Se la guerra dei narcos si combatte negli stadi di Gian Paolo Ormezzano

Se la guerra dei narcos si combatte negli stadi Se la guerra dei narcos si combatte negli stadi I «CARTELLI» i LO SPORT DALLAS DAL NOSTRO INVIATO La Fifa ha comandato, dal quartier generale di Usa 94 a Dallas, un minuto di silenzio al campionato mondiale, che ha ripreso ieri le sue partite, per l'uccisione a Medellin di Andres Escobar. Botta psicologicamente assai dura ad un gioco che si è voluto qui presentare come festoso, sereno. Arbitraggi severi, pignoli lo hanno «pulito» dalle asperità per offrirlo al pubblico giovane statunitense come sport gentile, divertente. Prima il caso di Maradona drogato, poi, con impatto infinitamente maggiore il caso di Escobar assassinato: soffiano sul Mondiale i ventacci del crimine, del dramma, altro che i rèfoli del gioco duro. Se si vuole, si può dire adesso che la fine di Escobar, 27 anni, uno dei giocatori colombiani più rappresentativi, era stata in qualche modo annunciata. La squadra colombiana aveva ritirato dal torneo, dopo la prima partita contro la Romania, Gabriel Jaime Gomez, fratello di Hernan Dario Gomez allenatore in seconda, per minacce di morte ricevute dalla Colombia. E c'era tutto un pesante retroterra di sospetti sull'interferenza del cartello trionfante dei nacrotrafficanti, quello di Cali, sul calcio colombiano, dopo anni di dominazione del cartello di Medellin, quello di Pablo Escobar, il signore della droga che aveva contribuito alle fortune del suo club, l'Atletico Nacional (arrivato ad una finale di Coppa Intercontinentale con il Milan a Tokyo e battuto solo ai supplementari, dopo una grande prova, fra l'altro, proprio di Andres Escobar). Gli intrecci sono tanti e confusi, nella chiarezza però dell'assunto principale: il calcio, popolarissimo in Colombia dove divide i favori degli sportivi solo con il ciclismo, è anch'esso terreno di conquista dei narcotrafficanti. E' stato messo in prigione René Higuita, il portiere delle uscite sino a metà campo, per partecipazione, come intermediario, al rapimento della figlia di un possidente: il riscatto sembra dovesse servire al finanziamento della latitanza di Pablo Escobar, ucciso l'anno scorso dalla polizia. I funerali di Pablo Escobar si sono svolti a Medellin con un vasto concorso di popolo in lacrime, compresi i tifosi dell'Atletico Nacional, orbati del loro padrefinanziatore. E c'è pure, rimbalzata dalla Colombia, anche con le parole di Asprilla del Parma (e ora al Napoli arriverà Rincon, altro della Nazionale colombiana di Usa 94), la voce, consistente, di un «sacrificio» di Andres Escobar deciso da un clan di scommettitori che avevano investito grosse cifre sulla qualificazione della Colombia agli ottavi. In sostanza, allibratori e scommettitori avrebbero rispecchiato due cartelli rivali, quello di Cali contro quello di Medellin impegnato a risorgere. Escobar avrebbe, con il suo autogol, involontario ma determinante, aiutato gli allibratori a evitare il disastro economico, e il clan degli scommettitori, distratti dalla sconfitta, gliel'avrebbe fatta pagare. Ma possono esserci anche altri intrecci, nel rapporto contorto e intanto assai palpabile fra narcotraffico e calcio. Ieri era corsa anche la voce dell'uccisione di Higuita, che ha lasciato il carcere da poco per gli arresti domiciliari. E qualcuno ha ricordato che nel 1992 un movimento chiamato LiFuCol (limpieza, cioè pulizia del fut-bol colombiano), legato al cartello di Cali, minacciò di morte Maturana, allenatore della Nazionale, se avesse convocato in Nazionale giocatori di un altro club di Medellin, quello di Antioquia (il nome della provincia di cui Medellin è il capoluogo). Maturana non solo respinse le minacce, ma convocò in Nazionale tre giocatori di quel club (Higuita, Alvarez e «Barrabas» Gomez) e volle al suo fianco nella Colombia l'allenatore, appunto il Gomez fratello del calciatore minacciato a sua volta di morte. Da ricordare poi due altri episodi, uno vicinissimo e l'altro lontano: il rapimento del figlioletto di Luis Fernando Herrera; nazionale colombiano, anche lui dell'Atletico Nacional di Medellin, tre mesi fa, con richiesta di enorme riscatto, appello drammatico in televisione del giocatore, restituzione della creatura; lo sciopero di quattro anni fa degli arbitri colombiani dopo l'uccisione di uno dei loro, che si era rifiutato di far finire in un certo modo una certa partita. E ancora: sempre la Colombia, sempre l'Atletico Nacional di Medellin hanno subito tempo fa dure sanzioni dalla federazione sudamericana dopo il sequestro di un arbitro argentino, Lustau, designato per il match con i brasiliani del Vasco da Gama, e «invitato» durante un giro in auto per Medellin, a far vincere il club: per un anno non ci furono partite internazionali in Colombia. Storie tragiche, dure, pesanti sul Mondiale, che era già «nato» con addosso un'altra storia di due mesi fa, quella del rapimento del padre di Romario, calciatore brasiliano: lieto fine con la liberazione del vecchio genitore da parte della polizia di Rio, ufficialmente senza riscatto. L'ombra della criminalità si è ormai diffusa sul grande calcio; e si diffonde, si diffonderà sempre di più. Da avere quasi nostalgia di quando, Anni Cinquanta, i guerriglieri venezuelani rapirono il calciatore argentino Di Stefano, però per evidenziare la loro posizione politica; e di quando, nel 1981, in Spagna fu rapito Enrique Castro detto Quini, goleador del Barcellona, liberato dopo riscatto leggero pagato ad una piccola banda di criminali. Difficile spiegare adesso agli statunitensi che si tratta di agganci fatali con la criminalità, considerando la valenza economica e psicologica del calcio, di pedaggi inevitabili: proprio questo aggettivo di scusa - inevitabili - diventa terribile. E il Mondiale quasi quasi si coccola la semplice messa a fuoco in Camerun della casa di Bell, il portiere che ha lasciato la squadra sentendosi incapace di far bene il suo mestiere. Gian Paolo Ormezzano Il sorriso di Andres Escobar durante un allenamento prima della fatidica partita con gli Stati Uniti. A fianco Pablo Escobar il defunto boss dei