'ufficio dell'Asie, l'associazione che qui sovrintende tutto, in questo condominio chiamato Cavallo. «Oh, sai, qui non c'è niente - racconta Vincent davanti al suo lungo pastis di mezzodì - né un chiodo, né un goccio d'acqua. Tutto va organizzato, ordinato per tempo». Nel piccolo Village, costruito (parbleu!) in stile provenzale una mezza dozzina di anni fa davanti al porto da 280 posti barca, c'è un solo, minuscolo supermarché dove la bionda Babette prende le ordinazioni via radio e tiene i conti su grandi taccuini colorati. Si paga a settimana. Qui la monnaie non l'ha nessuno in tasca, ci mancherebbe, si salda con carta di credito, e gli spiccioli non bastano davvero. Per vivere su questo scoglio arredato Grand Hotel ci vogliono 100 mila franchi al mese. Per una cena al Des Pècheurs, se ne vanno 600 franchi e per prendersi il gommone più piccolo bisogna farsi alleggerire di un milioncino a settimana. Solo i vecchi proprietari, come Guido dalla Rosa, conoscono ancora l'arte di stare senza strafare, di spendere con noncuranza e stile, come riesce solo a chi i soldi li ha sempre avuti. «Io faccio una festa l'anno, a agosto, e invito tutti, i lavoranti e i benestanti. Offro solo parmigiano, culatello e una Malvasia secca che mi dicono eccellente, fatta dalla mia piccola vigna». Ed è un gioco di sobrietà la cena a casa dell'architetto Maciò con moglie Maria Rosa - un piattino di acciughe e uno di pàté di merlo, pennette col basilico dell'orto e lattughino appena tagliato, però naturalmente champagne «così adatto, non tro, va?» al venticello tiepido che porta i i profumi del lauro e della lavanda. Genovesi, arrivati qui vent'anni fa, dividono le quattro stagioni tra Cavallo, Ibiza e lo Yucatan. Anche loro, sulla veranda, parlano di quello che non è più: «Qui vivere era un'avventura, ora c'è tanta gente, tante seccature, tanti bisogni. Tutto è diventato più comodo, ma anche più noioso». Di anno in anno il Cavallo viene addomesticato. Dieci anni fa è arrivata l'energia elettrica (20 mila volt via cavo dalla Corsica) e l'acquedotto. Banche e speculatori hanno comprato, costruito, rivenduto. Se ne sono andate via le grandi famiglie europee, sono rimasti i milanesi e i romani. E adesso è sbarcato il finanziere Ernesto Preatoni, maniche corte, un duro che ha messo nel piatto 250 milioni di dollari per comprarsi tutto: l'albergo, il villagè, i servizi, il porto, gli ultimi 92 lotti di terra edificabilc che faranno raddoppiare i proprietari. «Due anni di tempo e quest'isola rinascerà - dice, con i minuti contati perché deve volare nel Vermont -. Da regno esclusivo, io lo trasformerò in paradiso: costosissimo e perfettissimo. Non è che io amo il populismo, sa... L'isola sarà ancora più esclusiva. Chi è dentro, sarà re di un parco naturale, dove non potranno più attraccare barche forestiere. La natura sarà tenuta dentro alla bambagia, e sa il motivo? Non perché io sia Babbo Natale, ma perché in questo genere di business 11 profitto e la difesa ambientale coincidono, uno moltiplica l'altra». Sarà. Ma intanto è passato il pomeriggio, in questo silenzio azzurro di cielo e di mare. Il sole scende verso il nero della Corsica e dalla Sardegna arriva il blu arancio della sera. Finalmente, nel nulla, un brivido scuote appena l'isola. Sulla terrazza il cameriere bisbiglia che Sua Altezza «est arrivé». Sul canale 67 Cicci cerca ancora Pupi e una voce pariolina chiede al suo Mimmo se sul motoscafo è pronta la cena: «Cheffaccio, scendoo?». Larini è andato a pescare. Eccolo là Sua Altezza il principe Vittorio Emanuele in piedi sul suo Puma, Aniram (che poi sarebbe «Marina», la consorte), un motoryatch che batte bandiera di Malta, 12 metri, buono solo per prendere il sole. «Oh, buongiorno, che caldo...», dice dopo un saltino. Ha bermuda rossi, maglietta grigia e cappelluccio blu. «Guardi, io di Cavallo non so più niente. Sto a casa mia, esco in barca e alla sera non vedo nessuno». Da tanto tempo, da quella sera del 18 agosto 1978 quando una fucilata (partita per sbaglio, stabilì il processo) uccise il giovane tedesco Dirk Hamer, Vittorio non ama più parlare di Cavallo. Vive sulla punta, nella grande villa che il solito Savin Couelle ha inventato per lui, circondata da un prato verdissimo, il campo da tennis, e da due insenature trasparenti. Intorno a lui il marinaio scarica casse, qualche raro abbronzato in Rolex e costume lo saluta con un cenno. «Io vengo e faccio il bagno dice -, Non voglio sapere di nessuno. Ah!, e leggo sempre i giornali che scrivono tante stupidaggini su di me... Poi li querelo, sa? E i soldi li pretendo, così piano piano imparano». Un soffio di vento. «Tra mezz'ora scendo al bar Hugonot per l'aperitivo», dice. Ma non lo farà. Qui nessuno fa quasi nulla, tranne dondolare nel tempo che passa davvero. Carol è tornata sulla terrazza e questa volta i piedini nudi li appoggia a Ovest, sul sole calante. Aspira Coca Cola, sospira un «beautiful...», ha l'aria di sognare qualcosa, poi dice: «Ma qui non c'è neanche una discoteca». Sa che al massimo l'aspetta un gambero alla griglia, poi domani tornerà il sole buono per tutti: i miliardari e le lucertole. Pino Corrias Uno scoglio trasformato in Grand Hotel, per starci un mese ci vogliono 100 mila franchi 1 qOsCatherine' Deneuve, venne a Cavallo nel 1965, al seguito del re delle notti parigine Jean Castel /A» 1 Catherine' Deneuve, venne a Cavallo nel 1965, al seguito del re delle notti parigine Jean Castel Alain Delon e in basso Sylvie Vartan, animatori delle notti isolane negli Anni 60 Vittorio Emanuele di Savoia sul suo yacht: «lo vengo e faccio il bagno, non voglio sapere di nessuno» L'isola di Cavallo, un chilometro quadrato di granito levigato. Qui sopra Vincent, il capitano del porto. [FOTO GERALD BRUNEAU/G. NERI]