Arafat bacia la terra di Gaza di Paolo Guzzanti

Trionfale ingresso del leader dell'Olp nella città simbolo della nuova Trionfale ingresso del leader dell'Olp nella città simbolo della nuova Araiat bacia lo terra di Gaia Alla folla in delirio: pregheremo a Gerusalemme scritte sponsorizzate: il sarto Jalì e'tutta la sua famiglia, danno il benvenuto... La pasticceria di Jallud con i cugini e i cognati celebrano questo giorno... Guerra, e strapaese, pace e santo patrono, trionfo ma anche forche caudine. L'uomo era lo stesso che i servizi segreti israeliani per anni hanno considerato il nemico da uccidere e che hanno tentato di liquidare perfino con un attacco aereo sulla periferia di Tunisi per centrarlo mentre faceva jogging, e che oggi invece era l'ospite protetto, atteso, desiderato, le cui parole avrebbero fatto storia e politica. Anche ieri si è parlato di un attentato sventato. L'hanno raccontato alcuni giovani del servizio di sicurezza, fra cui un certo Yussuf, il quale ha detto: «Mentre Arafat parlava, noi tenevamo d'occhio un tipo strano con il cranio rasato alla Kojak. Sembrava un normale cameraman con la cinepresa, poi però ci siamo accorti che stava puntando una pistola. Gli siamo saltati addosso, l'abbiamo pestato, sottratto al linciaggio e consegnato alla polizia palestinese». La cosa più curiosa di questo episodio è che è stato raccolto dai giornalisti della radio militare israeliana che, vestiti con la loro uniforme nemica ed armati soltanto di microfono e taccuino, facevano il loro mestiere di cronisti man¬ dando in onda un notiziario spregiudicato secondo una tradizione di indipendenza delle forze armate che esiste soltanto qui. Quanto all'attentato, il capo della polizia palestinese, Mohamed Dahlan, smentisce: ma intanto conferma che un giornalista è stato arrestato perché trovato in possesso di un'arma. Ma la vera suspence della giornata stava in ciò che Arafat avrebbe detto; come l'avrebbe detto, e a chi politicamente si sarebbe rivolto parlando per la prima volta alla gente del suo popolo, stando con i piedi sulla terra della sua patria. Il presidente egiziano Mubarak, accompagnandolo fino alla frontiera, lo aveva supplicato di non cedere alla tentazione di corteggiare gli estremisti. Lo aspettavano tutti al varco e bisogna dire che il presidente dell'Olp ha saputo cavarsela con grande abilità: sapienti colpi al cerchio dell'emozione e altri alla botte della ragionevolezza («la pace dei coraggiosi», formula da lui amatissima e più volte ripetuta anche ieri). Commento immediato degli israeliani: non è stato un discorso duro, semmai quello di un uomo in seria difficoltà. Ma Arafat è davvero un vecchio e solido combattente, capace di mescolare in misure perfette ingredienti tra loro avversi. E così è LA FORZA DEL SIMBOLO riuscito a trasformarsi in una serie di citazioni e di simboli - a cominciare dalla sua bassa statura impersonificantc il piccolo popolo palestinese, per continuare con la sua barba che sembra sempre non rasata da due giorni - la classica barba di un profugo perseguitato -, la kefyiali a quadretti che ricollega la sua immagine al mondo tradizionale degli Arabi figli del deserto, l'uniforme khaki tipica del soldato al fronte, con anche un'eterna pistola nella cintola e tanti distintivi variopinti sulle maniche e sul petto. Lo confesso: nonostante io fossi convinto, già da più di vent'anni, che si sarebbe necessariamente addivenuti ad un reciproco riconoscimento fra il popolo palestinese e quello israeliano, dubitavo molto se proprio Arafat avrebbe guidato questo processo, e se Israele sa¬ © 1994 Editrice La Stampa SpA Reg. Trili. di Torino n. 613/1926 Certificato n. MV, del 15/12/1993 rebbe stata pronta a riconoscere il diritto dei Palestinesi all'autodeterminazione attraverso la mediazione di questo leader, che agli occhi di molti Israeliani rappresenta tutto ciò che nella lotta condotta dai Palestinesi è più pregno di veleno, è più ripugnante. Si è invece dimostrato che la forza del simbolo è più forte di quella dell'ideologia che in quel simbolo è insita, e che la capacità che gli esseri umani hanno di subire metamorfosi, se costretti dalla necessità, ha reso possibile ciò che sembrava impossibile. Da un certo punto di vista è bene che la rappacificazione fra i due popoli in lizza non sia stata compiuta da un nuovo leader palestinese, bensì proprio per mezzo del ben conosciuto simbolo di nome Arafat, cosa che dimostra ai Palestinesi che se l'uomo che era il sim- riuscito a rendere omaggio a tutti, mólti e prigionieri, W valoroso sceicco imprigionato e gli eroi della «rivoluzione delle pietre», ripetendo chela patria D^'-'pùòTchè essere una e unita, che la pace prevede nuove lotte, non mancando però di sottolineare continuamente un forte e visibile rispetto nei confronti del popolo di Israele e del suo governo. Un autorevole rabbino ha subito dichiarato in televisione che Arafat ha dimostrato encomiabile considerazione «per la nostra santa religione». Certo, Arafat ha vibrato un clamoroso affondo sulla questione di Gerusalemme: città santa, inviolabile, nella quale ogni uomo pio ritiene suo diritto inviolabile poter pregare liberamente. E lo ha fatto con toni accesi, da battaglia: noi andremo, noi libereremo altre città (e ne ha nominate un paio tra le meno significative) per poi arrivare a Gerusalemme, sommerso da una ovazione popolare. Tuttavia, non