Intervista con il grande campione che compie 80 anni: «Andrò a Lourdes, mi sento in debito con la Madonna»

Intervista con il grande campione che compie 80 anni: «Andrò a Lourdes, mi sento in debito con la Madonna» Intervista con il grande campione che compie 80 anni: «Andrò a Lourdes, mi sento in debito con la Madonna» /vi INO Banali ha ottant'anni. I ! Li compie il 18 luglio, glieli I hanno fatti compiere tante II volte in questi giorni con feI—ste, medaglie, diplomi, banchetti, telefonate, baci, abbracci. Già quando era corridore ciclista c'erano anni in cui li compiva due volte: accadeva sulle strade del Tour de France, chissà perché avevano deciso di festeggiarlo il 14 luglio, gran giorno della Francia: lui lasciava dire, lasciava fare, se era in forma vinceva una tappa il 14 luglio e una il 18. Gino Bartali sta benone. Tre anni fa gli hanno messo un pace-maker, «per obbligare il mio cuore ad andare un po' più forte». Bartali ha il cosiddetto cuore d'atleta, «le coeur gros» dicevano di lui i francesi, e «coeur gros» vuol dire anche grande cuore, cuore gonfio di sentimenti e ardori. Il cuore d'atleta normalmente batte piano. «Quando correvo avevo, alla base delle grandi salite, appena 30 pulsazioni al minuto. Nel 1991 ho patito un problemino cardiaco, ero a 37, poche per l'età. Il pace-maker mi fa andare a 50: così il mio cuore viene sollecitato, non si dimentica di funzionare». Pronuncia bene, «peismecher», scordando persino il toscano insistito, quasi affettato che ormai mette nella sua parlata sempre più cavernosa, sempre più aspirata, sempre più temporalesca. Il vecchio (vecchio?) Gino continua ad andare in bicicletta. «Pedalo in centro, a Firenze, già faccio troppi chilometri in auto per l'Italia, ho bisogno di sgranchirmi. Devo raggiungere Di Paco, che ha ottantasette anni e soltanto per una caduta ultimamente ha smesso di pedalare, o Morelli che ne ha ottantotto, correva il Tour sessantanni fa e va ancora in bici». Di Paco, toscano, in pista faceva impazzire Parigi, le donne di Parigi, che dopo le Sei Giorni gli offrivano le Sei notti: Bartali il pio allora non lo seguiva, ora, in bici, in qualche modo lo insegue. Ma la vera attività sportiva di Bartali è quella di rallysta: fa il pilota e il navigatore di se stesso, fuorché le poche volte in cui riesce a convincere la moglie a viaggiare con lui. Solca l'Italia sulla sua auto, ogni sera una città, un paese nuovo, e una premiazione, un banchetto, un discorso, una discussione, gli altri crollano per il sonno, lui racconta di quella volta che. Bisogna prenotarlo anche sei mesi prima. Con qualche sponsorizzazione, qualche incarico anche giornalistico, fa tutto il Giro in auto da solo, precede il gruppo, lo fermano per autografi, fotografie, strette di mano. Lo chiamano dai bordi della strada, lo vogliono a battesimi, comunioni, matrimoni. «E' bello - dice - sapere che posso viaggiare tutta l'Italia e fermarmi dove voglio, sicuro che in ogni casa trovo sempre un saluto, una scodella d' minestra, una fetta di salame, un bic-hiere di vino». Mangia e beve con la voracità dei ciclisti quando pedalano in gara: «I medici dicono che dovrei tenermi un poco, ma è difficile, alla mia tavola servono sempre il meglio». Lo chiamano in tutta Italia, e non solo. «Dei tanti giorni per festeggiare il mio ottantesimo compleanno ce ne sono anche tre in Francia, a Lourdes, dove ho vinto una tappa e dove fanno un raduno di ex maglie gialle. Io a Lourdes vado anche perché sono credente, praticante, cristiano, cattolico, perché Dio e la Madonna mi