CAVANI Solo la Storia ci salverà di Lietta Tornabuoni

A mezzo secolo dalla fine della guerra la Rai ritrasmette il film sul III Reich che realizzò giovanissima nel '61-62. Parla la regista A mezzo secolo dalla fine della guerra la Rai ritrasmette il film sul III Reich che realizzò giovanissima nel '61-62. Parla la regista CAVANI Solo la Storia ci salverà «I valori di una società figli della conoscenza del proprio passato» LROMA A storia della Storia? Parrà incredibile ma nella Rai in tempesta, senza 1 sapere come andrà a finire né chi comanderà, si seguita a lavorare, a progettare, a programmare: per l'anniversario che celebra nel 1995 il mezzo secolo passato dalla fine della seconda guerra mondiale, la prima rete televisiva ha in palinsesto, con la guida di Nino discenti, una serie di trasmissioni che rievocano nel segno della memoria necessaria gli avvenimenti dell'epoca, e insieme i modi in cui il maggiore mezzo di comunicazione, la televisione, seppe raccontarli. Si comincia dal 19 settembre prossimo con la Storia del III Reich realizzata in quattro puntate nel 1961 -'62 da Liliana Cavani che aveva allora venticinque, ventisei anni; nel gennaio 1995 seguiranno, con altri programmi, ulteriori docu-. mentali diretti dalla regista sempre nella prima metà degli Anni Sessanta, La donna nella Resistenza, Pétain - Processo a Vichy, Il giorno della pace. L'attenzione di Liliana Cavani alla storia di quel periodo e la sua fiducia nell'uso del cinema per comprenderla rimasero costanti negli anni seguenti e anche nei film d'invenzione: se La pelle si serviva del romanzo di Curzio Malaparte per raccontare Napoli e l'Italia nell'immediato dopoguerra, Portiere di notte, Interno berlinese e in certo modoipùre Al di là del bene e del male esploravano il dilemma tedesco, la matrice, la temperie, la cultura e le conseguenze del nazismo, tragedia del secolo. Ha rivisto in questa occasione la sua «Storia del ni Reich» di oltre trent'anni fa: dopo tanti nuovi studi e revisioni storiche, le sue idee sono cambiate? «Non ho mai cambiato idea sul fascismo, sul nazismo: e cosa dovrei cambiare? Vogliamo scherzare? Quel film di montaggio, il mio primo lavoro per la tv e l'unico mai fatto in Italia sull'argomento, ripercorre l'avvento di Hitler al potere; la nascita, strutturazione e degenerazione del partito-Stato (una forma del potere che continuò a esistere dopo la fine della seconda guerra mondiale nell'Urss, che si estese ai Paesi dell'Europa orientale e in modi diversi anche all'Italia con la democrazia cristiana, non come ideologia ma nella pratica); la conquista dell'Europa da parte di Hitler, attraverso una politica estera banditesca; la fine del Terzo Reich. Racconta la dinamica con cui un partito s'impadronisce dello Stato: tema che pure oggi resta molto, molto interessante». Come mai un compito simile venne affidato a lei che era così giovane? «La televisione pubblica aveva allora soltanto due canali: il pri- Qui a fianco Raffaele Crovi, l'editore di Camunia Nell'altra immagine Rocco Buttigliene Buttiglione «cattolico non cristiano» E Bossi «non sa neppure fare guai» JROMA ORTUNATO, fortunatissimo l'«Arcitaliano» Silvio. Berlusconi. Non l'uomo della Provvidenza o del Destino, ma appunto della Fortuna. Fortuna sfacciata, smisurata, incontenibile, quasi strafottente. Incubo e ossessione dei «disgraziati» d'Italia che sono a disagio nella Penisola berlusconiana dell'eterno stellone, della ruota che gira nel verso giusto, della sorte sempre benigna. E che sono tanti e «anonimi». Come l'Anonimo che ha redatto un manuale di sopravvivenza, Signora Fortuna. Microstorie per vivere bene e sopravvivere meglio, che Camunia sta per mandare in libreria. «Sfigati di tutta Italia, unite¬ mo, e un secondo canale prettamente culturale. Al secondo canale lavorava un gruppo di persone (Angelo Romano, Mario Motta, Pier Emilio Gennarini, Sergio Silva, Angelo Guglielmi, anche io e altri giovani) convinte che la tv avesse il dovere di parlare, al di sopra delle parti, di temi storici, politici e sociali. Dopo la laurea in Lettere antiche a Bologna, dopo il diploma di regìa al Centro Sperimentale a Roma, avevo partecipato (insieme con Francesca Sanvitale, con Francesco Bolzoni) a un concorso per funzionari bandito dalla Rai: ero risultata fra i trenta ammessi su diecimila aspiranti, ma non avevo accettato il posto, preferendo collaborare dall'esterno. Scelsero me per Storia del III Reich perché era una mia proposta e proprio perché ero giovane. Avevo un grande desiderio di conoscenza e di sapere, volevo capire e far capire quale tipo di cultura avesse reso possibile il nazismo e cosa ci fosse dietro i fatti, potevo raccontare la Storia via via che nell'indagine la scoprivo, non come uno specialista ma come un divulgatore. Del nazismo sapevo quel che sapeva la mia generazione: poco, quasi nulla. Avevo in compenso l'esperienza esistenziale della mia famiglia sotto il fascismo: mio nonno, ex sindacalista che aveva chiamato due dei propri quattro figli Libero e Libe¬ ra, non si era mai iscritto al partito fascista, e in un paese come Carpi questo aveva significato non poter avere un posto di lavoro, non poter far studiare i figli oltre le classi elementari. Lessi