Achille dall'esilio landa frecce avvelenate di Fabio Martini

Achille dall'esilio landa frecce avvelenate Achille dall'esilio landa frecce avvelenate Ma la sua lettera di addio è stata accolta da un tiepido applauso ROMA. Povero Akel: ha scritto ai compagni la lettera d'addio e loro l'hanno accolta con un applauso impercettibile, fioco come la risacca del mare in bonaccia. Sono le 11 del mattino al Palafiera e Ciglia Tedesco ha appena letto la lettera spedita dall'ex segretario in esilio: «Le mie dimissioni saranno servite a qualcosa di utile per il partito e per la sinistra solo se faciliteranno un chiaro e inequivocabile sviluppo in avanti delle innovazioni introdotte dalla svolta. Ciò richiede, a mio avviso, una soluzione capace di parlare all'esterno e di rispondere, positivamente, all'attesa di una vigorosa e visibile novità...». Lui, Achille, se ne è restato nel suo superattico al Ghetto, solo solo visto che anche l'Aureliana è andata alla Fiera a sentire i successori del marito. Già, un applauso senza pathos, senza gratitudine per l'inventore della svolta. E Walter e Massimo - i delfini che aspirano alla successione - hanno annusato l'aria e si mettono in sir' jnia. Vel¬ troni, che pure è sostenuto dall'apparato «occhettiano», dice «grazie ad Occhetto c'è stata la svolta del 1989», ma poi quando deve citare i suoi leader-modello, parla di Palme, Brandt e Mandela, peisino di Sharping e Blair, cita Enrico Berlinguer, ma si guarda bene dal nominare Occhetto. E D'Alema? E' più sobrio ancora: nel suo discorso, di Occhetto non c'è traccia. Ma lui, l'ex capo arroccato in casa, pur di sbarrare la strada a D'Alema, le ha pensate tutte. Straordinario imitatatore di Ingrao e di Reichlin nelle serate tra amici, ieri Occhetto ha escogitato un numero alla Fregoli. Quando nessuno se l'aspettava, è salito sul palco del PalaFiera il più serio e serioso degli amici di Achille: Igino Ariemma, abbottonatissimo capo ufficio stampa del pci-pds negli anni della svolta, uomo dai silenzi «sovietici» e che invece ieri ha completamente cambiato personaggio e ha sparato palle di fuoco contro D'Alema. Un «numero» a sorpresa, perché ha Achille. «Tutto iniziò quel giorno al congresso di Rimini, quando qualcuno fece mancare il quorum per l'elezione a segretario di Occhetto». D'Alema contribuì? «No, non dico questo, ma dentro la maggioranza molti remarono contro per indebolire Achille e il segno è rimasto». E poi? E poi dito puntato contro i «vecchi» - Ingrao, Napolitano, Tortorella - che il giorno «della presentazione del simbolo del pds cercarono di mettere in minoranza Occhetto». Igino non si ferma più, racconta di quella volta che 0 segretario «si trovò in minoranza quando i'u ritirata la delegazione dal governo Ciampi». E in questi giorni il vulcanico Achille come ha fatto a restarsene in silenzio? «Ah, è stata dura, durissima...», dice Igino. Ma oggi Akel tornerà in scena, andrà a votare per Walter Veltroni. E nel futuro? «Il congresso - spiega Ariemma - potrebbe nominarlo presidente...». doi di Montecitorio a sparlare dei compagni». E poi? «E poi Pino Soriero, anche D'Alema cerca di toglierselo di torno, ma lai resta appiccicato...». E gli altri «dalemiani» all'indice di Occhetto? Presto detto: Livia Turco e Pietro Folena. Ma torniamo al «ventriloquo di Achille» e al suo sfogo dal PalaFiera. «Il partito, inutile negarlo, è stato governato da una diarchia Occhetto-D'Alema», «c'era chi puntava a dividere il partito» e il delfino era «spesso in conflitto col segretario». E ora l'elezione a segretario di DAlema - spara Ariemma - porterebbe ad un «incarognimento» del clima interno. Igino la «mummia» diventata loquace, ha finito, ma in platea qualcuno lo stronca: «Più che far parte della squadra di Occhetto, Ariemma è uno squadrista di Occhetto...», dice Piero Salvagni. Ma Ariemma ne ha ancora da raccontare e chiacchierando tra le | poltrone del PalaFiera, ripercorre i dal suo punto di vista, il calvario di Fabio Martini

Luoghi citati: Rimini, Roma