GESÙ' CRISTO ERA UN BUON DIAVOLO di Giorgio Calcagno
GESÙ' CRISTO ERA UN BUON DIAVOLO GESÙ' CRISTO ERA UN BUON DIAVOLO Don Antonio Balletto, nome importante nel mondo editoriale, è di nuovo al lavoro, dopo essere stato congedato oltre un anno fa («e con metodi piuttosto spicci») dal ruolo di presidente e direttore editoriale della Marietti di cui era una sorta di simbolo. Mentre la gloriosa Marietti della quale il silente cav. Repetto (Elah-Dufour) è l'azionista di maggioranza, si appresta a ritornare a pieno ritmo sul mercato (nel '94 è uscito un solo libro) dopo un accordo di distribuzione con le «Dehoniane Libri» e un futuro più marcatamente religioso se pure «in senso ampio», come afferma Giacomo Cesano amministratore delegato della EDB, don Balletto prepara per le Edizioni S. Paolo una nuova collana dove il suo ecumenismo significherà, ancora una volta, «cercare insieme». Incontri ravvicinati tra mondo religioso e mondo laico. Cercare e «lavorare insieme». E' ciò che don Balletto farà, spera, con Massimo Cacciari «perché il desiderio è reciproco...». GESÙ' Cristo morì a letto, con il lenzuolo tirato fin sotto il mento». Ecco un incipit che molti scrittori potrebbero invidiare. Ci viene da un esordiente nella narrativa, anche se tutt'altro che novizio nella scrittura. Vittorio Brunelli, dopo una vita passata nel giornalismo, lunga esperienza internazionale, soprattutto in Germania, debutta nel racconto a oltre 65 anni, e riesce a sorprenderci subito. Anche perché, in epigrafe, ha scelto una maliziosa citazione di Jean Rouaud: «Après tout le Nazaréen était un beau gargon». Solo qualche pagina più avanti scopriremo che il Gesù Cristo di Brunelli è il personaggio della sacra rappresentazione paesana, un buon diavolo, magari anche un po' comunista, che si fa crocifiggere a ogni Pasqua per l'impresa congiunta del parroco e del sindaco, naturalmente pei. La storia evangelica si incarna nella vita quotidiana della piccola comunità campestre, partecipa delle sue liti e delle sue gelosie, autorizza corteggiamenti e rivalità amorose intorno alla Maddalena «dagli occhi viola, disegnati e apprettati», scivola nella lotta politica. Ma quell'incipit mantiene la sua capacità di Causa gratis come premio Un premio nuovo con novità. Milanese, «dell'altra Milano senza avvisi di garanzia né forzazzurri riciclati», inventato da Augusto Bianchi Rizzi che, neo Bellonci del Nord, ogni giovedì da 4 anni apre la sua casa dì corso Venezia ai «vip culturali» meneghini e no. Ottimo: il primo vincitore è Miro Silvera per L'ebreo errante, tre milioni. Ma non basta: Bianchi Rizzi vuol ricordare anche le fatiche dell'editore, quest'anno Frassinelli e, essendo avvocato, gli offre una causa civile gratis. Rischia di diventare il premio italiano più ambito. Mirella Appiotti FATEVI un regalo. Prendetevi un pomeriggio o una serata e immergetevi in un mondo di pura fantasia leggendo il Taketori monogatari. E lasciatevi trasportare dall'incanto. Nella tradizione letteraria giapponese i monogatari erano «racconti di cose» e, nel genere, erano inclusi vari tipi di narrazione: fiabe, leggende, novelle, romanzi, fatti storici. Il Taketorì monogatari, considerato «l'antenato e il primo ad apparire di tutti i monogatari» (così venne definito fin dal secolo XI da Murasaki Shikibu, l'autrice del Genji monogatari, il primo romanzo psicologico della letteratura mondiale), esce ora in italiano nella magistrale traduzione di Adriana Boscaro per la collana di classici giapponesi «Mille gru» della Marsilio: un libriccmo di un centinaio di pagine con una copertina in cui campeggia il carattere take, bambù. La Stona di un tagliabambù appartiene ai racconti di fate. E' la bellissima fiaba di una principessa I lunare, ma questo si sa solo in un secondo tempo. Nonostante incominci con «C'era una volta...» e nonostante sia finita in tutte le antologie scolastiche, è però una fiaba per grandi, date la situazione realistica in cui è inserita e le implicazioni socioculturali che contiene. L'autore, un intellettuale anonimo molto vicino alla corte dell'epoca Heian (794-1185) e conoscitore del spiazzamento, la riverbera, con sfumature via via ilari, plebee, e alla fine scopertamente comiche, su tutto il racconto. «Cristo morì a letto» raccoglie quattro storie fortemente toscane, legate dall'unità di luogo, nello stesso paese dei colli fiorentini. Si sente che l'autore è di questa terra, ne ha assorbito il linguaggio e i sapori. I suoi personaggi, quando escono dalla dimensione ironica, sanno essere aspri, tagliati nella selce. Come quel contadino che sta incidendo le tacche su un ramo di ciliegio quando vede arrivare il figlio, venuto a salutarlo prima di emigrare in America. «Sicché tu vai via», sono le sole parole che sa dirgli. «'Un ti dico di scrivere perché 'un scriveresti». E si rimette a lavorare. Forse l'autore, nella sua parsimonia fiorentina, ha cavato troppo, per arrivare al nocciolo duro del suo mondo. Forse il quadro potrebbe essere più ricco, nella ricostruzione di quello stesso paesaggio. Ma quanto pudore di scrittura, quanta ruvida vita, in quella secchezza. Giorgio Calcagno Vittorio Brunelli Cristo morì a letto Shakespeare and Company pp. 82, L. 20.000
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