In S Marco si festeggia Petrassi di Giorgio Pestelli

Suggestioni Suggestioni In S. Marco si festeggia Patrassi VENEZIA. Ci sarebbe tela per tre o quattro articoli a volere dar conto con qualche completezza della quantità di cose proposte o suggerite nei due concerti che il settore musicale della Biennale ha presentato in San Marco, come occasione celebrativa e come anticipazione del Festival di Musica Contemporanea che si svolgerà l'anno venturo dal 4 al 30 luglio. E dovremo quindi limitarci a riferire delle cose più nuove e che più ci hanno colpito con la vivacità dell'ascolto immediato nella basilica piena di pubblico. Di Goffredo Petrassi, cui Gian Luigi Rondi e il ministro D'Onofrio hanno consegnato in apertura il Leone d'Oro alla carriera, l'Orchestra e il Coro della Fenice diretti da Gùnther N^uhold e Giovanni Andreoli hanno fatto risentire le rare «Orationes Christi» per coro, ottoni, viole e violoncelli del 1974: opera difficile per l'impegno tecnico, ma anche più sul piano interiore di un'espressività «molto stretta, molto densa, senza luci», come ha confessato l'autore. Le «Preghiere» di Gesù sono i suoi tremendi soliloqui nell'orto dei Getsemani, nell'ora dell'angoscia e della solitudine che tanto ha impressionato la spiritualità antica e moderna; la «ristrettezza spirituale» avvertita da Petrassi, come cosa che appartenga quasi più alla vita che all'arte, si salda in asprezze dissonanti del coro e degli archi e nella trama amorfa degli ottoni: che lasciano un senso di esperienza segreta, ma non di disperazione, per il controllo esercitato su una materia così tormentata, per il rigore e l'intensità dello scavo. Ancora fresca d'inchiostro (scritta nel mese di maggio) ha fatto bellissima figura, fra Petrassi, Schoenberg e Stravinski, la cantata breve «O lux beatissima» di Francesco Permisi: si tratta della «sequenza di Pentecoste» un testo in latino medioevale, già ricco di musica nel gioco di ritmi metrici, accenti e rime, sul quale si innesta con molta cura dell'originale il canto di due voci di soprano (le bravissime Luisa Castellani e Susanna Rigacci): l'ascoltatore partecipa al flusso arioso delle ripetute invocazioni, cantate con uno slancio figurativo che supera la quintessenziata eleganza tipica di Pennisi; testimoniata peraltro da preziosità timbriche dell'orchestra da camera, ma comunque lasciate qui sullo sfondo a tramare la luminosa liricità di uno dei suoi lavori più felici e compiuti. Poco prima Luisa Castellani, con straordinaria intuizione dello spirito del brano, ha cantato «Les feuilles amères» per voce sola di Camillo Togni: una gemma d'intimismo pur nel suo divincolarsi entro la rete seriale, un palpitante epicedio scritto per Bruno Maderna che è valso a ricordare Togni scomparso pochi mesi fa. Prove sicurissime di maestria vocale hanno poi offerto il tenore Douglas Nasrawi e il baritono Mario Hacquard nel «Canticum Sacrum» in onore di San Marco di Stravinski. E per finire un balzo all'indietro di alcuni secoli con due drammi liturgici da poco riscoperti, che Giulio Cattin ha ricostmito da un manoscritto della Biblioteca di Santa Maria della Fava di Venezia, il Pianto della Madonna e la Visita al sepolcro. Realizzati, con osservanza delle embrionali indicazioni «sceniche» originali, dalla Schola Cantorum Romana, hanno suscitato emozioni e sorprese in molti; Stravinski ne avrebbe ammirato la spoglia intensità; e la chiesa di San Marco, una volta di più, si è confermata fedele alla sua secolare missione di unificazione e coordinamento fra tradizioni ed esperienze tanto diverse. Giorgio Pestelli

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