Estate romana,scirocco e sortilegio

discussione. L'accusa di Cero: ietti: l'afa come allegoria della politica in disfacimento? discussione. L'accusa di Cero: ietti: l'afa come allegoria della politica in disfacimento? Estate romana, scirocco e sortilegio ~f*\ ROMA m * ALDA, caldissima Roma, I appiccicosa e sventura1 i ta: «E' una sfortuna - ha 2>Ai scritto ieri sulla Stampa Guido Ceronetti - avere una capitale dove il caldo umido ebbe sempre un ruolo nel renderla viziosa, o nell'esprimerne la viziosità...». L'afa romana, perciò, come un'allegoria della politica in disfacimento e i violenti raggi del sole come spunto, perfino poetico, della ricorrente polemica anti-capitolina. Simbolica meteorologia. E intanto appassiscono davvero, nelle fioriere di cemento che non piacciono a Sgarbi, le rose di Siviglia che la Pivetti ha piazzato a Montecitorio. Immobile, senza un alito di vento, sta la bandiera sul pennone del Quirinale. Arso e polveroso il Senato. Semi deserta piazza Colonna: poliziotti all'ombra e una ragazza, in rosso, che s'allontana da Palazzo Chigi con un ghiacciolo in mano. Nella canicola, scrive Ceronetti, «ci si rende conto che è insensato il pretendere qualcosa di ragionevole, di giusto, di possibile dentro a quel sortilegio maligno» che è Roma, accaldata e sciroccosa negazione di ogni identità nordica, razionale. Non che a Bologna, veramente (36 gradi), a Milano (34) o a Torino (33), si stia proprio al fresco. E tuttavia solo l'estate romana, più esattamente l'estate politica di questa città che già nel 1988 il torinese Luigi Firpo definiva «l'unica città levantina senza un quartiere europeo», sembra tirarsi appresso un che di terribile. Ricordi foschi e mollicci come quello del ministro Lattanzio che simula davanti alle telecamere la moglie di Kappler che porta via una valigia con il marito dentro. O il suono rabbioso dei clacson delle auto blu prima della defenestrazione di Fanfani, o l'arrivo isterico di Cicciolina (e Moana e Ramba) a Montecitorio, l'abbronzatura luccicante di Altissimo, il grido rivolto dal militante comunista a Lucio Magri: «Ahò! A' abbronzato!». Così almeno, come in un sogno di natura incubatica, vivono Roma i nordici conquistatori dell'ultima ondata. Dal ministro Speroni, ad esempio, che s'è scelto una casetta a Ostia, vicino all'aeroporto, per volar via appena può, all'avvocato berlusconiano Dotti che invano si sorprende a sognare le nebbie; dal ministro Maroni che non riesce nemmeno a suonare, fino al vicepresidente missino della Camera La Russa a cui nell'Urbe sembra addirittura di aver problemi di fuso orario. Anche Gianfranco Miglio, naturalmente, che pure sostiene di ammirare i romani veraci e di avere una collezione di stampe di Pinelli, confessa di avere nei confronti di Roma vere e proprie «crisi di rigetto». Eppure vale senz'altro la pena di sentirlo, se non altro perché è uno dei pochissimi studiosi, in Italia, ad aver valutato l'influenza del clima sui sistemi politici (per cui nella fascia temperata ci sono sistemi molto sofisticati e un comando personalizzato, mentre nell'Europa fredda prevale la norma impersonale e istituzioni in genere più rozze). «A Roma - spiega - cerco di andarci solo quando è indispensabile. L'afa la conosco poco perché scappo Mi chiamano dal Senato: "Vieni, c'è l'aria condizionata!". Ma no». Il ponentino? «E' gradevole - riconosce -, però, fisicamente, l'aria marina non mi fa bene». Miglio, piuttosto, ci tiene a estendere la sua avversione non solo climatica a Berlusconi: «Spero, con la complicità della signora