CARO PAPA', MA LO SAI COME MI CHIAMO? di Tilde Giani Gallino

CARO PAPA', MA LO SAI COME MI CHIAMO? CARO PAPA', MA LO SAI COME MI CHIAMO? bestseller. La mamma aveva proprio ragione quando mi spiegava che tu pensavi di continuo a me. Difatti mi hai persino fatto diventare un genere letterario. Spero che mi manderai una copia del libro. Certo non so se avrò tempo di leggerlo. Perché vedi, oggi non ho più quella voglia da morire di parlare con il mio papà. Quella che avevo quando ero piccolo. E poi mi riuscirebbe difficile risponderti. Forse dovrei mandare una lettera al tuo editore, che poi potrebbe fartela recapitare. Ma sai, sono molto impegnato. Se riesci a ricordarti la mia data di nascita, saprai senz'altro che ormai mi sono fatto grande. E dei fatti della vita, di chi siamo e dove andiamo, ormai preferisco parlare con la persona che ho sposato, con i miei amici. Oppure con i miei figli, che stanno scoprendo adesso la vita... A proposito papà, lo sai, che sei diventato nonno? Il tuo affezionatissimo figlio Giovanni.* •Guarda che nel tuo libro mi hai chiamato Giuseppe, ma io mi chiamo Giovanni. CARO papà, ho appreso da uno degli ultimi numeri di Tuttolibri (18/6/94) che mi stai scrivendo un mucchio di lettere. Ti ringrazio molto. Chi l'avrebbe mai detto che avevi così tante cose da dirmi, e tutte così interessanti? Anch'io, lo sai, avrei avuto tante cose da raccontarti. Mi ricordo ancora, quando ero piccolo e cercavo di richiamare la tua attenzione su di me. Il mondo mi appariva straordinario, a misura che lo scoprivo. Ti portavo una pietra appena raccolta su un sentiero in montagna. Mi sembrava bellissima, bianca, liscia, venata di cristalli. Mi sarebbe piaciuto parlarne con te. Avrei voluto che tu, che sapevi tante cose, me le spiegassi, e ti divertissi a scoprirne altre con me. Ti regalavo la mia pietra perché tu la conservassi. Ma poi vedevo che la buttavi via, e pensavo che delle mie scoperte non te ne importava nulla. Anche quando ero più piccolo ancora, avrei avuto tanta voglia di parlare con il mio papà. Ad esempio, quando mi sve¬ gliavo la notte piangendo, perché avevo fatto un brutto sogno. Ma chissà perché, era soltanto la mamma che veniva a consolarmi. E, ora che ci penso, anche quando si trattava di cambiarmi i pannolini, era sempre la mamma a farlo. Beh, capisco, non avremmo potuto parlare dei massimi sistemi, spiegarci le nostre radici, riflettere sul mondo, mentre mi pulivano il sederino. Eppure, sapessi come comunicavamo, la mamma ed io, in quei momenti. Forse avremmo potuto tarlare insieme più tardi, ti" l ?">: che dici? Magari quando ai. vo alle elementari o alle mc.j. Ma già, dimenticavo. Tu a q ..eil'epoca eri sempre in viaggio: tanta gente importante voleva parlare con te, o tu con loro, e non avevi tempo per me. Ricor¬ do che ogni tanto chiedevi alla mamma se frequentavo la prima D o la terza C. E quello che proprio non ti riusciva di mandare a memoria era la mia data di nascita: la confondevi sempre con quella di mio fratello, ti ricordi? E anche quando non viaggiavi e stavi in casa, dovevi sempre leggere gli articoli finanziari sui giornali, sentire le ultime notizie politiche del telegiornale, seguire le partite di calcio. Perché lo so, il mio papà era un uomo molto importante: la mamma me lo ripeteva che eri importante, e non potevi occuparti di me. Ma naturalmente mi volevi bene lo stesso. Lo so perché la mamma me lo diceva sempre. Ora ho saputo che le lettere che mi scrivi diventeranno un SOCIETÀ EDITRICE INTERNAZIONALE TORINO Tilde Giani Gallino

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