Sacchi un po' Custer un po' Patton di Vittorio Zucconi

Socchi, un po' Custer, un po' Patton Socchi, un po' Custer, un po' Patton In panchina come un burattinaio confili invisibili 9V VISSUTI A SPIARE IL CT mi sfugge, ma per questo lui fa l'allenatore della Nazionale e io prendo note. Annoto: nuovo scatto di Sacchi a 3'02", quando Baggio becca un pestone. Lui tace. 6'54": nuovo scatto prepotente di Sacchi, questa volta in direzione di Conte, che tratta di cognome: «Conte, sulla destra, Coooooonte...». 18'27", Sacchi si volta verso di me, oddio, adesso mi caccia. Ma no. Ce l'ha con il tubo dell'aria condizionata che corre alle spalle della panchina e spara sulla schiena sua e delle riserve una raffica di aria fredda, roba da colpo della strega. Questa roba, ostia, mi fa venire un «azident», un accidenti, spiega al suo vicino, Carmignani, e Sacchi smanetta con una maniglietta gialla che dovrebbe chiudere i buchini degli spifferi. Invano. Minuto 26: gol. Sacchi era seduto, ma il suo scatto è felino. Balza verso il campo, gli scappa un «porco» del quale mi sfugge per fortuna il sostantivo e i pugnetti sono al cielo, il volto contratto dagli spasmi FOXBORO A non era uno sceeeemo sceeee-mo, questo dittatorino di Romagna, questo cantatore calvo di filosofemi calcistici comprensibili solo a lui e a pochi intimi cresciuti fra Fusignano e Bertinoro? Come deve essere bello, questa mattina essere Sacchi, avere sulla bocca la voglia di voltarsi verso le telecamere, fissare l'obiettivo con gli occhietti aguzzi e febbrili e dire, con quel suo accento rumagnol sibilante, «seeee-mi» sarete voi, gentili giornalisti e cortese pubblico, ma lui non lo farebbe mai. Le gioie di Sacchi sono tutte serrate sotto la pelata, consumate in una rabbia che gli si legge negli occhi febbrili, nei pugni serrati all'87' minuto della partita, mai sulle labbra. Il Custer di Romagna, il generale che appena 20 giorni fa contemplava l'inesorabile accerchiamento dei Sioux vogliosi del suo pur rado scalpo, oggi cavalca verso New York come Patton, o come uno di quei marescialli di una gioia furente. Lo scatto non piace all'arbitro di riserva, l'arabo Bujsaimi. Segue una divertente conversazione a gesti, spallucce, segni con le mani fra il romagnolo e l'arabo, conclusa da un «te cui, rompacajon». Per fortuna l'arabo non parla il romagnolo o ci saremmo giocati il Sacchi per due giornate. Mi sento un po' come un guardone, ma il linguaggio involontario parlato dal corpo di Sacchi è straordinario, di una eloquenza sonora. Quando è davvero furioso si alza e poi si siede con una piccola piroetta da ballerina, girando sui tacchi. Quando ce l'ha con qualcuno, punta il braccio come una canna di schioppo, il dito scatta nel segno del «no», i muscoletti si disegnano sul braccio per la tensione e il giocatore bersaglio deve sentire nel collo la fucilata perché si volta subito. Si prendono una fucilata Tassotti, Massaro («Fai il 3, Daniele, il 3», gli grida, neanche giocassero a tressette), Signori e Donadoni, quest'ultimo accompagnata da un «No, porco qui, porco là, Roberto, no, cambia». Donadoni gli risponde con uno sguardo stremato. Tanto più la nostra squadra annega nel lago delle tossine accumulate con la Nigeria, quanto più Sacchi cerca di stimolarli. Annoto: sembra un burattinaio che cerca di tirar fili invisibili per muovere marionette esauste. Quando la Spagna pareggia, Sacchi diventa di pietra. Nello sconforto generale, il Patton tornato per qualche minuti Custer sta seduto come se fosse al bar, le gambe incrociate, solo i tic sul viso parlano. E gli occhi, che seguono Signori, colpevole di un errore che apre la strada al contropiede spagnolo e al gol, sembrano bruciare. Signori deve sentire il calore nella schiena, perché poi inventa il passaggio che smarca Baggio. Baggio: l'unico che Sacchi non rimprovera mai, l'unico al quale non rivolge una parola di incoraggiamento, né una fucilata. Abbraccia Signori, prima che entri in campo, poi Apolloni, che non entra, infine Berti, al quale parla con il braccio sulla spalle. A Baggio, neppure una parola. Convoca Signori per una ramanzina durissima, all' dalla fine e gli dice di «muoversi più profondo, ca..., più profondo». A Baggio niente: tra i due non ho mai visto correre altro segno che non fosse quello che indicava al Monachino Zen l'uscita, durante ItaliaNorvegia. E solo all'88', quando nella «zona Baggio» le ohibre dei Sioux scompaiono e l'Italia entra nel Vertice dei Quattro semifinalisti, Sacchi si toglie gli occhiali e se li mette sulla pelata. Mi accorgo solo ora che per 88 minuti li aveva tenuti sugli occhi, come una diva invecchiata, come un arrestato alla sbarra. E' un caso che si li sia tolti solo dopo il gol della vittoria? Può darsi. Ma giurerei che se li è tolti apposta, per guardare in faccia quel campo sul quale, ieri, avrebbe potuto morire. E invece è sopravvissuto per combattere ancora un altro giorno, sceee-mi, sceee-mi. Vittorio Zucconi

Luoghi citati: Bertinoro, Fusignano, Italia, New York, Nigeria, Romagna, Spagna