La rivincita di Vitali, genio in soffitta

Al Castello Sforzesco una mostra di incisioni rilancia l'opera del maestro Al Castello Sforzesco una mostra di incisioni rilancia l'opera del maestro La rivincita di Vitali, genio in soffitta Scoperto da Corrà, ma snobbato dai critici MILANO RMAI è l'ufficialità. La Sala della Castellana al Castello Sforzesco di Milano, una sede prestigiosa, dove in precedenza splendevano le opere di Guido Reni e del Grechetto. Una doverosa mostra-risarcimento. Un importante catalogo della sua Opera Incisa 1980-1993, curato da Paolo Bellini e amorosamente stampata da Bellinzona, Linati e Stefanoni di Lecco. Il lago, Bellano, tutta la sua vita. Una vita di silenzi, di incomprensioni, di latitanza della critica. Colpevole, cieca, come sempre. C'è voluto Testori, ancora una volta, per snidare questo maestro isolato, che accanitamente lavorava, accanto al giovane talento Velasco, il figliopittore oggi non meno apprezzato, nella risacca melanconica della riviera lacustre. Gli olii folgoranti di Giancarlo Vitali, che ti strappano gli occhi e l'ammirazione, quando li vedi: come può esser rimasta occultata una tale tempra di artista? Il sarcasmo pietoso delle fisionomie dialettali, il portiere, la maestra, il farmacista di paese, il sindaco lardellato di medaglie e la pasta urlante della sua materia, che sta fra gli sventramenti sanguigni di Soutine ed i vuoti vorticosi di Varlin. Una pittura che travagliava solo per sé, in segreto, strenuamente - lui che giovane, autodidatta, figlio di pescatori, era stato notato da Carrà, ma non aveva potuto continuare l'Accademia, perché senza mezzi (e sorprendenti sono i ritratti del sedicenne). Così per sopravvivere aveva venduto la mano, ma non l'anima, alla pittura commerciale, di mercato, da trattoria: senza mai contaminare la propria violenza espressiva, anzi, allevandola come una belva domestica. Una violenza contenuta, condiscendente, complice, che ritroviamo anche nelle acqueforti qui in mostra, dalla tecnica portentosa. Sommesse ferite nel familiare carpione dell'acido, che smangia le fisionomie, corrode le palazzine ubbriache, curvate nello specchio d'acqua paludoso del lungolago, modella le sagome acidule e macilente del suo Bestiario ispirato a Trilussa. Dai somari di Fattori agli acrobati di Roualt, comprese le maschere ensoriane che inquietano la sua Venezia coniugale: ed ecco, infatti, l'illuminante serie del Mio museo quotidiano, queste «prese» d'ispirazione e di possesso, questa dichiarata appropriazione che è omaggio ed insieme metabolizzazione di un cibo sceltissimo. I Pierrot di Picasso hanno i volti familiari dei suoi figli. E poi Rembrandt, Caravaggio, El Greco, Velàzquez, Goya, non a caso il Ceruti. Perché sono pitocchi aggiornati, i suoi personaggi, sono i Ciechi di Bruegel, costretti ad attraversare il «pantano» delle nostre mediocri strisce pedonali. Ma quasi tutti questi suoi dolenti artigiani dell'esistenza (le mani, trafficate e stanche, soprattutto, stanno al centro del fuoco dell'incisione) sono passatori di guadi, stanno in bilico sulle strisce dello sguardo, come animali magnetizzati dalla luce improvvisa d'un faro. Così la vecchina catturata nel teatro periclitante dell'attraversamento di città, traghettando il suo cane, od il tronfio commendatore che fa della strada un salotto, una tribuna. Quasi la prova della vita. Rischio di naturalismo, di verismo? Come nei versi rabbiosi e céliniani di un Tessa, è l'acido a salvare Vitali, orfano della sua consanguinea materia pittorica. Spolpato, talvolta, sontuosamente gracile, come nella serie essenziale deglil Agoni, adagiati sul lutto alcolico d'un piatto di trattoria. E l'immagine iniziale, archetipica è proprio quella di una Lisca radiografata sul desco, di una Cena magra, i resti vergognosi, disseminati sulla grigia tovaglia. Costeggiando quasi l'astratto paleontologico, l'informale fossile nella straordinaria cartella in omaggio all'Abate Stoppani. Marco Vali ora

Luoghi citati: Lecco, Milano, Venezia