Dal «Cagoia» Nitti coniato da D'Annunzio al «Berluskaiser» di Bossi, così è cambiata l'arte dell'offesa politica. E ora nasce un dizionario

Dal «Cagoia» Nitti coniato da D'Annunzio al «Berluskaiser» di Bossi, così è cambiata l'arte dell'offesa politica. E ora nasce un dizionario Dal «Cagoia» Nitti coniato da D'Annunzio al «Berluskaiser» di Bossi, così è cambiata l'arte dell'offesa politica. E ora nasce un dizionario E SPULSO dalla prossima edizione del Devoto-Oli, il nome Craxi sta per entrare in un altro dizionario, quello degli insulti. Secondo lo specialista di questa nuova, ma fiorente branca della lessicografia, ne ha tutti i diritti. L'ex presidente del Consiglio italiano viene assunto in quel raro empireo dove si sono collocati, negli ultimi anni, Amin e Bokassa, Saddam e Khomeini, Zdanov e Trockij: non come persone, ma come parole. L'insultologo non dà giudizi politici, si limita a registrare l'esistente. Se il nome di un personaggio viene usato in senso offensivo, lui non può fare a meno di annotarlo. Se Cossiga, ad esempio, irritato con il giudice Violante (7 luglio 1991) lo chiama «piccolo Vishinskij», l'inquisitore dei processi staliniani passa dai libri di storia all'onomastica. Se DonatCattin, per attaccare Gava, come ha fatto, lo definisce «il Maometto della situazione», nella compagnia entra anche il fondatore dell'Islam. Craxi, nello schedario dell'insultologo, risulta attestato ormai da sei anni. La prima citazione viene da un giornale paninaro, I nuovi galli, numero 33 del 1988, quando il personaggio era ancora il potente segretario del psi. «Sei una gran testa di Craxio», diceva un giovane a un compagno. E, in altro numero dello stesso anno, «Non fare craxiate». Testi subito ritagliati dallo studioso, per dare alimento al suo lievitante repertorio. L'insultologo è una professione necessaria, oggi, per tenere il passo con i tempi. Nell'albo c'è, al momento, un unico professionista, ma attentissimo. Si chiama Gianfranco Lotti, è, naturalmente, un romagnolo, e dalla sua regione ha ereditato il gusto per la parola eterodossa, spiazzante,, se possibile provocatoria. Ha insegnato lettere per trentun anni nelle scuole torinesi, ma lavorando sempre, in segreto, alla ricerca dei più neri gioielli linguistici. Mentre Jekyll, sulla cattedra, insegnava il petrarchismo e l'arcadia, mister Hyde la sera a casa, smessi i panni curiali, spulciava senza posa giornali e riviste, registrava conversazioni e programmi televisivi, per trarne sempre nuovi epiteti, insolenze, villanie, contumelie, atrònimi. La sua bibliografia, che si apre con un Prontuario del gergo malandrino piemontese, e passa per la traduzione degli Epigrammi proibiti di Marziale, comprende anche un repertorio sulla «storia delle parole che usiamo ogni giorno», Perché si dice così, ma approda vittoriosamente al primo Dizionario degli insulti, uscito nel 1990 per gli Oscar Mondadori. Da allora il Lotti non cessa di esser consultato, non solo negli ambienti letterari. Dalla disciplina della insultologia generale, il professore scende ora in una sottodisciplina, che promette di diventare fertilissima, nell'Italia rissaiola del comizio televisivo: l'insulto politico. Sulla sua scrivania ci sono migliaia di schede, registri, cartelle, con tutti gli insulti usciti negli ultimi anni, ministro per ministro, onorevole per onorevole, lottizzato per lottiz¬ TORINO zato. Ne ha già tratto materia per un nuovo libro, che non ha ancora titolo, ma che promette di diventare un bestseller quando uscirà, in settembre, nei tascabili del gruppo Rizzoli. L'insulto politico ha tradizione antica, nel nostro Paese, con illustri esempi d'autore, come il famoso «Cagoia» scagliato da Gabriele d'Annunzio contro Nitti, colpevole di non gradire l'impresa fiumana, o come tutta la serie di apostrofi che Gadda riservava a Mussolini, «il Mascellone», «il Buce», «il Predappiomerda in cornice». Ma