Da Andreotti a Craxi, tanti assedi a Via Nazionale

Nel 79 l'offensiva contro Baffi e Sarcinelli, poi la guida di Ciampi e dell'«esterno» Dini Nel 79 l'offensiva contro Baffi e Sarcinelli, poi la guida di Ciampi e dell'«esterno» Dini Da Andreotti a Craxi, tanti assedi a Via Nazionale IL marco a quota mille, una nota velenosa in arrivo da Palazzo Chigi. Soffiano venti di tempesta nei dintorni di via Nazionale, in questo faticoso avvio della seconda Repubblica. Certo, il clima non è agitato come nel '79, quando l'istituto di emissione venne investito dalla bufera giudiziaria. Ma il governatore Antonio Fazio, a quei tempi promettente economista all'ufficio studi, si ricorda bene i rischi corsi da Bankitalia in quello scontro mortale. E, non c'è dubbio, cercherà in ogni modo di evitare un pericoloso braccio di ferro con l'esecutivo. Ma non sarà facile, anche perchè certi equilibri, maturati nel dopoguerra, appaiono ormai saltati. E sull'orizzonte, per giunta, si profila l'ombra di vecchie ruggini, emerse un anno fa quando Lamberto Dini, oggi ministro del Tesoro, ieri direttore generale di Banca d'Italia, venne scavalcato da Fazio nella corsa verso la poltrona di governatore. Einaudi e Menichella, i governatori della ricostruzione, dominavano la scena con la loro autorevo¬ lezza. Carli, grande navigatore tra economia e politica, sapeva destreggiarsi con grande diplomazia. E Ciampi, pur senza tirarsi indietro dalla polemica (epici alcuni confronti con Bettino Craxi, capo del governo), ha dimostrato più volte le qualità del politico di razza, attento a non rompere certi equilibri. Anche a costo di far da tappezzeria in anticamera quando i politici, anno 1986, sfioravano la rissa sulle nomine e nelle banche. Solo Paolo Baffi, generoso, intelligente ma intransigente, mise a rischio i delicati compromessi che hanno garantito l'indipendenza dell'istituto di emissione dai giochi dei partiti. Fu allora, nel '79, che Banca d'Italia rischiò per davvero di perdere quell'autonomia difesa contro la lottizzazione e l'ingerenza della politica. Dalla procura di Roma partirono siluri pesantissimi: il direttore generale Mario Sarcinelli in galera, Paolo Baffi, il governatore, estremo baluardo contro l'assalto alla diligenza delle casse pubbliche già premeditato dai par- Carlo Azeglio Ciampi tili, inesso fuori gioco. La storia ha provato ampiamente che l'inchiesta, destinata a far luce sui finanziamenti alla chimica, era poco più di un pretesto. L'offensiva allora messa in atto da alcuni settori della magistratura (senza trovar osta.; coli nel governo presieduto da Andreotti) era in realtà legata alla sorte di Michele Sindona. Sarcinel¬ li e Baffi pagarono per l'ostinazione dimostrata nel rifiutare ogni accomodamento per il banchiere di Patti. Anche allora, guarda la combinazione, la moneta italiana era sotto tiro (e Sindona veniva definito da Andreotti il «salvatore della lira»). Furono giorni terribili, per la Banca d'Italia: da tutto il mondo piovevano telefonate di banchieri e governatori centrali. Tutti, in particolare i creditori di un Tesoro indebitato fino al collo, volevano sapere se l'Italia aveva abbassato la guardia sul fronte della moneta e della vigilanza bancaria, piegandosi alle esigenze della politica. Solo la nomina di Carlo Azeglio Ciampi, il naturale candidato interno, placò in parte le inquietudini. Fu una vittoria parziale, per la verità, quella dei pretoriani di Bankitalia. L'istituto dovette accettare la nomina di un esterno, proprio Lamberto Dini, giudicato vicino al «grande nemico» Andreotti e scelto dopo il gran rifiuto di Sergio Siglienti, cugino di Berlinguer (erano tempi di compro¬ messo storico). Dini, una lunga esperienza americana alle spalle, seppe interpretare con estrema cautela il suo ruolo. Non ha mai tradito, nei tredici anni di coabitazione con Ciampi, il gioco di squadra; ha accettato in silenzio le strategie del governatore Ciampi, ha difeso le scelte del presidente del Consiglio Ciampi. Ma non ha dimenticato. E, una volta arrivato al governo, non si è tirato indietro dal bocciare l'opera di Ciampi, reo di aver frenato il risanamento avviato dal governo Amato. E il governo, intanto, manda a dire che l'erede di Dini lo deve scegliere proprio l'esecutivo. Candidature interne (su tutti Tommaso Padoa Schioppa) o esterne (favorito Rainer Masera, cresciuto all'ufficio studi prima di scegliere l'Imi) devono passare dal filtro di Berlusconi. E di Dini. Senza, almeno stavolta, un occhio di riguardo per i cervelli di palazzo Koch, sede di un'istituzione centenaria, nobile, e, ancora una volta, assediata. lu. b.]

Luoghi citati: Italia, Patti, Roma