L'erede nato per essere genio di Domenico Quirico
l'erede noto per essere genio l'erede noto per essere genio Lodi deliranti e geishe a gogò per il «principino» terrorista Il destino, si sa, è scritto nei primi anni di vita. E che Kim Jong II fosse incamminato verso la genialità, come il padre, lo si poteva leggere chiaramente in tanti piccoli episodi: per esempio, un banale guasto di automobile. L'autista, racconta la mitologia semiufficiale, disperato armeggiava senza speranze attorno alla vetusta vettura che trasportava il giovane erede del trono rosso. Il piccolo principe, senza neppure scendere, diagnosticò con la precisione di un meccanico provetto il guasto; dopo pochi minuti l'auto ripartì, sibilando come un orologio svizzero. Per un leader che ha soprannomi impegnativi come «beneamato capo», «acuto architetto della nazione», «luminoso cuore della patria» la mitologia naturalmente si spreca. Come la storia (o leggenda) riportata dai giornali giapponesi della «squadra della gioia». E' formata da una ventina di elementi (più le riserve) arruolati con la attenta pianificazione di una squadra di calcio occidentale. Scopritori di talenti ogni anno passano al setaccio le scuole superiori del Paese alla ricerca di promesse. Requisiti: essere femmine, naturalmente belle, con la pelle chiara, con la cultura di un letterato e i talenti di una geisha. Una volta entrate in «squadra» il loro futuro è allietare i banchetti, le serate e le notti dell'erede al trono. A vederlo con la sua eterna faccia da studente impacciato e ripetente, anche adesso che ha cinquantanni suonati, Jong Li non denuncia certo i suoi talenti: urbanista insigne (ha ideato le scenografie della capitale a metà tra Speer e Stalin), esperto in pianificazione industriale (ha guidato il Paese nella assoluta autarchia economica e nella rincorsa alla bomba atomica), appassionato di cose militari (anche se i generali non hanno mai apprezzato molto la sua ingombrante presenza ai vertici delle forze armate). Anche la sua nascita si perde tra le nebbie della leggenda. La versione ufficiale sembra attinta dalla mitologia: venne al mondo, infatti, in una grotta, nella montagna sacra coreana, come un giovane dio, mentre il padre resisteva eroicamente agli invasori giapponesi. Nelle biografie, però, il nome di Kim Hyon-hui non lo troverete mai. E' una fragile, micidiale ragazza che nell'87 piazzò una bomba su un aereo di linea con le insegne dei fratelli-nemici sudcoreani: centoquindici morti per uno dei più sanguinosi guinnes della storia del terrorismo. La ragazza, figlia di un diplomatico, doveva suicidarsi con una fiala di cianuro nascosta nel filtro di una sigaretta, cancellando ogni traccia. Invece confessò, travolta dal rimorso, di essere stata addestrata dai servizi segreti di Pyongyang per mettere a segno l'attentato. E in diratta tv fece il nome del mandante dell'operazione che puntava a sabotare le olimpiadi organizzate dagli odiati «sudisti»: era proprio il «geniale leader della patria». Domenico Quirico
Persone citate: Jong, Kim Hyon-hui, Kim Jong Ii, Speer, Stalin
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