la grande stagione dell'insulto comincia con l'avvento sulla scena politica di Guglielmo Giannini («Escremenzio Nenni», egli definiva delicatamente sull' Uomo qualunque il leader socialista, e non era il peggio); e con i dibattiti alla Camera infiammati da Giancarlo Pajetta, a base di «forchettoni» e di «connitacci». Epiteti violentissimi, che tuttavia non sono mai riusciti a pareggiare il conto con i «trinariciuti» inventati da Giovanni Guareschi: ancora oggi sigillo, un po' pesante, di un'epoca. Pochi anni dopo, con ii primo governo appoggiato dalla destra missina, arriviamo all'esclamazione «Tambronne!», rimasta ufficialmente anonima; anche se tutti la attribuivano a Fanfani, autore certo, in quel 1960, della più feroce battuta contro il compagno di partito: «Tambroni è un tambroniano». Il professor Lotti va al concreto, con il suo sano istinto romagnolo ha preferito fermarsi agli ultimi anni, fra i personaggi che ci governano, o ci hanno appena governato, o hanno cercato di governarci. Anche perché l'insulto è diventato un genere letterario coltivatissimo, fra i personaggi che un tempo si combattevano con il distaccato lei e oggi si azzannano con il più familiare tu. Lo studioso non ritiene, malgrado tutto, che sia un segno negativo, almeno sul piano linguistico. «Si è ampliata la rosa semantica - dice - perché siamo più padroni della lingua nazionale, ci sono più utenti. Quindi un maggior numero di vocaboli e quindi insulti più coloriti». Non sono, a suo avviso, più grevi di un tempo, sono soltanto più numerosi. «Quello che diventa pesante è la quantità degli insulti. IM una quindicina di pagine, ha mobilitato le più belle firme, i giornali umoristici più velenosi: da Fo-Rame («Faccia di plastica») a Frutterò e Lucentini («Prosciuttologo»), dal Cuore («Il Ganassa Imbellettato») alla Peste («Capitan Findus»). L'insulto non è né di destra né di sinistra, colpisce equanime a tutte le latitudini. Se la Pivetti è «Sant'Irene dei braghettoni» (titolo di Repubblica), Occhetto è «Mister niente» (Tunnel), Bertinotti «lo spirito folletto del comunismo defunto» (Giorgio Bocca), Miglio «l'estremista senile» (Salvataggio su Oggi), D'Alema «uno stalinista con aspetto di provinciale che poteva aprire un salone di parrucchiere assieme a Fini» (Oliviero Toscani alla Stampa). Nella «rosa semantica» Formigoni è «Comunella libera e bella» (riferito da Ugo Volli), Giuliano Ferrara «Grasso è bello» (Roberto D'Agostino), anzi «è così grosso che fa capoluogo di provincia» (Gino e Michele). Fra i caduti illustri, Andreotti è «l'ex capo tribù della più potente ex tribù» (Pierluigi Battista sulla Stampa), De Mita «Ciriaco De Minchia» (Giuliano) o «un caciocavallo di razza» (Gianfranco Casale). Fra gli emergenti, Gianni Letta «cuore curiale del berlusconismo» (Filippo CeccareUi sulla Stampa), «ha un nome da uomo, ma sembra tutto sua sorella» (Sergio Saviane, riferito dal Giornale), mentre Alessandra Mussolini, dalla onomastica più rischiosa, è «una Scicolone con altro nome» (Gianni Baget Bozzo). Ma la Mussolini è vittima di una bordata più pesante da Martinazzoli, lui sempre così probo: «Conta più il colore delle mutande che l'intelligenza» (novembre '93). E provoca la sanguinosa replica della interessata: «Adesso, come la maggior parte degli italiani, so bene che cos'ha Martinazzoli nelle mutande». Povero Martinazzoli. Il più stimato dagli avversari, il più bersagliato dai suoi. «Lo chiamavano una lacrima sul viso», riassume, per tutti, Mariapia Garavaglia. Gianfranco Lotti registra, registra. I nostri politici hanno fantasia, il livore si trasforma in immagine, e l'immagine in marchio. L'annuario parlamentare si arricchisce di nuovi titoli, impensabili fino a ieri. Per l'insultologo si prepara un'estate interessante. to dal dra Mpiù risaltro nMa la bordat i il sindaco Formentini ha con

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