Che bello essere italiani, il giorno dopo di Vittorio Zucconi

Che bello essere italiani, il giorno dopo Che bello essere italiani, il giorno dopo Da «antipatici», azzurri e et sono diventati «eroi» IL VOLTAFACCIA DI LITTLE ITALY BOSTON A quanto è bello essere 1 italiani a Boston, adesso, la mattina dopo, chiamarsi Provenzano, Scarfò, Dolce, Furlan, Menino, bere il cappuccino un po' acquoso al Caffè Graffiti in Hanover Street o mangiare gli «scungilli alla marinara» al Ristorante Paradiso nel North End, la Little Italy della città. Come ci vogliamo tutti bene, nelle strade lastricate di storia e di turisti, dentro la capitale della rivoluzione americana, terroni e nordisti, italo americani da tre generazioni e turisti emiliani, che si abbracciano davanti al balcone dove fu letta la dichiarazione d'indipendenza, due secoli or sono, al grido di Ale Ale e Forza Azzurri, guardati come bambini che soffrono di dolori da dentizione dai poliziotti pazienti del Boston Police Department. Quanto è astuto questo Sacchi, quanto eroico questo Baggio, quanto nerbo hanno questi Azzurri che fino alle 14 e 43 minuti di martedì 5 luglio erano un branco di connuti, deficienti, imbranati e «stinking shits» - fetidi escrementi umani - secondo le grida dello Stadio di Foxboro tutto contro di loro, «Zo-la...Zo-la...Zo-la». Un interruttore è scattato, martedì pomeriggio, e la corrente di antipatia, di ostilità, di indifferenza che aveva investito la nostra Nazionale dal momento del penoso esordio con l'Eire ha cambiato polarità lungo il filo di quel tiretto preciso di Roberto Baggio che è sgocciolato nella porta alla destra di Peter Rufai. «Il calcio è quel che unisce e ci affratella, Nord e Sud, Torino e Palermo», spiega un po' cattedratico uno studente italiano di Brescia che frequenta Harvard, Francesco Duina: e i giornali, le tv locali prendono nota diligenti. «Grazie Baggio, sei tutti noi», riassume lo striscione cucito nella notte e appeso ieri mattina al Caffè dello Sport, dove le figurine con la faccia di Roby si scambiano freneticamente dopo essere state disprezzate per due settimane (prezzo alla Borsa del Caffè Sport di ieri: un Baggio per tre Baresi, povero Kaiser sic transit gloria mundi). Una delle Nazionali più antipatiche della storia recente, una squadra che sembrava aver fatto apposta ad alienarsi i «paisà» regolarmente snobbati (per ra- gioni di sicurezza, spiegavano i dirigenti) nel loro desiderio divorante di abbracciarli, sfiorarli, di guardarli almeno una volta mentre sgambettano sul campo del loro liceo a Pingry, è diventata una squadra che resterà incisa nella memoria delle Little Italy per generazioni, come per noi di mezz'età fu Italia-Germania nel Messico 70. E il pensiero che gli irlandesi, giustizieri dell'Italia a New York, stiano volando verso Dublino, mentre i nostri «kids» sono ancora qui, versa altro zucchero nel bollente cappuccino razziale di Boston, dove «Micks» e «Wops», irlandesi e italiani secondo gli opposti insulti, sono i guelfi e i ghibellini delle secolari risse cittadine. E sarebbe solo snobistico, provocatorio, battere stamani i bar del North End, i Caffè Milano, Luna, Paradiso, Graffiti, Bella Roma, Bella Napoli, Vesuvio, Mamma Questo e Mamma Quello, chiedendo conto ai ritrovati Fratelli d'Italia di questa volubilità emotiva, di questa conversione repentina da detrattori di Sacchi («'o struonzo», come mi ha strillato nelle orecchie per 88 minuti alle spalle un megafono di tifosi nella sezione 204, fila 10 dello stadio) a suoi adoratori («nu dio», secondo lo stesso megafono). I linguisti potrebbero divertirsi a studiare come il bisillabo Zo-la urlato da 50 mila persone possa trasformarsi, in 90 minuti in Ro-by, ma non ci sono glottologi e linguisti nei bar e nei motel di Boston, oggi. La squadra degli antipatici in maglia azzurra, guidati dall'antipatico calvo con gli occhiali sulla pelata, è divenuta - almeno fino a sabato prossimo nel crudele mezzogiorno che i meteorologi prevedono caldo e umidissimo - il sogno a cui aggrapparsi, l'amante nella quale finalmente credere. I giornali americani, sempre acidi verso le squadre italiane che non piacciono mai a quelli che di calcio non capiscono nulla e misurano il gioco con il metro dei gol, ancora recalcitrano, come fa Usa Today, il primo giornale popolare della nazione, che acj cusa i nostri di avere sceneggiato voli in area per tutta la partita sperando nel rigore. Peggio per loro. Gli americani con nomi inglesi non fanno il tifo per noi, al contrario, e questo è un buon I segno, essendo ignoranti di pali Ione. Soltanto George Bush, che era alla partita perché la sua casa d'estate è vicina, ha avuto un gesto di gioia quando Baggio ha segnato. Ma la Nazionale non gioca per il New York Times o per il Wall Street Journal, gioca per i Caffè Paradiso e i Bar Vesuvio, finalmente convertiti. «Da oggi siamo tutti con Sacchi», mi informava ieri mattina pretendendo di offrirmi a tutti i costi una sambuca alle 8 e mezzo, Vincent «The Finger» Allasio, uno dei boss che organizzano il voto alle elezioni nel North End. Ma come? 'o struonzo, il freddo, cerebrale, l'antipatico, il nordista Sacchi che fa giocare solo gente del Nord e non mette in squadra i sudisti, come voi gli rimproverate? Vincent «Il Dito» (non oso chiedere da dove gli venga il nomignolo) mi guarda con quello sguardo duro che deve avere persuaso in passato più di un elettore esitante: «Ho detto che Sacchi va bene». Viva Sacchi. La Nazionale ha cambiato segno in America, con la repentina velocità delle passioni sportive. L'Amore Difficile dei tifosi, quello che si prova per un figlio ribelle e deludente, è diventato l'Amore Facile che si riserva ai bravi ragazzi belli e diligenti. E per una trentina di chilometri, martedì sera, tornando dal lontanissimo stadio verso Boston, nell'ingorgo selvaggio delle autostrade, volavano tricolori e maglie azzurre e facce dipinte di maquillage bianco rosso verde fuori dai finestrini, nel coro di auto di tifosi targate Vermont, Massachusetts, Maine, New York, Pennsylvania, come a un ritorno dall'Olimpico a Roma. Certamente, sconfiggere la Nigeria, che aveva un totale di 200 tifosi venuti da Lagos sugli spalti di Foxboro, contro 54.723 italiani e italo-americani, non è come battere l'Irlanda, o la Germania ma fino al mezzogiorno di sabato prossimo consente almeno di girare per la città con il tricolore legato ai finestrini, senza essere arrestati per disturbo della quieta pubblica. Persino il megafono tace, riposto in qualche armadio accanto alla foto della Nazionale dell'82 e alle cartoline di Capri e di Taormina. Come è facile ricordarsi di essere italiani, il 6 luglio 1994. Persino Matarrese, il presidente della Lega e il capo della nostra delegazione, ha ri■ nunciato ai magnifici ristoranti : di pesce bostoniani martedì, e ha potuto portare tranquillo la moglie e le figlie in una pizzeria italiana di Boston, sicuro di trovare, quella sera, solo amici. Una «margherita» per Matarrese anche sabato sera, speriamo. Vittorio Zucconi