tanti libri, tutti quelli allora reperibili: naturalmente Storia del Terzo Reich di William L. Shirer fu la mia Bibbia. Discussi con studiosi di storia moderna, con gli studiosi del "Mulino" Boris Ulianich e Giorgio Galli, con i dirigenti del canale culturale; Alfonso Gatto e Italo Alighiero Chiusano scrissero parte dei testi». Il programma ebbe successo? «Venne accolto dalla stima generale, lodato soprattutto per l'esattezza fattuale e la rinuncia a suscitare emozioni forti. Personalmente, l'emozione più terribile me la dettero, tra i materiali documentari chie- - ta dallorUtilizzai vi», sembrano dire queste pagine scritte da un Anonimo che, «per scaramanzia, ha deciso di svelare la sua identità (una o bina) solo nel caso che di questo libro si vendano centomila copie». Un gioco a nascondino con la Fortuna, una parodia di quella specie di Bingo nazionale che sembra diventata la vita italiana, che però si nutre di un rancore, di un umore avvilito e sconsolato che porta l'Anonimo a graffiare non senza una certa perfidia personaggi e simboli dell'Italia con la camicia (azzurra). Stoccate, punzecchiature e colpi di fioretto che aggiungono sapore alla ricerca della vera identità del risentitissimo Anonimo, ultima versione di un gioco editorial-mediologico che in Italia ha sempre avuto, manco a dirlo, molta fortuna, almeno dal famoso caso di Berlinguer e il Professore (scritto da un Anonimo che poi si sarebbe rivelato come Gianfranco Piazzesi). E su dietro l'Anonimo si cclas- Sopra Hitler. A lato Liliana Cavani alla cinepresa, in basso con Britt Ekland nel '68 sti a Parigi, a Londra e alla Biblioteca del Congresso di Washington oltre che all'Istituto Luce, le riprese americane dell'apertura dei Lager nazisti. Un conto è sapere, un conto è vedere: rimasi per un giorno intero senza parlare, ammutolita dall'orrore. Utilizzai poco Stoccate e punzecchiature per i «fortunati» contemporanei in un libro che esce da Camunia, con un giallo quelle immagini: in Rai si diceva allora quello che si dice adesso, "non esageriamo, non indulgiamo al raccapriccio"». Polemiche? «Ai comunisti spiacque che venisse rievocato il patto russo-tedesco. I fascisti attaccarono, non tollerando che si parlasse dell'argomento. Storia del III Reich fu tuttavia un tale successo che decisero di trasmetterlo sul pri¬ «Il nazismo trionfò perché agì su un popolo senza educazione» mo canale perché avesse un ascolto maggiore, ma l'ambasciata tedesca protestò e i dirigenti lasciarono perdere, dissero che c'erano tanti italiani emigrati a lavorare in Germania, che alla Germania dovevamo qualcosa: cosa, l'ignoranza dei giovani sul nazismo? Fu il mio primo impatto con le "cause di forza maggiore", e della censura mi feci la pessima opinione che séguito ad avere. Fare Storia in tv è la cosa più difficile: scontenti tutti e non accontenti nessuno. Dopo quelle trasmissioni decisi di non schierarmi né di iscrivermi mai ad alcun partito, così cominciò una danza di etichette piuttosto comica: dai comunisti ero considerata cattolica di sinistra perché nel 1966 avevo fatto Francesco d'Assisi; dai socialdemocratici ero considerata comunista; da alcuni democristiani ero considerata un diavolo e dall'extrasinistra una mascalzona perché avevo presentato Galileo alla Mostra di Venezia contestata nel 1968». Quando uscì «Portiere di notte», veramente, la polemica non fu comica. «Il film diceva una cosa difficile da accettare: ognuno di noi è potenzialmente vittima e carnefice, è potenzialmente fascista, nazista, stalinista, se non ha valori etici che gli permettano di distinguere. I valori etici sono quelli che apprendiamo nella nostra educazione: e il nazismo potè trionfare perché agiva su un popolo senza educazione. Non esistono i buoni e i cattivi: ci sono società che non coltivano i valori etici e che producono quindi cittadini passivi, paurosi, pronti a delegare pensiero e poteri. Da noi come in Germania la democrazia ha basi fragili: dopo la seconda guerra mondiale, non è che fascisti e nazisti andarono su Marte con l'astronave, erano sempre lì, restarono lì. Questa persistenza, l'assenza d'una vera palingenesi democratica, hanno favorito una poca chiarezza emersa anche nei processi di Tangentopoli, dove rubare per il partito è stato ritenuto meno grave che rubare per sé: per me è vero il contrario, per me che un partito non debba impadronirsi dello Stato è elementare come uno più uno uguale due. Ma i valori etici sono mancati persino nell'ultimo dibattito elettorale italiano (salvo forse in certi discorsi di Mario Segni, negli ultimi discorsi di Martinazzoli), e persino nel dibattito intorno al nuovo segretario del pds». Alla Storia lei ha dedicato attenzione e fatica: di fronte agli ultimi dibattiti «storici» anche televisivi, quale impressione ha avuto? «L'impressione che, cinquantanni dopo, non si sia ancora cominciato, nelle scuole, a parlare della Storia moderna e del nostro secolo. Come la mia generazione, la generazione giovane attuale sa poco, quasi nulla». Dovrebbe sapere? «E' demenziale non conoscere la propria Storia. E' fondamentale, se si vuole una società fondata su valori etici: se no, il primo che arriva e che te la sa raccontare ha ragione». Lietta Tornabuoni