Tante botte senza odi razziali di Vittorio Zucconi

Tante botte senza odi razziali Tante botte senza odi razziali In campo non c'erano «buana» e negroni UN CALCIO DA AMARE Y è MFOXBORO ANCANO 3 minuti e 25 secondi alla fine, secondo il cronometro dello stadio di Foxboro. Sul vertice sinistro dell'area di Marchegiani, due giocatori esausti franano a terra, il numero 15 nigeriano Sanson Oliseli e il numero 10 italiano, Roberto Baggio. Non era una caduta casuale: il Sansone nero aveva falciato la nostra Dalilah bianca da dietro. Oliseli e Baggio si rialzano, si fissano por un attimo, Baggio allunga il braccio, il Sansone, con la coscienza sporca, fa un gesto istintivo per difendersi. Non co n'ò bisogno: i due giocatori non si menano, si abbracciano, percorrono addirittura qualche basso cingendosi le spalle come due morosi e poi si separano, ciascuno per la sua strada, Baggio verso gli ottavi di finale, Sansone verso l'aereo che lo riporta in Africa. Niente di deamicisiano, niente di retorico o di drammatico. Solo il gesto di due uomini spossati, arrivati insieme nella zona dove il rispetto si mischia alla fatica. Non poteva finire meglio, questa partita straordinaria che neppure l'infame arbitro messicano è riuscito a devastare, questa «Italia-Germania 4-3» in rie- quella italica e quella nigeriana non aveva mai lasciato dubbi, fuori dal campo, su chi avrebbe vinto. Non c'era danza di leone che potesse equilibrare la danza dei dollari e delle lire. Sulle gradinate del Sullivan Stadium, i nostri «selvaggi» coi volti pitturati di biancorossoverde superavano i loro selvaggi per almeno nove a uno e non poteva essere diversamente. Boston, dopo New York, è la metropoli americana dove la presenza italiana e più massiccia, più identificata e più combattiva, temprata in decenni di guerra con la maggioranza irlandese. Due anni fa, per la prima volta nella storia della città-madre della R" Suzione Americana, i paisà sono riusciti a eleggere il primo sindaco non di origine irlandese dal 1888 a oggi, Tommaso «Tom» Menino. Era allo stadio anche lui, avvolto in una maglietta con il tricolore e la scritta halians do it batter, gli Italiani lo fanno meglio. Cosa? Tutto, dal calcio al resto. E se a New York, per Italia-Irlanda, il duello era stato lo scontro fra due grappi etnici fortemente integrati nella mischia della società Usa, la battaglia di Foxboro era inquinata da veleni sottili ma potenti, sotto la super¬ ficie della festa. Boston, nonostante le suo tradizioni storiche, il suo essere stata la sala parto dell'America con lo sbarco dei padri pellegrini e poi con la scintilla della rivolta indipendentista scoppiata qui nel 1776, è oggi una delle città più tese lungo la frontiera delle razze. Una frontiera sulla quale gli italo-americani, nerbo e spina dorsale della polizia cittadina, sono le truppe d'assalto.I pochi neri americani presenti allo stadio facevano tutti il tifo per i «brothers», per i fratelli di pelle. Per questo, dietro la cerimonia del leone e il ballo dello corna improvvisato subito dagli italo americani davanti all'ingresso numero 4 per esorcizzare («Cuorna e cornuti/ Sti cazz'e neri so' fottuti», recitava il garbato refrain), la corrente di tensione carsica era forte. La polizia aveva raddoppiato il numero di macchine di pattuglia attorno al Sullivan Stadium, per non correre rischi. Non appena un gruppetto di nigeriani compariva alle porte preceduto dal tam-tam dei loro tamburi, gruppi di agenti si raccoglievano discretamente nei loro paraggi, pronti a intervenire per separare mischie. Non c'è particolare animosità verso i ni- L'incredibile espulsione di Zola e (sopra) Albertini in azione contro Okocha dizione bianca e nera. Dopo la tragica lezione di inciviltà offerta dal calcio tre giorni fa con l'omicidio di Escobar, questo maledettissimo sport è tornato a sedurci, con uno spettacolo sportivo e umano indimenticabile. Non schiavi e padroni, sul campo, non «buana» bianchi e «negroni», ma esseri umani decisi a sconfiggersi, a menarsi pure (quanto menano questi africanoni, vero?) ma a rispettarsi. In tre giorni il calcio ci ha portato dall'inferno di Medellin al settimo cielo del Massachusetts. L'atmosfera, su questo Campetto modesto, forse il più modesto degli stadi del Mondiale, aveva fatto capire subito che sarebbe finita bene, almeno sul piano umano. Due ore prima della partita, alle 11 locali, due ragazzi nigeriani avevano cominciato nel parcheggio delle auto la loro danza del «leone reale» e dell'«antilope ferita» - essendo loro il leone e noi l'antilope, è ovvio sotto gli occhi benevoli dei poliziotti (moltissimi) e sotto gli sguardi nervosi di un gruppo di italiani superstiziosi. Ngamc Akaminye, il leone, che di mestiere fa il tassista e K'hone Emgambgc, l'antilope, che scarica i bagagli all'aeroporto di Boston, danzavano al suono dei tamburi. Dopo mezz'ora di danza, l'antilope era stata inesorabilmente finita dal leone tassinaro, e i due si erano portati via i tamburi mentre i molti napoletani presenti palpeggiavano i loro «cornicciuoli» nella tasca dei calzoni. Non si sa mai, con questi riti africani. Ma questa volta l'antilope ha divorato il leone. L'incontro fra le due tribù, . ■. :■■ ■■: :■: ■■:■:■:■: :::■:■»: ;■: ■ geriani, in America e meno che meno a Boston, dove sono 6 mila contro 450 mila italiani. «Ma un negro è un negro», mi aveva spiegato il leader di un battaglione di paesani del South End, la Little Italy bostoniana. Nell'aria, le imprecazioni in napoletano, siciliano, romanesco, lombardo, e brooklinese, le lingue delle tribù italiche suonavano più alte delle grida in Lgbo, Hansa e Yomba, le lingue delle tre maggiori tribù nigeriane. E qualcuno doveva anche aver studiato, e consultato enciclopedie, la sera prima, perché dalla curva dietro la rete del portiere nigeriano Rufai (uno Yomba) nel primo tempo si ò alzato incessante un coro di «Yomba-Yomba Boston sarà la tua tomba». Modesta poesia, ma almeno passioni oneste, disarmate. E non è successo niente. A parte qualche inevitabile «Lumumba, andate a casa» dei cretini immancabili, la mostruosa fatica di tutti i giocatori e soprattutto la vittoria italiana hanno portato la pace razziale nello stadio. Le nostre antilopi vittoriose abbracciavano i leoni. Il monachino Zen tornato campione abbracciava il suo tormentatore Sansone. Gli italo americani, gli italo tedeschi (c'era una pizzeria di Karlsruho rappresentata nelle tribune) stringevano la mano ai pochi nigeriani che rispettosamente si congratulavano. Almeno per un giorno, i leoni e le antilopi si giacevano insieme, bianchi e neri, comi; nell'Eden perduto. No, non por un giorno, soltanto per 90 minuti e i 30 supplementari. Non è molto, ma nel mondo di oggi, degli Escobar, del Ruanda o della Bosnia, non e neppure poco. Vittorio Zucconi Luglio Val d'Aosta sovrana la Valsavarenche etta dei re d'Italia a caput mundi rmi dei Musei Capitolini potere e la gloria La Spezia re, nelle Cinque Terre, me la vedeva tore Telemaco Signorini