esistono al mondo persone più ricettive e comprensive degli ebrei e degli israeliani di fronte a un discorso emotivo su Gerusalemme: non ha forse diritto Arafat, come è stato per ogni ebreo in duemila anni, gridare «l'anno prossimo a Gerusalemme»? Certo, Arafat non pensa all'anno prossimo, ma all'immediato: però soltanto nel senso che per ora ritiene bolo della loro lotta depone le armi e tende la mano per far pace, vuol dire che davvero non c'è altra scelta. Qui però ha inizio la grande prova a cui deve sottoporsi il simbolo divenuto realtà - «qui si parrà la sua nobilitate»; resterà solo un simbolo o riuscirà a trasformarsi in una realtà politica vera e vitale? Potrà mutarsi da simbolo aleggiante in alte aure in un leader che sappia occuparsi dei bisogni giornalieri del suo popolo, un leader che abbia un indirizzo, un ufficio, una sede, e che possa dare risposte pratiche e concrete ai problemi correnti? Perché solo così, e non con altre rapide visite fatte di sfuggita, Arafat potrà acquistarsi la fiducia e l'autorevolezza che dimostreranno non solo ai Palestinesi ma anche agli Israeliani che egli è degno di mettersi a capo dello Stato Palestinese che sorgerà a fianco dello Stato d'Israele. Abraham B. Yehoshua Traduzione dall'ebraico di Gaio Sciloni suo diritto jndare a pregare nella moschea santa. E secondo fonti egiziane ha fatto quanto gli era possibile, senza riuscirci, per. convincere ir presidente Mubarak ad accompagnarlo nell'impresa. Ma il fatto politico, e quindi storico e dunque l'unico che possa dare la cifra di questa straordinaria giornata, è che Arafat ha scelto la pace. E ne ha pagato immediatamente il prezzo mentre ancora parlava: non perché sia stato apertamente contestato (tutte le opposizioni avevano già annunciato che non si sarebbero lasciate andare a gesti ostili e clamorosi) ma perché i militanti di Hamas movimento cresciuto intorno alle moschee creando servizi sociali, gradito inizialmente agli israeliani che l'avevano scambiato per una pia associazione - in modo palese e oltraggioso hanno svuotato in parte la piazza già non troppo piena, andandosene alla spicciolata e creando parecchi vuoti sui quali hanno insistito gli obiettivi delle telecamere israeliane: tutti hanno visto frotte di palestinesi che giravano le spalle al grande padre mentre pronunciava il suo storico discorso. Arafat certamente aveva messo nel conto anche questo. Non aveva mancato, tuttavia, nei primi passi del suo discorso, di rendere omaggio al veneratissimo sceicco Akhemd Yassin, il quale a tarda età e gravemente malato marcisce in galera su una sedia a rotelle assistito da due devoti detenuti, e che è una sorta di Mandela in questa striscia di mondo, la sua morte in prigione, come tutti sanno, potrebbe scatenare nuove catastrofi. E poi Arafat non ha mancato di rendere un leale omaggio anche all'Intifada, riconoscendo così due protagonisti, Hamas e i ragazzi delle pietre, che gli hanno strappato negli ultimi tempi l'iniziativa politica e di lotta, sottraendogli il prestigio nel comando. Ma ha compiuto egualmente il dover suo. Di più: Arafat ha tenuto accanto a sé la vedova di Abu Jihad, il suo vice che morì assassinato in un attentato e la cui memoria è vissuta dal popolo palestinese come quella di un grande eroe mitico. La signora che era accanto a lui ha ricevuto una ovazione che ha oscurato gli applausi a lui riservati, ma anche questo Arafat doveva averlo messo nel conto e se ne è mostrato felice. Altri piccoli segnali di lieve scollamento tra lui e la sua gente, misurabili in termini di disciplina e un tempo impensabili: il presidente dell'Olp aveva vietato che si sparasse in aria in segno di gioia con i mitra. Alcune guardie scelte invece gli hanno efisobbedito platealmente sparando da un tetto. E quando Arafat ha chiesto alla folla in attesa di arretrare per qualche metro e sedere per terra, tutti sono rimasti invece in piedi e hanno fatto qualche passo avanti. Il presidente dell'Olp circondato dagli alti.ufficiali militari ' rende omaggio ad una guardia d'onore della polizia palestinese degli israeliani oltranzisti, che ieri inalberavano cartelli in cui il volto di Rabin era truccato e agghindato in modo tale da farlo somigliare ad Arafat. Questa gente ieri l'abbiamo vista bene: si tratta di persone e famiglie che si sono trovate di colpo tagliate fuori dalla storia, dal loro mondo, dalla realizzazione dei loro progetti e sogni. Uomini donne e giovani che non vogliono in alcun modo cedere ciò che pensano di aver reso sacro con il loro lavoro. E che per questo sono pronti ad uccidere, a non riconoscere alcuna autorità e a compiere gesti clamorosi in controtendenza. Tuttavia si tratta anche di un gruppo di esseri umani fragilissimi, che potrebbero essere spazzati via in un attimo da una qualsiasi operazione di polizia, per non dire di un attacco feroce. Paradossalmente questi coloni israeliani oltranzisti hanno un bisogno vitale di essere protetti continuamente sia dagli israeliani che dalla polizia palestinese: e quindi Arafat ieri ha dovuto assistere al curioso spettacolo di un gruppo di persone che lo vorrebbero volentieri morto e che anzi avevano messo una taglia sulla sua testa di 30 mila dollari, protetti dalle milizie della sua stessa Olp. L'effetto dei coloni tuttavia resta indimenticabile e contiene anch'esso qualcosa di ingiusto e di drammatico. Paolo Guzzanti