sono stati sempre accanto, mi sento in debito. La mia fede non è di comodo, questo voglio dire». Il ciclismo gli ha portato via un fratello più giovane, Giubo, travolto in corsa - prometteva bene da un'auto nel 1936, il ciclismo io ha fatto smadonnare su tante salite, e in tante giornate sì di Coppi. «Ma io grazie al ciclismo adesso posso dire a tutti di non farmi nessun regalo per i miei ottant'anni, ne ho già ricevuti tanti dalla vita. E attenzione: io non ho soltanto quello che non ho voluto avere, quanti uomini possono parlare così?». Ci fosse Coppi, verrebbe a qualche festeggiamento? «Sicuramente. Ci volevamo bene, più passa il tem¬ po e più mi accorgo che a farci nemici eravate voi giornalisti. Povero Fausto, ha sofferto tanto con la sua vita così complicata. Strano uomo, si sarebbe detto che lui non voleva assolutamente essere sereno. Io credo al paradiso, e so che lui se l'è meritato. Si potrebbe scrivere un libro non sulle corse che lui mi ha portato via, no, ma sulle volte che hanno favorito lui contro di me: ma così è lo sport, c'è chi fa delle scelte, e c'è chi gode di queste scelte, chi ne patisce. E' vivo un solo giornalista che potrebbe scrivere il libro giusto, si chiama Ruggero Radice, lo pseudonimo è Raro, gliel'ho chiesto, ma vuole riposarsi. Mi è venuto dietro per migliaia di chilometri, gli devo molto, non nascono più giornalisti davvero innamorati del ciclismo». Cosa le direbbe Coppi come frase di augurio? «Lo so benissimo, è come lo sentissi: Gino, mi direbbe, tu mi rompi sempre le uova nel paniere, mi hai preceduto, sei arrivato piima agli ottant'anni, adesso debbo arrivarci anch'io, uffa». In questi giorni si fanno vivi tanti ex corridori, persino i piemontesi, che di Bartali sono stati sempre nemici storici: Camusso e Valerti su tutti. «E pensare che io ero amico dei calciatori del Grande Torino, ci incontravamo in treno, nei nostri viaggi per gareggiare, io manco sapevo cosa fosse l'aereo. Bravi ragazzi. Io ero tifoso della Juventus, Coppi del Torino era addirittura socio. Ho lasciato la Juventus nel 1981, dopo che ha portato via con qualche pasticcio lo scudetto alla Fiorentina, ero un assurdo cittadi- no di Firenze, la città che proprio non può vedere la Juventus, adesso sono in regola, tifo viola». «Io però sono nato in una Firenze diversa, il mio borgo, Ponte a Ema, allora stava in campagna. Famiglia povera povera, mio padre, sterratore e anche addetto ad accendere i lampioni stradali a gas. fu richiamato per la Grande Guerra, mia mamma restò sola con i quattro bambini, io avevo pochi mesi. So cosa hanno fatto i miei per tirare avanti con dignità, io a nove anni lavoravo già, calzolaio e fabbro e falegname, a dieci mi davano la prima bicicletta e pedalando andavo in giro a vendere i lavori di cucito che facevano le mie due sorelle. Il tram costava 30 centesimi, mi mettevo via i soldi del biglietto». Poi entrò in bottega da un ciclista, 60 lire al mese, cominciò con le corse, con i premi. «La mia società di bat¬ tesimo fu l'Aquila di Ponte a Ema, chiamata così perché una volta nel mio borgo era caduta, fenca, un'aquila reale. Tanto per non smentirmi, al primo contratto vero, da professionista, mi hanno fregato. Voglio dire che io e il denaro non ci siamo mai dati del tu». Con il suo retroterra umile altri avrebbero trafficato eccome, a colpire e saccheggiare i cervelli e soprattutto i cuori. Come con il suo darsi da fare, gli allenamenti erano la scusa, per portare messaggi dalla Toscana dei partigiani in Vaticano. Per non dire poi di quando stoppò la