Il faraone di Pyongyang che ha sfiorato l'eternità di Giulietto Chiesa

Il suo cruccio negli ultimi anni era una ciste dietro l'orecchio: perché gli dei non hanno difetti fisici Il faraone di Pyongyang che ha sfiorato l'eternità TRA BUDDHA E STALIN IL «beneamato», ^altamente rispettato» Kim II Sung è morto. Resta solo da vedere quanto tempo resisterà sul suo piedistallo la statua di bronzo dorato, alta venti metri, che si innalza nel centro di Pyongyang. Le decine di migliaia di targhe, vie, palazzi, scuole, ponti, fabbriche, aziende agricole, tutte dedicate a lui, al leader «più grande del mondo», restano senza padre. Orwell, con la sua allucinata fantasia, non riuscì a pensare, a concepire ciò che Kim II Sung ha realizzato nella pratica: un potere totale. Solo l'Albania di Enver Hoja potè, non dico stargli alla pari, ma avvicinarsi ad un tale modello di dominio, dove il singolo davvero altro non è che una molecola, un'ape che lavora in sincrono col resto dell'alveare. Può un'ape avere una vita privata? Opinioni? Desideri? Ma, per un tale modello di società, per un formicaio così compatto e senza uscite, così vicino alla monade di Leibniz, occorre non un leader o un presidente. Occorre un dio. O un faraone, figlio di dei, che genera dei. E tutte le api della Repubblica Popolare Democratica di Corea già sapevano che, al momento del trapasso, il figlio di dio sarebbe stato il successore: Kim Jung II. Per lui il ministero dell'Amore aveva già coniato i necessari attributi. Provvisori, in parte, ma già prescrittivi, ordini da incastonare nel patrimonio genetico dell'alveare. Affinché non ci fossero soste, interruzioni del ritmo, pause che potessero - chissà - aprire il varco alla riflessione di qual- che mutante degenerato del gruppo: «leader rispettato», «centro del partito», «futuro sole del comunismo». Ma era solo per un'eventualità remota e impensabile. Una specie di «non si sa mai», un'assicurazione contro l'eternità. Perché gli dei non muoiono mai. Anche Kim II Sung, in fondo, lo pensava. Poche decine di giorni fa, a 82 anni, disse all'ex presidente americano Jimmy Carter - giunto a Pyongyang per mediare sulla spinosa vicenda dell'atomica nordcoreana - che contava di rimanere al potere ancora dieci anni. Non disse «rimanere in vita», disse proprio «alla guida». La morte non era nulla di fronte alla «necessità» assoluta della sua guida. L'ultimo numero delle «Nouvelles de Pyongyang» è rimasto sulla mia scrivania a Mosca. Ho fatto in tempo solo a soddisfare una lugubre curiosità: il nome fatidico di Kim II Sung era, come al solito, presente in tutti i titoli, ogni volta corredato dalla serie canonica di attributi a lui riservati. Eterno e autarchico. Perché ciò che a noi appare delirio, nell'alveare è la logica. Il comunismo coreano non poteva essere internazionalista proprio in virtù del suo carattere monadico. Non aveva finestre, ma solo specchi. E poteva dunque guardare solo al suo interno. Così Kim II Sung elaborò la sua filosofia autarchica del «diutché», diffusa nel mondo intero a decine di migliaia di tonnellate di carta patinata, distribuita gratis, stampata nelle tipografie giapponesi ed europee. Unica voce, o tra le poche, del commercio estero dell'alveare, insieme alle spese in dollari per l'importazione di materie prime. Il resto era all'insegna del «facciamo da soli». Così si evitava il rischio che, pian piano, ha minato tutti i socialismi reali: l'ingresso delle merci del capitalismo, che portavano con sé tutto il resto del mondo, le sue idee, l'immanente sovversione dell'ordine esistente. Così la Corea del Nord è rimasto l'unico Paese al mondo che non conosce le fotocopiatrici, i fax, i videoregistratori. Tutto ciò che potrebbe servire al singolo per comunicare, riprodurre, rivedere, riflettere (anche se, come ben sappiamo, può servire anche al suo contrario). Ma la scelta è stata ben più radicale di quella, modesta e confusa, dell'Urss di Breznev che si limitava a controllare i contatori dei fax e metteva sotto chiave le risme di carta. Kim Il Sung fece di meglio: mise sotto chiave un Paese intero e gettò la chiave nel pozzo più profondo. Il villaggio di Nakyungdae, vicino a Pyongyang, dove il 15 aprile 1912 nasce Kim II Sung, da tempo è stato ribattezzato «la culla della rivoluzione mondiale». Ma Kim II Sung non partecipava, né mandava i suoi emissari, ai grandi forum internazionali del socialismo, dove avrebbe dovuto sedere attorno a tavoli i cui partner erano, almeno nella forma, eguali. Ma gli dei non partecipano a tavole rotonde. E non hanno difetti, nemmeno fisici. Chissà, forse fu questo l'unico cruccio degli ultimi anni di vita dell'ultimo faraone. Aveva una cisti dietro l'orecchio destro, ingranditasi col tempo fino alle dimensioni di una palla da tennis. L'hanno vista quei pochi stranieri che hanno potuto incontrarlo, ma nessuna delle api coreane sa della sua esistenza. Le foto, le riprese televisive sono sempre state rigorosamente da sinistra. Lo saranno - se ci saranno - anche quelle del suo improbabile cadavere. Ora le api piangono. E' morta la regina, dovranno nutrire la nuova, finché regge l'alveare. Giulietto Chiesa Il suo cruccio negli ultimi anni era una ciste dietro l'orecchio: perché gli dei non hanno difetti fisici ln alto a destra, l'abbraccio tra Deng e Kim. A sinistra Kim negli Anni 60 con Krusciov Qui a destra il figlio Kim Jong-ll

Luoghi citati: Albania, Corea, Corea Del Nord, Mosca, Urss