Veronica, che non si romanizzi». Protesta, com'è giusto, il sindaco di Roma. Rutelli premette di rispettare nel modo più assoluto l'espressione artistica, «specie quella del grande Ceronetti. E tuttavia, se dalla letteratura si passa alla realtà, la sua mi sembra una bufala. Roma ha uno dei climi più belli del mondo, meraviglioso, invidiato da tutti e su cui tutti hanno scritto. Il vero caldo-umido è quello di New York - insiste -, un caldo opprimente, faticoso, un caldo che fa venire il mal di testa e abbatte l'animo». E i vizi che si manifestano termicamente? «Quali vizi? La corruzione che si vive oggi a Mosca non ha relazione con il gelo invernale». Estate o non estate - peggio l'estate, comunque - la polemica può essere arricchita dallo storico. «Ceronetti ha ragione per quel che riguarda l'epoca moderna e contemporanea - osserva il professor Piero Melograni - ma nel passato profondo a Roma è nato un impero. In genere le grandi civiltà, nazioni e città, basti pensare a Costantinopoli, nascono nei climi torridi. Washington, che è il centro imperiale di oggi, ne ha uno pessimo. E' senz'altro una capitale infelice, Roma, e tuttavia mi chiedo se rispetto alle stagioni non si sia molto più intolleranti di una volta». E richiama la descrizione dei funerali solenni di Umberto I, nel luglio del 1900, seguiti da migliaia di persone in abiti (e divise) pesanti. La questione del caldo romano, d'altra parte, è antica. E ancora più sospetta se si considera la sua immancabile origine esterna. «Vuota, insalubre region, che Stato / ti vai nomando...» canta un altro illustre piemontese, Vittorio Alfieri. Che si chiedeva, peraltro con risposta già pronta: «Oh! se' tu Roma, o d'ogni vizio il seggio?». «Insalubre», appunto, e viziosa. Il punto, semmai, è che, senza arrivare alle punte provocatorie di uno spiritaccio locale come Fabrizio Sarazani (a cui il caldo faceva bene e peggio per gli altri intronati), i romani, veri o adottivi che siano, non hanno mai messo in relazione la loro estate con nulla di politicamente, culturalmente, simbolicamente impegnativo. Caldo, a Roma, ha sempre fatto, come s'intuisce da una vera e propria cultura dell'acqua tutta fonta¬ ne, fogne, terme, acquedotti. Prova ne sia anche lo stesso dialetto nel quale la stessa parola cambia genere e si carica di un peggiorativo per cui «caldo» diviene, addirittura, «callaccia». E infatti, così si lamenta una popolana di Belli: «Uff! che bafa d'inferno! che callaccia! / Io non ho arzato un deto e già so stracca/O che lassame-sta! sento una fiacca...». Dove il «lassamesta», spiegano le belle note del Vigolo, «è quella malavoglia che nasce da lassitudine». Riprovevole stato d'animo, certo, inevitabile - in altro sonetto - quando le strade sono «fornasce spalancate» e «nun trovi antro che cani mascilcnti / sdrajati in 'gni portone e 'gni cortile, / co la lingua de fora da li denti». «Perché d'estate, a Roma, si muovono bene i mostri» nota un poeta come Gaio Fratini: «Il caL do romano è uno stato d'animo, il piacere di scappare dalla canicola, l'elemento migliore per fare una cattiva politica e una buona letteratura». E pure un po' d'ironia alla Flaiano che faceva il verso agli stranieri: «I hate barocco, I hate scirocco, I hate Roma». Filippo Ceccarelli Miglio: mi provoca crisi di rigetto Rutelli: anche alfreddo nascono i corrotti Melograni: «Le grandi civiltà sono cresciute nei climi torridi» Fratini: «La canicola aiuta a fare buona letteratura» A sinistra, il poeta Giuseppe Gioacchino Belli. Qui accanto, Francesco Rutelli e Gianfranco Miglio.