guerra civile immanente e forse imminente, dopo l'attentato a Togliatti. Si vuole che De Gasperi gli abbia telefonato, invitandolo a vincere il Tour che stava correndo, per distrarre la gente dal fattaccio, esaltarla in altro modo. «Io non so se ho fatto cose importanti, forse sì, ho fatto quello che mi chiedevano per il bene generale». Era il suo secondo Tour vittorioso, a dieci armi di distanza dal primo. «Sì, perché la guerra ha contato per Coppi, che è finito prigioniero in Nordafrica, ma anche per me, però si parla soprattutto degli svantaggi che ha patito Fausto. E' cominciata, la guerra, che ero ancora giovane, è finita che avevo passato i trenta». Ogni tanto rancorizza un poco, ma forse lo fa soltanto perché si è innamorato di quel Bartali del «tutto sbagbato, tutto da rifare» che in realtà gli ha teleappiccicato addosso più Tognazzi che il suo intercalare tipico. In realtà appare un uomo felice, ha qualche soldo, moglie dolce, tre figli, cinque nipoti («ma un solo maschio, e dalla femmina, non si chiama manco Bartab: un nipote è sposato, ma non vuole saperne di farmi bisnonno, oggi si va cauti con i figli»), una vita pubta, va a messa per ringraziare e non per chiedere. «L'altro giorno il parroco ha interrotto la predica, ha detto che mi aveva visto, sapeva del mio compleanno, ha invitato tutti a farmi gii auguri, un grande coro commovente, stupendo». E fa la comunione, e la confessione è sincera ma intanto breve, Bartali era detto «il pedale di Dio». Per sentirlo arrabbiato davvero, bisogna parlargli del calcio. «Seguo le partite del campionato del mondo, ma non amo i calciatori. Anzi, li detesto. E specie quelli italiani. Con i soldi che guadagnano, devono fare gli isterici? I pugni sempre alzati al cielo, anche quando vincono... Brutte immagini, di superbia, se non di pazzia. E certe volte addirittura si legge sulle loro labbra la parolaccia, la bestemmia. Nella vita si vince, si perde, si finisce e si scopre che tutto è stato in realtà niente. Quelli segnano un gol, fanno le capriole, poi ne prendono due, fanno le tragedie. Bisognerebbe riservare le capriole alla fine, se è andata bene, soprattutto se si è vinto giusto: e allora ci si potrebbe anche ubriacare di buon vino rosso. Le smancerie in campo, i baci a chi segna un gol, proprio non mi vanno giù. Ma è colpa anche di chi idolatra questi tipi. E di chi li arricchisce. Tanto, troppo denaro nel calcio. Mi fa schifo. Mai che si decida una davvero grande azione comune, tutto quel che si guadagna in un torneo ai bambini che muoiono di fame, mai. Vorrei che un italiano vincesse questo Tour, così la gente si staccherebbe dal calcio per fare festa a chi davvero vale. E le storie del caldo patito in America dai poveri calciatori? Ma sanno loro cosa è il caldo del Tour, su una salita, senza poter mai sostare?». Arieccoci ai ciclisti. Chi dei grandi Gino aspetta per il compleanno? «Magni, Kubler svizzero, Schotte belga. Ma quelli dei miei tempi sono quasi tutti morti». Morti anche tanti celebri del dopoBartali: Coppi, Nencini, Baffi, Faggin, Anquetil, Bobet, Faggin, Debruyne. E fuorché Coppi tutti morti di tumore. «E' vero, c'è da pensare». Gian Paolo Ormezzano «Vedo i mondiali, detesto i calciatori italiani: sono soltanto isterici e mi danno fastidio tutti quei loro soldi» «Continuo a andare in bici: voglio battere Di Paco che ha smesso a ottantasette anni per una caduta» Sopra Gino Bartali durante una corsa, a lato negli Anni SO. In alto una foto recente ^artnl' COM Coppi durante il famoso scambio di borracce al Tour de France