Via gli ambasciatori di cultura di Andrea Di Robilant

IL CASO. Indietro tutta: dopo gli intellettuali, tornano gli insegnanti IL CASO. Indietro tutta: dopo gli intellettuali, tornano gli insegnanti Via gli ambasciatori di cultura Farnesina, benservito alla Nirenstein «t ROMA H ON si ravvisano più le m condizioni per un rinno■ vo del suo mandato». kJLÌ Senza preamboli e nello stile freddo delle comunicazioni di servizio, i nuovi vertici della Farnesina informano Fiamma Nirenstein, giornalista e scrittrice, che la sua direzione dell'Istituto italiano di cultura a Tel Aviv non è più gradita. E nell'atmosfera vagamente termidoriana che si respira in questi giorni, con poltrone che saltano e teste che volano, quel telegramma fa subito pensare a una decisione politica del nuovo governo, se non addirittura a qualche misteriosa resa dei conti. Tanto più che le recenti dimissioni di Furio Colombo dalla direzione dell'Istituto di cultura di New York - prontamente accettate dalla Farnesina - danno l'impressione che il nuovo governo voglia avere i propri «ambasciatori di cultura». A sentire la Farnesina, invece, non esiste un «caso Nirenstein»: quel telegramma è il primo di una serie e segna l'inizio della fine di una legge voluta dall'ex ministro degli Esteri Gianni De Michelis che dà la facoltà al governo di nominare dieci personalità «di chiara fama» alla guida dei più importanti istituti, allo scopo di vivacizzare la diffusione della cultura italiana. L'iniziativa di De Michelis non fu mai veramente accettata da molti diplomatici, che vedevano in essa un'ennesima ingerenza dei politici e un indebito favoritismo verso gli intellettuali. E così i vertici della Farnesina hanno approfittato del ricambio del governo per convincere il nuovo ministro Antonio Martino a tornare alla vecchia prassi di affidare gli istituti di cultura, anche i più prestigiosi, a presidi e maestri di scuola. «Non c'è alcun intento discriminatorio nei confronti di Fiamma Nirenstein», assicura l'ambasciatore Enrico Pietromarchi, direttore generale per gli affari culturali. «Si è semplicemente Uomini riccio e uomini volpe Nella pagina dedicata da Barbara Spinelli ai saggi pubblicati da Limes su «Occidente» c'è un'imprecisione che snatura nettamente quanto da me scritto in uno dei saggi che Spinelli prende in considerazione. Secondo l'Autrice io avrei espresso come mia veduta che «il comunismo staccandosi dall'Occidente "ha preso temporaneamente le distanze dal proprio ceppo d'origine, per tornarvi un domani ritemprato e pronto a compiere l'opera interrotta"». L'Autrice non s'è accorta che si trattava di una mia parafrasi del pensiero di Lenin nel discorso, citato subito prima, Meglio meno ma meglio, e che la «svolta epocale» di cui parlo in quel contesto è appunto il discorso di Lenin, che segnava l'abbandono di ogni illusione intorno all'eventualità di un successo comunista in Occidente. Il fraintendimento è fastidioso perché mi attribuisce una veduta trionfalistica che non mi appartiene. Capisco perché l'Autrice sia incorsa in questo fraintendimento; leggendola attentamente tutte le volte che interviene sulla Stampa mi son reso conto che Barbara Spinelli, se ha da polemizzare con un interlocutore comunista, lo ridisegna preliminarmente secondo quello che a lei sembra dovrebbe pensare e dire un comunista. Sia chiaro: ci sono ascendenti illustri. Tucidide dice di aver ricostruito i discorsi dei personaggi che popolano il suo racconto tenendosi a ciò che «era appropriato che dicessero in quella determinata circostanza». Ma aveva la scusante di non lavorare sui testi scritti di costoro: era costretto ad inventare le loro parole! Chiarito questo, mi piace soggiungere che non poche considerazioni dell'ampio saggio dell'autrice paiono a me molto interessanti. Luciano Canfora, Bari Chiedo scusa per la mancata citazione di Lenin, ma prego Luciano Canfora di considerare che non di un tentativo di ridisegnare preli¬ deciso di non ricorrere più a nomine straordinarie al di fuori dei ruoli. I nuovi direttori saranno scelti tra i ruoli». I primi a fare le spese di questa «nuova politica» sono quelli il cui mandato scade nel secondo semestre di quest'anno: la Nirenstein, appunto, e il professor Carlo Gregolin, preside della facoltà di Medicina a Padova e direttore dell'Istituto di cultura a Stoccolma. Rimangono ancora in sede (il loro mandato è stato rinnovato dal governo Ciampi) il filosofo Francesco Villari a Londra, il semiologo Paolo Fabbri a Parigi, il poeta e scrittore Grytzko Mascioni a Zagabria, la sinologa Anna Maria Palermo a Pechino e lo slavista Vittorio Strada a Mosca. Ma il loro mandato non sarà rinnovato. «Questa è la nuova politica», conferma Pietromarchi. La Nirenstein, che in questi due anni ha trasformato l'Istituto di Tel Aviv in un punto di riferimento della vita culturale in quella città, organizzando mostre, dibattiti, incontri tra intellettuali dei due Paesi, è rimasta a dir poco sorpresa per l'improvviso «benservito». E amareggiata per il modo spiccio e burocratico con cui il ministero degli Esteri ha sbrigato la faccenda. «Il rapporto che ho presentato sul mio lavoro qui a Tel Aviv è stato approvato all'unanimità dalla Commissione culturale incaricata dal governo di valutare la nostra attività. Tutto lasciava pensare che la mia richiesta per un nuovo mandato sarebbe stata accolta. D'altra parte i commenti nei miei confronti sono sempre stati lusinghieri». Proprio ieri, per una beffarda coincidenza, il quotidiano più diffuso in Israele, il Yediot Ahronot ha dedicato tutta una pagina alla Nirenstein e alle sue iniziative. «La cultura italiana marcia da sola - dice - ma abbiamo cercato di essere dei creatori di cultura e non dei semplici ripetitori. A New York l'Istituto è diventato uri importante salotto culturale sotto la guida di Furio Colombo. LETTERE AL GIORN Resa dei conti nei Il ministero smentisce: Lo stesso sono riusciti a fare Vittorio Strada a Mosca, Paolo Fabbri a Parigi, Francesco Villari a Londra». Anche Villari, rattristato per il «licenziamento» della Nirenstein e preoccupato per il proprio destino, è convinto che l'iniziativa voluta da De Michelis, nonostante le difficoltà economiche e gli ostacoli burocratici, stava dando buoni frutti. «Non c'è dubbio: grazie ai nostri contatti con le università, con i musei, con tutte le istituzioni culturali, siamo riusciti a mettere in piedi una rete di rapporti in queste città che prima non esisteva». A Zagabria Grytzko Mascioni dice che anche con pochissimi soldi («pago di tasca mia perfino la posta») le personalità «di chiara fama» «possono fare di più dei funzionari della pubblica istruzione». ALE Andrea di Robilant mmmmmm. .■■:o>^:>:^-:^^■:■:■v:>>■:^.::::::^::^:: nostri istituti all'estero? «Non esiste nessun caso»